Guardando molti film di Hollywood o occidentali che affrontano la realtà russa (o sovietica), i russi sperimentano spesso dei veri momenti da mani nei capelli; di incredulità prossima alla disperazione. Le assurdità fino al nonsense e le bugie che vedono scorrere sullo schermo vanno davvero al di là dell’immaginabile.
Per descrivere questo insieme di invenzioni pazzesche, stereotipi bugiardi, rappresentazioni distorte, balle assurde c’è in russo un’espressione figurata: “kljukva”.
Merita un approfondimento. Il significato letterale della parola “kljukva” è “ossicocco” (o “mortella di palude”); una bacca dall’aspetto simile a un mirtillo rosso. Fin dalla fine dell’Ottocento è però attestata l’espressione idiomatica “razvèsistaja kljukva”; “ossicocco frondoso”, “ossicocco dalle ampie fronde”, usata per deridere il modo inaccurato con cui gli stranieri descrivevano (e descrivono) vari aspetti della realtà russa. La panzana è solenne perché l’ossicocco è una piantina che si alza da terra per due o tre centimetri, e quindi non può certo avere “lunghi rami” ed essere “frondoso”. Questo ironico ossimoro si è poi semplificato nel tempo, e ora basta dire anche solo “kljukva”, per esprimere con chiarezza il concetto che uno straniero l’ha sparata grossa sulla Russia.
Abbiamo dunque valutato una serie di film occidentali, secondo la scala dell’“ossicocco”: una “kljukva” significa che hanno ancora qualche attinenza con la realtà, cinque “kljukva” che sono delle complete bufale; pellicole zeppe solo di fandonie.
L’ambientazione è l’Unione Sovietica degli anni Cinquanta. L’agente della polizia segreta Lev Demidov sta cercando un maniaco che ha già ucciso oltre 40 bambini (la storia prende in parte ispirazione dagli omicidi di Andrej Chikatilo, attivo però trent’anni dopo). Sorprendentemente, i suoi capi vogliono mettere a tacere i crimini, e l’indagine sta diventando pericolosa per lo stesso Lev.
L’unica cosa positiva di Child 44 (regia di Daniel Espinosa; produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Romania, Repubblica Ceca) è il cast d’eccellenza, in cui figurano Tom Hardy, Gary Oldman e Noomi Rapace, con gli attori che, nella versione originale, cercano in modo divertente di parlare inglese con accento russo. Per quanto riguarda tutto il resto, il film è piuttosto imbarazzante.
Il picco delle purghe staliniane, la cosiddetta “Ezhovshchina” (dal nome dello spietato capo dell’Nkvd, Nikolaj Ezhov) che l’Unione Sovietica visse nel 1937-1938, nel film viene spostato di peso negli anni Cinquanta, in un periodo invece relativamente tranquillo, e amplificato fino a proporzioni assurde. All’epoca di Stalin l’Urss non era certo un posto ideale, ma gli autori di “Child 44 - Il bambino n. 44” lo trasformano in un inferno in terra di cui fa le spese circa la metà della popolazione!
Ogni persona sovietica, secondo il film, è una vittima del sanguinario Mgb (che nel 1953 si sarebbe poi trasformato in Kgb). Nell’universo del film, metà della popolazione è composta da agenti di polizia e da loro informatori, mentre l’altra metà sono “nemici del popolo” destinati a fare una brutta fine.
I contadini innocenti vengono giustiziati nei cortili delle case (come monito per gli altri), i professori vengono picchiati nei corridoi dell’università senza alcuna punizione per i colpevoli, e persino gli stessi poliziotti si sparano a vicenda senza temere di essere sottoposti alla corte marziale.
La ciliegina sulla torta è la ragione assurda per cui l’apparato di sicurezza sovietico vuole mettere a tacere tutte le uccisioni. “Non ci sono omicidi nel paradiso socialista”, affermano gli ufficiali.
Child 44 è degno di tutti gli ossicocchi, in quanto totale mistificazione, che demonizza l’Unione Sovietica al massimo livello: sì, 5 “kljukva”.
