Avdotja Istomina (1799-1848)
Al tempo dei suoi trionfi sulla scena, non solo non c’erano i forum online sul balletto, ma neanche le recensioni sui giornali. Eppure, nella mente di ogni russo, l’idea di ballerina si associa a questo nome: Avdotja Istomina, alla quale sono dedicati versi persino nell’“Eugenio Onegin” di Aleksandr Pushkin: “Vedrò ancora volar l’anima/ d’una russa Tersicore?”.
Lei e Pushkin erano nati nello stesso anno, e la Istomina era un idolo di quella generazione. Non era una bellezza nel senso più banale del termine, ma tutti restavano rapiti dallo scintillio di fuoco dei suoi occhi neri, dalla sua grazia e dalla sua prestanza.
Formatasi all’Istituto teatrale di San Pietroburgo, fin da giovanissima la Istomina entrò sulla scena a livello professionale e, a 17 anni, si diplomò come prima ballerina.
Grazie all’attività didattica del coreografo e ballerino francese Charles Didelot (1767-1837), sulla scena di San Pietroburgo si misuravano le migliori artiste. Ma la carriera della Istomina fu straordinaria. Lei univa la bellezza plastica di una statua classica con il talento nella recitazione e una tecnica virtuosa. Caratteristiche grazie alle quali una delle prime ballerine sulle punta delle dita è rimasta una leggenda ancora oggi.
Anche la vita privata di questa ballerina di successo fu invidiabile: seppur figlia di un capo della polizia con il vizio del bere, e rimasta orfana a sei anni, visse poi come un’aristocratica. Ma a 18 anni dette scandalo perché fu causa di un doppio duello, nel quale morì il suo amante, il conte Vasilij Sheremetiev.
Ma sulla vita teatrale della Istomina il fatto non ebbe ricadute: lei proseguì a danzare in modo sublime.
Quando però le gambe, che avevano sempre avuto una così grande forza e resistenza, iniziarono a indebolirsi ed ebbe un incidente di scena nella stagione 1835/36, chiese un periodo di riposo per rimettersi in salute, ma l’imperatore Nicola I dette ordine di “licenziarla immediatamente”.
Praskovja Lebedeva (1839-1917)
Nel firmamento del balletto, sfrecciò alla velocità di una cometa. A otto anni Praskovja era già un’allieva dell’Istituto teatrale di Mosca, a dieci prendeva parte agli spettacoli del Bolshoj e a 16 debuttò da protagonista. I critici scrivevano che a livello tecnico la Lebedeva aveva solo una concorrente, la pietroburghese Marfa Muravjeva, ma quanto a espressività recitativa non aveva pari.
Nel corpo di ballo moscovita, che all’epoca non era troppo ricco di talenti, fin dai tempi della scuola poteva fungere da prima ballerina. E nel 1857 il ruolo diventò ufficiale. Veniva continuamente invitata a ballare a San Pietroburgo, e debuttò anche all’Opera di Parigi, essendo la prima ballerina russa a potersi permettere di dettare le proprie condizioni alla direzione del teatro della capitale di Francia. Furono tutte accettate, ma dopo le prove generali, svolte con grande successo, lo spettacolo venne annullato per “motivi tecnici”.
La Lebedeva toccava le corde più intime dell’animo dei suoi contemporanei con i ruoli di Giselle, di Esmeralda e di Margherita nel “Faust”. Dopo l’addio alle scene di Marfa Muravjeva (che si era sposata e dunque per legge non poteva continuare a lavorare in teatro), la Lebedeva fu trasferita d’imperio a San Pietroburgo. Il suo successo crebbe, così come il numero di ruoli da interpretare.
Aveva appena 28 anni, quando, durante uno spettacolo, subì una grave ustione a un occhio, che la rese quasi cieca, obbligandola a dare l’addio alle scene. La sua vita privata invece proseguì felicemente: si sposò con un membro dell’antica famiglia nobile Shilovskij e iniziò a insegnare danza, nell’istituto dove si era formata.
