Cinque registe sovietiche di cui dovete assolutamente vedere un po’ di (meravigliosi) film

Kira Muratova/Odessa Film Studio, 1967
Nell’Urss molte donne furono protagoniste dietro alla camera da presa. Ecco le nostre preferite, e qualche consiglio sulle pellicole da cui iniziare la visione

1 / Tatjana Lióznova (1924-2011)

Tatjana Lioznova è forse la regista sovietica più versatile. Ha saputo mettersi alla prova con vari generi e ha affrontato temi prima non raccontati, realizzando film rivolti a un vasto pubblico.

Nata in una famiglia ebrea di Mosca (suo padre era un ingegnere e sua madre una sarta), Tatjana crebbe amando film e libri (era una grande lettrice, tanto che affermava di aver letto il più grande romanzo di Lev Tolstoj, “Guerra e pace”, almeno 17 volte!). 

La regista Tatjana Lioznova

Il suo maestro fu il leggendario Sergej Gerasimov (1906-1985), il regista di film come “Il placido Don” (1958) e “La giovane guardia” (1948). Gerasimov riteneva che la principale qualità di un artista fosse la capacità di comprendere le persone. E la Lioznova si dimostrò un’allieva perfetta in questo, e seppe girare film comprensibile a tutti, perché fanno appello al cuore, senza inutili intellettualismi.

Realizzò solo nove film nell’arco di trent’anni. Ciò è in parte dovuto al fatto che non ha mai sacrificato la qualità per la ricerca del facile successo. I suoi standard erano così alti che investiva un’enorme quantità di tempo, impegno ed energia emotiva in ogni aspetto del lavoro.

Vjacheslav Tikhonov interpreta Isaev-Stierlitz nella serie tv in 12 puntate “Diciassette momenti di primavera”

Nella sua filmografia ci sono storie commoventi sull’amore (“Tri tópolja na Pljushchìkhe”; 1967, ossia: “Tre pioppi sulla via Pljushchikha”), commedie musicali (“Karnaval”; 1981, ossia “Carnevale”) e persino un dramma sperimentale per la tv in due puntate (“My, nizhepodpisavshiesja”; 1981, ossia: “Noi, sottoscritti”).

Ma il vero grande successo le arrivò nel 1973, quando uscì “Diciassette momenti di primavera”, serie tv in 12 puntate. Le strade della città si svuotavano quando milioni di spettatori erano incollati ai loro schermi televisivi per guardare questa serie, ambientata nel 1945, e che ruotava attorno a una spia sovietica (interpretata da Vjacheslav Tikhonov) infiltrata tra i nazisti per far fallire l’Operazione Sunrise (“Aurora”), tesa a negoziare la resa separata delle forze tedesche schierate nel Nord Italia e delle forze fasciste della Repubblica Sociale Italiana, favorendo un rapido passaggio dei poteri nelle mani delle forze angloamericane, all’insaputa dei sovietici, che si sarebbero ritrovati più truppe naziste sul loro fronte.

Girato in bianco e nero, uno dei momenti migliori nella storia del cinema è quando Isaev-Stierlitz e sua moglie (interpretata da Ekaterina Gradova) si incontrano segretamente in un caffè tedesco. Impossibilitati a parlare apertamente, comunicano con i loro occhi e le emozioni nascoste, con un tocco melodrammatico unico.

2 / Kira Muràtova (1934-2018)

Kira Muratova

Kira Muratova è stata l’ultimo autore del mondo del cinema indipendente sovietico. Kira, figlia di rivoluzionari romeni, era una regista nata, e la sua arte è difficile da definire. Nata a Soroca (allora nel Regno di Romania e oggi nella Repubblica di Moldova), ha studiato a Mosca, ma considerava Odessa (città portuale sul Mar Nero nell’Ucraina meridionale, un tempo parte dell’Urss) il suo posto preferito al mondo.

I suoi film sono pionieristici quanto a stile, e campioni di sostanza. Le sue opere mostrano sempre le due facce della medaglia. “Mi dispiace per l’uccello tanto quanto mi dispiace per il gatto”, ha detto la Muratova. Ha posto l’attenzione su persone comuni che, in situazioni estreme, hanno rivelato la loro vera natura. I protagonisti delle sue pellicole sono eccentrici e difficili da giudicare; le loro azioni sono spesso completamente imprevedibili.

Kira Muratova ha conquistato il mondo del cinema con il suo film drammatico di debutto del 1967, “Brevi incontri”, con Vladimir Vysotskij come protagonista.

“Alla scoperta della vita” (1978), su un triangolo amoroso, è probabilmente il suo film più sottovalutato.

“Lunghi addii” (1971) fu vietato per anni e arrivò nei cinema solo nel 1987, durante la Perestrojka di Gorbachev.

Kira Muratova andò deliberatamente spesso controcorrente e affrontò le conseguenze. Ma, a differenza di molti altri, era testarda. Ha creato il suo universo visivo e ha sviluppato il proprio linguaggio cinematografico in capolavori come “Tre piccoli omicidi” (1997), “Il poliziotto sentimentale” (1992) e “L’accordatore” (2004).

