Quattro film “d'oro” a Venezia

Una scena tratta dal film "Il ritorno" di Andrey Zvyagintsev. Il regista a Venezia si aggiudicò due Leoni d’Oro, uno come autore del film e l’altro come regista esordiente (Foto: Kinopoisk)

Una scena tratta dal film "Il ritorno" di Andrey Zvyagintsev. Il regista a Venezia si aggiudicò due Leoni d’Oro, uno come autore del film e l’altro come regista esordiente (Foto: Kinopoisk)

Si è aperta al Lido la 72esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, una tra le più antiche, importanti e prestigiose rassegne del pianeta, che si svolgerà fino al 12 settembre. Rbth rispolvera alcuni film russi in passato vincitori del Leone d'oro

Andrey Tarkovsky, L'infanzia di Ivan, 1962

La mostra fece scoprire al mondo un nuovo genio della cinematografia, Andrey Tarkovsky. Il suo film d’esordio, "L'infanzia di Ivan" (sotto, il trailer), suscitò grande scalpore e il trentenne regista subito s’impose  come una delle maggiori promesse del cinema mondiale. La narrazione, di rara profondità psicologica, esplora il mondo interiore del dodicenne Ivan, che dopo aver perso la madre in guerra, si arruola nei servizi segreti per vendicarsi.

L'istintivo amore infantile viene sostituito dall’odio e solo i sogni restituiscono al ragazzo la felicità degli anni per sempre perduti. Il mondo duro e tragico del film si fonde con la visione poetica e la luce che promana da questi sogni. La stupefacente intensità dell’immagine in bianco e nero è opera del fotografo Vadim Yusov. Oltre al Leone d’Oro, il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti ai festival internazionali, inclusi i premi più prestigiosi ai festival di San Francisco e Acapulco.

Sokurov: "Risvegliamo
la cultura"

Nikita Mikhalkov, Urga-territorio d’amore, 1991

Nikita Mikhalkov ha trionfato alla Mostra con il suo film più esotico "Urga-territorio d’amore", coprodotto con i francesi. Già celebre per i suoi altri film precedenti, incluso l’universalmente noto "Oci ciornie", Mikhalkov portò a Venezia al culmine della sua fama un’opera divertente e commovente che racconta la storia di una famiglia che vive nella Mongolia Interna e che ha già allevato tre bambini, il limite massimo di figli consentito per legge per ogni nucleo familiare. Il giovane marito va in città in cerca di preservativi, ma acquisterà invece una bicicletta, un televisore e un berretto e tornerà a casa con la ferma intenzione di continuare la specie. Nella narrazione buffa e insieme poetica, un sottile intimismo lirico si fonde alla dimensione epica, confermando le elevate doti registiche di Mikhalkov. Oltre al Leone d’oro, il film fu premiato anche dall’Organizzazione cattolica per il cinema Ocic e ottenne una nomination ai César, ai Golden Globe e agli Oscar.

Andrey Zvyagintsev, Il ritorno, 2003

Il 2003 fu segnato dalla scoperta di un nuovo nome, quello di Andrey Zvyagintsev. Originario di Novosibirsk e attore dilettante, girò un film minimalista, essenziale, "Il ritorno" (sopra, il trailer), che narra la storia di un padre spuntato quasi dal nulla che decide di intraprendere un viaggio con i due figli adolescenti. Ambientato in un tempo e in uno spazio indefiniti, il film è una parabola sul trauma del crescere senza padri e sulla difficoltà di comunicazione tra persone fino a poco prima estranee l’una all’altra. Non contando più di tanto sul suo successo, il distributore russo mandò il film alle commissioni di selezione di alcuni festival europei, e Locarno e Venezia finirono col contenderselo. Venezia ebbe la meglio e ben presto una sala gremita fino all’inverosimile tributò agli autori del Ritorno un’ovazione della durata di venti minuti. Per la prima volta nella storia della Mostra del Cinema di Venezia Zvyagintsev si aggiudicò due Leoni d’Oro, uno come autore del film e l’altro come regista esordiente. L’opera fece incetta di riconoscimenti. Oltre a Venezia, fu premiata all’European Film Awards, ricevette tre premi a Gijón, ottenne il premio come  miglior film ai festival del Cinema del Messico e di Stoccolma e la nomination ai César e ai Golden Globe.

Aleksandr Sokurov, Faust, 2011

Il film, che rappresenta la quarta parte della tetralogia dedicata alla fenomenologia del potere che comprende oltre a "Faust", "Moloch", "Taurus" e "Il sole", fu coprodotto con la Germania e girato in lingua tedesca. Non si tratta di una trasposizione fedele dell’opera di Goethe, ma di un affresco basato sulle interpretazioni classiche del mito di Faust in cui i personaggi sono proiettati nel contesto del XIX secolo e dove si aprono di associazioni e parallelismi inediti. Il personaggio di Mefistofele viene sottoposto a una radicale trasformazione fino a diventare un mostro senza età che ha il torso di un impotente ermafrodita. Lo stesso Faust è un uomo che non ha bisogno di ringiovanire, che brama il potere sugli uomini e sul mondo. Non gli occorre neppure il diavolo e anzi cerca di sbarazzarsi di lui. Incarna il modello del cinico opportunista pronto a calpestare anche i cadaveri. Sokurov si serve della forza della parola e della maestria pittorica dell’operatore realizzando delle scenografie grandiose. Accompagnato dalle musiche di Andrey Sigle, il "Faust" di Sokurov rassomiglia a una malvagia sinfonia sull’esistenza. “È un film che può cambiare la vita di chi lo vede”, aveva dichiarato il presidente della giuria, Darren Aronofsky, consegnando al regista il Leone d’Oro.   

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