Matilda Kshesinskaja (1872-1971)
Nessuno saprà mai cosa abbia detto davvero l’Imperatore Alessandro III salutando le neodiplomate ballerine dell’Istituto teatrale di San Pietroburgo. Ma nella memoria della Kshesinskaja le sue parole suonavano così: “Siate il lustro e l’orgoglio del balletto russo”. Quel giorno di aprile del 1890 si rivelò il più importante della sua vita anche per un altro motivo: fece conoscenza con l’erede al trono Nicola II. La loro storia d’amore scandalizza ancora oggi, come dimostrano le polemiche per il film sulla vicenda, figuriamoci allora.
La Kshesinskaja seppe utilizzare la sua relazione per la carriera. Ma bisogna dire che la perfezione della sua danza incantava tutti gli spettatori del Mariinskij, da quelli in piccionaia agli habitué dei palchi imperiali.
La Kshesinskaja è passata alla storia come la ballerina ideale del maître de ballet Marius Petipa, sebbene nessun’altra danzatrice riuscisse, con le sue uscite, a far perdere le staffe all’anziano maestro, come lei. Brillava nei balletti dove interpretava parti drammatiche (“La figlia del faraone”), parti comiche (“La fille mal gardée”) e parti tragiche (“La Esmeralda”), quasi più luminosa, in quest’ultimo caso, delle pietre preziose sul costume di scena della triste zingara di cui vestiva i panni.
Ma i gioielli non accompagnarono a lungo la vita della prima ballerina. Nel 1917, dopo la Rivoluzione di febbraio, fu costretta a fuggire segretamente dal suo villino Art Nouveau di San Pietroburgo (fu occupato personalmente da Lenin per qualche tempo), con il figlio quindicenne, e due anni dopo lasciò per sempre la Russia. In esilio, aprì una scuola di balletto, a Parigi, dove studiarono anche la leggenda del balletto inglese Margot Fonteyn e la mitica ballerina francese Yvette Chauviré. Morì nel 1971, sempre a Parigi, non arrivando per pochi mesi a compiere cent’anni. Riposa nel cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-des-Bois.
Anna Pavlova (1881-1931)
Con i suoi spettacoli Anna Pavlova più d’una volta fece il giro del mondo, anche in un’epoca in cui ancora non erano certo diffusi gli aeroplani. Difficile trovare un posto sulla mappa del mondo dove non abbia ballato: Stati Uniti, India, Australia, Giappone, Argentina, Uruguay, Cuba… In molti di questi Paesi videro per la prima volta il balletto proprio grazie a uno spettacolo della Pavlova. Il segreto ammanta la sua nascita. Ufficialmente i suoi genitori erano una lavandaia di San Pietroburgo e un militare a riposo, ma una ostinata leggenda la vuole figlia illegittima di un banchiere. L’infanzia la passò in una incredibile povertà. Per cui un biglietto per vedere al Teatro Mariinskij la “Bella addormentata” fu un vero terremoto nella sua vita: mai prima aveva visto quel mondo fatto di eleganza, lusso e bellezza. La piccola Pavlova stupì la mamma, dicendo che voleva ballare e diventare quella principessa addormentata. Alla realizzazione di questo sogno infantile, Anna dedicò tutta la vita.
Si diplomò all’Istituto di San Pietroburgo; nei ruoli da protagonista ne “La Bayadere” e “Giselle” salì ai vertici del Teatro Mariinskij, e grazie al poster di Valentin Serov divenne l’emblema della prima “stagione russa” di Diaghilev a Parigi.
La sua immagine è stata cristallizzata per sempre da Mikhail Fokin, che per lei pensò una miniatura coreografica del “Cigno” e del settimo valzer nel balletto “Les Sylphides”. Lo spirito inquieto delle sue eroine era figlio dell’atmosfera dell’epoca, e quindi trovava grande accoglienza ovunque nel mondo. La nota “torta Pavlova” fu battezzata così in suo onore. Ma non chiedetela in Russia, è la torta nazionale in Nuova Zelanda e in Australia, creata in occasione di una sua tournée in Oceania negli anni Venti.
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