Una scena tratta dal film “Brevi incontri”, con Vladimir Vysotskij come protagonista, e Kira Muratova

In una carriera durata mezzo secolo, è riuscita a lavorare in qualsiasi condizione: in Unione Sovietica, dove ha affrontato la censura, e dopo il suo crollo, quando ha lottato per trovare finanziamenti per i suoi film in Ucraina. Il suo film “Sindrome astenica” ha vinto l’Orso d’argento al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1990. Questo film si è rivelato stranamente profetico, poiché Muratova prevedeva il caos in cui sarebbe precipitata la Russia negli anni Novanta

Muratova diceva a malincuore al pubblico di “leggere” i suoi film come un libro aperto, con cuore aperto. I suoi film sono un mix di dramma e surrealismo, violenza e umorismo oscuro. È cresciuta guardando i film di Charlie Chaplin, che era il suo idolo, e si vede.

Due dei suoi film, “Lunghi addii” e “Sindrome astenica”, sono entrati nella lista “I 100 migliori film diretti da donne” di “BBC Culture”. Il tratto principale della Muratova può essere considerato una forma di meditazione malinconica sulla condizione umana. “Forse l’ottimismo è il più alto grado di pessimismo”, ha detto una volta.

3 / Larisa Shepìtko (1938-1979)

Larisa Shepitko

Bruna statuaria, dagli occhi verdi e dalla incredibile bellezza, Larisa Shepitko è apparsa per la prima volta sulla scena cinematografica come attrice. Tuttavia, fare film era nel suo sangue. Allieva di Aleksandr Dovzhenko (1894-1956), cineasta sovietico per eccellenza degli anni Trenta, la Shepitko ha spesso ricordato come il leggendario regista della “Trilogia Ucraina” trattasse i suoi studenti prima di tutto come individui, piuttosto che come futuri registi. Per Dovzhenko, un film era una proiezione diretta della personalità di un artista e disprezzava coloro che usavano il cinema solo come mezzo per guadagnare denaro e fama.

Alla ricerca della verità emotiva, nel 1963, la Shepitko fece il suo debutto alla regia con “Calura”. Il dramma, basato sul racconto dello scrittore kirghizo Chingiz Ajtmatov (1928-2008), vinse il Gran Premio al Festival Internazionale di Karlovy Vary. Inoltre, Larisa incontrò l’amore della sua vita sul set, Elem Klimov (il futuro regista di “Va’ e vedi”), che sposò all’inizio degli anni Sessanta.

La ventisettenne Shepitko ebbe grande successo con il suo secondo film, “Le ali” (1966). La protagonista, Nadezhda Petrukhina (interpretata da Maja Bulgakova) non va d’accordo con il presente e non riesce a trovare un linguaggio comune con la sua unica figlia. Il problema è che Nadezhda, ex pilota di caccia durante la Seconda guerra mondiale, è rimasta bloccata nel passato. È disperatamente sola, perché ha costruito un muro che la separa da chi la circonda. La fine del film è metaforica. La Petrukhina visita un hangar abbandonato di un club di volo, monta su un aereo e sale in cielo. Un primo piano cattura il suo viso felice: le sue ali sono di nuovo cresciute e la sua connessione con il mondo è finalmente ristabilita.

Negli anni Settanta, Larisa Shepitko realizzò film autoriflessivi e socialmente rilevanti, come “Tu e io” (1971; che vinse il Leone d’argento al Festival del cinema di Venezia) e “L’ascesa” (il primo film sovietico a vincere l’ambito Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino, nel 1977). Ambientato durante la Seconda guerra mondiale, anche “L’ascesa” è nella lista de “I 100 migliori film diretti da donne” di “BBC Culture”; all’undicesimo posto, tra “Zero Dark Thirty” di Kathryn Bigelow (2012) e “Daughters of the Dust” di Julie Dash (1991).

“L’ascesa” fu il primo film sovietico a vincere l’ambito Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino, nel 1977

Il suo stile inconfondibile è stato apprezzato in tutto il mondo. Shepitko frequentava Miloš Forman, Bernardo Bertolucci e Francis Ford Coppola, ed è stata amica di Liza Minnelli. “A Hollywood prendevano molto sul serio Larisa Shepitko come regista. Una volta, Coppola ha invitato mia madre, per chiderle un’opinione sul finale di ‘Apocalypse Now’”, ha ricordato una volta suo figlio, Anton Klimov.

Sfumando i confini tra narrazione documentaristica e narrativa, il cinema per Larisa Shepitko non era una professione, ma un modo di vivere. Per un tragico scherzo del destino, “L’ascesa” fu anche il suo ultimo film. La regista morì in un incidente stradale vicino alla città di Tver nel luglio del 1979, insieme a quattro membri della sua troupe. Stavano cercando le location giuste per il suo prossimo film, basato sul romanzo di Valentin Rasputin (1937-2015) “Proshchanie s Matjoroj” (ossia: “Addio a Matjora”.