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Basato su eventi veri, il film racconta la storia dei fratelli ebrei Bielski, che durante la Shoah sono costretti a nascondersi nelle foreste della Bielorussia sovietica occupata dai nazisti. Lì organizzano una potente unità partigiana, che non solo uccide i tedeschi, ma cerca anche di salvare quanti più ebrei possibile.
“Defiance - I giorni del coraggio”, diretto da Edward Zwick, è probabilmente il film di Hollywood più plausibile sulla storia sovietica mai uscito. Descrive accuratamente i dettagli della vita contadina in Bielorussia, così come armi e uniformi. Vediamo rappresentazioni molto realistiche di soldati tedeschi, partigiani e persino di collaborazionisti bielorussi.
Il momento più notevole è quanto il film ritrae l’unità partigiana sovietica che è in contatto con i combattenti del gruppo Bielski. I sovietici non sono demoni mangiatori di bambini, come di solito vengono mostrati nei film occidentali. Sono veri patrioti che combattono ferocemente il nemico. La sera bevono, ma non si trasformano in un’orda frenetica e rimangono abbastanza sobri da respingere ogni possibile attacco. Alcuni di loro sono antisemiti, ma questo non contraddice la verità storica.
Quando il comandante dell’unità Viktor Panchenko si ritira e lascia i combattenti di Bielski senza supporto, non lo fa perché è un malvagio assoluto o un antisemita, ma a causa di necessità tattiche. Si rammarica di dover prendere questa decisione, ma semplicemente non può agire in altro modo.
“Defiance - I giorni del coraggio” ottiene una sola “kljukva”, essendo uno dei migliori esempi di come la storia sovietica dovrebbe essere mostrata al cinema.
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Questo famoso film (diretto da Jean-Jacques Annaud; Paesi di produzione: Usa, Regno Unito, Germania, Irlanda, Francia) è il principale responsabile di vari falsi miti sull’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. “Il nemico alle porte” segue la vita del famoso cecchino Vasilij Zaitsev durante la Battaglia di Stalingrado.
Tuttavia, è difficile dire che questo film sia “basato su eventi veri”. Pieno di assurdità e bugie, mostra l’esercito sovietico come un branco di bestiame, con commissari politici demoniaci.
I soldati sovietici corrono verso le mitragliatrici tedesche letteralmente a mani nude, con un fucile ogni tre persone. Dietro di loro, i commilitoni delle truppe “anti-ritirata” li colpiscono alle spalle.
Se la realtà fosse tale, i sovietici non avrebbero mai vinto la Seconda guerra mondiale. In realtà, l’industria sovietica funzionò in modo così efficace che le truppe furono inondate di armi. Le truppe “anti-ritirata”, a loro volta, operavano principalmente nelle retrovie, catturando sabotatori e disertori, e non sparavano certo nella schiena a chi attaccava al fronte. Se necessario, combattevano poi il nemico come truppe regolari.
E, naturalmente, un film del genere non poteva fare a meno di scene di soldati sovietici ubriachi che danzano attorno a un falò. “Il nemico alle porte” si merita cinque “kljukva”.
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Il film canadese “Raccolto amaro” (regia di George Mendeluk) rappresenta l’Ucraina sovietica degli anni Trenta. Secondo il film, Stalin avrebbe pilotato una carestia forzata per distruggere il popolo ucraino; la grande carestia nota agli storici come “Holodomor”. Gli ucraini affrontano la minaccia mortale dalle truppe sovietiche in arrivo, che requisiscono tutte le scorte di cibo e giustiziano coloro che si oppongono.
Ad oggi, il tema dell’Holodomor rimane molto dibattuto e doloroso. L’Ucraina, sostenuta dall’Occidente, vede la grande carestia del 1932-1933 come un genocidio del popolo ucraino da parte della leadership sovietica. I fatti storici, tuttavia, dicono che la carestia colpì non solo l’Ucraina, ma anche gran parte della Russia sovietica. Causata dalla politica agricola inetta dei comunisti, la carestia non era diretta “etnicamente” contro gli ucraini.
