Quando i grandi classici erano duramente criticati: “Tolstoj e Dostoevskij? Dei mediocri”

Sputnik
Finché furono in vita (o subito dopo), non tutti erano d’accordo sulla grandezza di questi autori. Anzi, subirono dei giudizi piuttosto sprezzanti

Lev Tolstoj (1828-1910)

I più accaniti critici di Tolstoj erano gli attempati ufficiali che avevano preso parte alla guerra del 1812 descritta in “Guerra e Pace” (pubblicato tra il 1865—1869). Lo scrittore (fu anche il primo traduttore in russo della “Divina Commedia” di Dante) e funzionario governativo Avraam Norov (1795-1869), che era un reduce delle guerre napoleoniche scrisse: “Leggendo la prima parte del romanzo, il lettore è colpito inizialmente dall’impressione triste che fa il più alto circolo sociale della capitale, una cerchia di persone che è rappresentata come frivola e quasi immorale…; poi è sorpreso dalla mancanza di un senso più alto nelle operazioni militari e da una quasi totale assenza di valore in combattimento, anche se il nostro esercito è sempre potuto andare orgoglioso di quest’ultimo… Non ho potuto leggere questo romanzo, che afferma di essere storico, senza un senso di offesa ai miei sentimenti patriottici”. In un lungo articolo pubblicato nel 1868, Norov analizzò minuziosamente quelli che considerava i molteplici errori fattuali di Tolstoj nelle sue descrizioni dell’invasione della Russia da parte di Napoleone.

Anche il conte Pjotr Vjazemskij (1792-1878), che aveva preso parte alla guerra e che, a quanto pare, fu per Tolstoj il prototipo del personaggio di Pierre Bezukhov, uno dei protagonisti di “Guerra e Pace”, mise in dubbio la verità storica di quanto narrato. “Nel libro di cui sopra, è difficile giudicare o semplicemente indovinare dove finisce la storia e inizia il romanzo, e viceversa”, scrisse.

Come Norov, Vjazemskij accusò Tolstoj soprattutto della “degradazione” degli eventi e della società del passato. “La storia dovrebbe essere trattata fedelmente, rispettosamente e con amore. Non è blasfemo e, anzi, contrario a tutte le norme di decenza e gusto letterario, ridurre il quadro storico alla caricatura e alla volgarità? Perché un tale disprezzo per i lettori, come se non fossero in grado di immaginare e apprezzare immagini più sublimi e piene di dignità e con una morale?”

Fedor Dostoevskij (1821-1881)

Uno dei primi critici di Dostoevskij fu il suo contemporaneo Nikolaj Mikhajlóvskij (1842-1904), che però osò criticare Dostoevskij solo un anno dopo la morte dello scrittore, nell’articolo “Zhestokij talant” (“Un talento crudele”), del 1882.

Notando che le persone erano pronte a ogni piè sospinto a descrivere Dostoevskij come una “figura centrale” e un “profeta”, Mikhajlovskij bollò tali definizioni come “assurdità”. A suo avviso, Dostoevskij era “semplicemente uno scrittore importante e originale che meritava di essere studiato a fondo”. Mikhajlovskij non fu tenero con Dostoevskij, sostenendo che “la crudeltà e la sofferenza erano sempre stati i suoi veri interessi, e che li aveva affrontati sempre dal punto di vista del loro fascino, dal punto di vista di quella lascivia apparentemente derivata dalla sofferenza”.

Analizzando le opere dello scrittore in modo molto dettagliato, Mikhajlovskij concludeva che “la debolezza del senso artistico delle proporzioni che avrebbe potuto controllare la manifestazione del suo talento crudele e l’assenza di un ideale sociale in grado di regolarle sono le condizioni che contribuiscono alla caduta di Dostoevskij in una spirale che dalla semplicità lo porta alla pretenziosità, dall’umanità alla sofferenza gratuita e senza scopo”.

Ma il critico più accanito di Dostoevskij fu un altro scrittore, Vladimir Nabokov (1899-1977). “Dostoevskij non è un grande scrittore, ma piuttosto mediocre; con lampi di umorismo eccellente, ma, ahimè, con terre desolate di banalità letterarie.” “La mancanza di gusto di Dostoevskij, la sua monotona insistenza con personaggi che soffrono di complessi pre-freudiani, il modo che ha di sguazzare nelle tragiche disavventure della dignità umana, tutto ciò è difficile da ammirare.”

Secondo Nabokov, “Delitto e castigo” è “prolisso, terribilmente sentimentale e mal scritto”. Commentando “L’Idiota”, Nabokov ha detto: “Tutto questo pasticcio pazzesco è intervallato da dialoghi destinati a rappresentare i rispettivi punti di vista dei diversi circoli della società su questioni come la pena capitale o la grande missione della nazione russa. I personaggi non dicono mai nulla senza impallidire, arrossire o barcollare”. Dostoevskij, che Nabokov, per sua stessa ammissione, aveva ammirato in gioventù, divenne poi il bersaglio preferito delle sue critiche.

Anton Chekhov (1860-1904)

Paradossalmente, il critico più severo di Chekhov era Chekhov stesso, specialmente nelle sue lettere ai parenti. “Ho completato un lavoro teatrale. Si intitola ‘Il gabbiano’. Non credo che sia granché. In generale, non sono un bravo drammaturgo”. “È insipido come l’acqua”, scrisse del suo racconto “I fuochi”, “ed è così pieno di filosofie pretenziose da risultare rivoltante… Sto leggendo quello che ho scritto, e in un certo senso è nauseabondo, semplicemente respingente!”

È risaputo che Chekhov non sopportava complimenti ed elogi, ma doveva pur credere di aver scritto anche qualcosa di buono, anche se, certamente, delle opere non popolari. “Non sono contento del mio successo… È un peccato aver scritto così tanta spazzatura, mentre quel poco di buono che c’è, è trattato come un rimasuglio letterario”.

Alcuni dei suoi contemporanei, criticarono Chekhov piuttosto duramente. Innokentij Annenskij (1856-1909), un importante poeta simbolista, scrisse: “Non c’è anima… È un’anima vuota, povera, una margherita senza petali invece di un’anima… Sento che non rileggerò mai più Chekhov. È una mente arida.” Ma riconobbe che Chekhov “ha dimostrato il potere della nostra lingua parlata come forza pura e persino strettamente letteraria. È il suo grande merito.”

Un poeta più grande, Osip Mandelshtam (1891-1938), fu completamente spietato nei confronti di Chekhov. Scrisse dello “Zio Vanja”: “Che enigma inespressivo e triste… Per me è più facile da comprendere lo schema a spirale della Commedia di Dante, con le sue cerchie e percorsi e l’astronomia sferica, rispetto a questa assurdità da due soldi. […] Chekhov raccoglie un campione di umanità ‘limacciosa’, come non è mai esistita. Le persone vivono insieme e semplicemente non riescono a seguire strade separate. È tutto. Basta consegnare loro alcuni biglietti del treno, per esempio alle ‘Tre sorelle’, e il gioco finirà”.


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