4 / Dinara Asànova (1942-1985)

Dinara Asanova ha segnato una nuova pagina nel cinema sovietico: ha offerto al vasto pubblico un assaggio della vita scolastica dei bambini, dei problemi familiari e del passaggio dall’infanzia all’età adulta. È stata un pioniere nella realizzazione di film su problemi di cui nessuno voleva parlare. Secondo Dinara, crescere e costruire relazioni e fiducia in se stessi è uno degli aspetti più drammatici e tragici della vita adolescenziale.

“Ho finalmente capito perché lavorare ai film sui teenager mi attrae tanto: sono alla continua ricerca di risposte a tante domande e alla ricerca di se stessi. E questo è il percorso che voglio intraprendere con loro. L’infanzia, la giovinezza non sono un’isola, non un frammento di vita, non una pre-vita, ma una vita che è già iniziata”, ha scritto la Asanova nei suoi diari.

Dinara Asanova

Nata a Frunze (oggi Bishkek, capitale del Kirghizistan; allora parte dell’Urss), la Asanova studiò a Mosca, al Vgik (l’Istituto Statale di cinematografia di tutta l’Unione; oggi “Università statale pan-russa di cinematografia S. A. Gerasimov”) e sviluppò le sue doti registiche negli anni Settanta. Il suo film d’esordio, “Il picchio non ha male alla testa” (1974) le fece conquistare gli apprezzamenti della critica.

I suoi film successivi. “Bedà” (1977; ossia: “Guai”) con Aleksej Petrenko, e “Zhenà ushlà” (1979; ossia: “La moglie se n’è andata”) con Elena Solovej, si concentravano su questioni familiari, come abuso di alcol e relazioni interrotte.

Asanova fece molto discutere quando iniziò a lavorare con i ragazzi di strada. Portarono una buona dose di autenticità ai suoi film. Dinara prestava particolare attenzione alla psicologia infantile e trascorreva molto tempo a creare un’atmosfera confortevole per tutti sul set. Lasciava che attori bambini non professionisti improvvisassero, per creare un ambiente familiare durante le riprese. L’improvvisazione era vitale per lei, come lo è per un jazzista.

Una scena tratta dal film

Il suo dramma sociale “Patsaný” (1983; ossia: “Ragazzini”) divenne un film di culto nell’Urss. La pellicola puntava i riflettori sui minori sovietici di un campo di lavoro e sul loro grande mentore (interpretato dall’attore preferito dalla Asanova, Valerij Prijomykhov). Affrontava problemi con cui tutti gli adolescenti devono mettersi alla prova a un certo punto, tra cui incomprensioni, solitudine e rabbia.

Il suo dramma familiare “Milyj, dorogoj, ljubimyj, edinstvennyj…” (ossia: “Dolce, caro, amato, unico…”) venne proiettato al Festival di Cannes nel 1985.

La vita di Asanova finì a Murmansk nel 1985. Morì di arresto cardiaco durante le riprese del suo nuovo film, rimasto incompiuto, “Neznakómka” (ossia: “La sconosciuta”). Aveva solo 42 anni. 

5 / Nadezhda Koshevérova (1902-1989)

Nadezhda Kosheverova

Sebbene Nadezhda Kosheverova si sia messa alla prova con diversi generi, il suo talento è stato pienamente realizzato nelle fiabe. Kosheverova è passata alla storia come la regina sovietica del genere. Il suo film più celebre “Zólushka” (ossia: “Cenerentola”) le ha portato sia gloria che premi. Girato nel 1947, vinse riconoscimenti per le straordinarie interpretazioni e la brillante sceneggiatura di Evgenyij Schwartz. Questa versione di “Cenerentola” è stata probabilmente la prima fiaba nella storia del cinema sovietico completamente priva di retrogusto ideologico, ma, allo stesso tempo, capace di riflettere alcuni tratti della vita sovietica di tutti i giorni con un tocco di ironia. Ad esempio, la matrigna di Cenerentola (interpretata brillantemente da Faina Ranevskaja) si comporta come una fastidiosa residente di un tipica kommunalka sovietica.

Faina Ranevskaja e Janina Zheimo in

La Kosheverova aveva il dono di scoprire nuovi talenti. Ma anche i grandi attori affermati la adoravano, tra cui Faina Ranevskaja, Oleg Dahl e Anastasia Vertinskaja.

I suoi film, come “Principessa per una notte” (1968), “Ten” (1971; ossia: “Ombra”), “Kain XVIII” (1963; ossia: “Caino XVIII”), “Solovej” (1979; ossia “Usignolo”) e “Oslinaja shkura” (1982; ossia “Pelle d’asino”) celebrano amore e compassione, lealtà e coraggio, speranza e buon umore.

Il suo dramma realistico “Galja” (1940), ambientato durante la Guerra d’inverno (tra Urss e Finlandia), fu vietato per motivi ideologici, mentre la sua commedia “Ukrotìtelnitsa tigrov” (1954; ossia:  “La domatrice di tigri”), co-diretta con Aleksandr Ivanovskij, divenne una delle pellicole di maggior incasso del 1955. I suoi film hanno resistito alla prova del tempo, grazie alla loro ironia e leggerezza, gentilezza e malinconia.


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