Nei primissimi fotogrammi del film, vediamo un forte contrasto: ucraini felici e radiosi da una parte e bolscevichi russi oscuri e feroci dall’altra. Questa giustapposizione di buoni e cattivi dura fino ai titoli di coda.
“Raccolto amaro” ritrae il popolo ucraino come l’antitesi dell’orda sovietica, dimenticando che gli ucraini erano la seconda più grande e importante nazione dell’Urss, una componente inseparabile della società sovietica.
Se la realtà fosse come raffigurata nel film, milioni di ucraini non si sarebbero mai ribellati contro i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Il film ottiene quattro “kljukva”.
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Questa commedia britannica del regista scozzese Armando Iannucci ha provocato un enorme scandalo in Russia. Di conseguenza, il film, che racconta la lotta politica in Urss per la successione a Stalin, è stato definito “una derisione offensiva del passato sovietico” e vietato nei cinema russi.
È persino difficile giudicare se “Morto Stalin, se ne fa un altro” sia una panzana completa. Il fatto è che il film è, prima di tutto, un’enorme farsa. Le figure storiche qui hanno poco in comune con i personaggi reali e sono mostrate in modo estremamente satirico e grottesco, con tanto di Steve Buscemi a interpretare Nikita Khrushchev.
Quindi diamo al film una valutazione media, di tre “kljukva”.
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Basato su una storia vera, “K-19” racconta l’eroismo di un gruppo di marinai sovietici che nel 1961 impedì una catastrofe nucleare su un sottomarino a propulsione nucleare, sacrificando la vita o la propria salute.
Durante la pre-produzione del film, gli autori avevano avuto lunghe consultazioni con i marinai del sottomarino K-19 sopravvissuti. Quando i marinai videro la prima sceneggiatura, rimasero però scioccati: l’equipaggio dei sottomarini sovietici era mostrato come un gruppo di barbari ubriachi che metteva le mani su uno strumento simile a un sottomarino nucleare senza la minima idea di come usarlo.
“Gli ufficiali picchiavano i loro subordinati e rubavano le arance. Uno di loro si sedeva sul reattore nucleare bevendo vodka. Tutti i marinai dicevano completamente parolacce”, così il tecnico elettricista Boris Kuzmin ha ricordato la sceneggiatura originale.
Indignati, i marinai scrissero una lettera collettiva alla regista (Kathryn Bigelow) e agli attori, che fu presa in considerazione. Oltre il 90% della sceneggiatura venne riscritta.
Sebbene restino alcuni momenti ingenui e assurdi, la versione finale di “K-19” è un film totalmente diverso, generalmente approvato dai veterani del sottomarino sovietico.
Harrison Ford ha centrato il ruolo del capitano sovietico al 100%. Ha davvero scioccato i marinai, ricordando loro il vero comandante. “Guardandolo, ho persino dovuto prendere le medicine per il cuore”, ha detto l’ufficiale Jurij Mukhin.
Uno dei migliori tentativi occidentali di rappresentare la storia sovietica (grazie all’intervento di pesante riscrittura imposto dai marinai) questa coproduzione Regno Unito, Usa, Germania si ferma a 2 “kljukva”.
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Questa miniserie televisiva britannico-americana, creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, ripercorre la cronologia del più famoso disastro nucleare della storia.
“Chernobyl” è un dramma forte, concentrato sulla tragedia della gente comune, che all’inizio non si rende nemmeno conto dell’incubo con cui ha a che fare.
L’adeguata rappresentazione di luoghi, edifici, mezzi di trasporto e persino dei più piccoli dettagli, come le uniformi dei pompieri sovietici e i fazzoletti rossi dei Pionieri, rendono la serie un successo. In Italia, andrà in onda dal 10 giugno 2019 su Sky Atlantic. Diamo a “Chernobyl” solo una “kljukva” perché è una serie davvero ben fatta.
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