Vittorio Strada, negli anni docente all'Università Ca' Foscari di Venezia ed ex direttore dell'Isituto Italiano di Cultura di Mosca, è considerato ancora oggi uno dei più importanti slavisti italiani ed esperti del mondo russo (Foto: Luca Ferrari)
Ha brindato con Pasternak nella sua dacia a Peredelkino e si è seduto a tavola con i più grandi scrittori del XX secolo. Ha assistito alla metamorfosi russa del Novecento ed è finito in carcere con Solzhenitsyn per aver cercato di portare una sua lettera fuori dall'Unione Sovietica.
Dopo aver insegnato per molto tempo all’Università Ca’ Foscari di Venezia e aver guidato l’Istituto Italiano di Cultura di Mosca, a 83 anni, Vittorio Strada è considerato ancora oggi uno dei più grandi critici e slavisti italiani, fra i massimi esperti del mondo russo e delle sue indecifrabili ambiguità.
Seduto davanti a una finestra in una casa del centro di Roma, Strada ripercorre il periodo del dissenso, rivivendo gli anni in cui frequentavai più grandi letterati dell’epoca, fra cui Nekrasov che lui stesso chiamava “amico”, egli esponenti del Novij Mir, mangiando piroghi alla mensa dell'Università Mggu di Mosca. Mentre fuori il Paese si avviava verso il lento tramonto del sogno sovietico.
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Se dovesse raccontare la Russia a una persona che non l'ha mai vista, cosa direbbe?
La Russia è un Paese complesso, caratterizzato da una serie di problemi difficili da decifrare anche per gli specialisti: si tratta del Paese "europeo" (e le virgolette non sono casuali) più complicato, nel suo passato così come nel suo presente. D'altronde è una realtà continuamente alla ricerca della propria identità, prima come impero zarista, poi come Unione Sovietica e ora come Nazione.
Quindi, cosa suggerirebbe di fare a chi non c'è mai stato ed è interessato a conoscere questo Paese?
Se una persona è interessata alla Russia da un punto di vista turistico, suggerirei di visitarne i paesaggi, i monumenti. Consiglierei di entrare nei musei, di fare un giro sui battelli e di mangiare nei migliori ristoranti. Non capirà del tutto la Russia, ma avrà una serie di belle impressioni.
Foto: Luca Ferrari |
Lei ha vissuto in Russia molti anni, anche a capo dell'Istituto Italiano di Cultura. Come ha visto cambiare questo Paese?
Ho conosciuto la Russia quasi staliniana. Poi, dagli anni Cinquanta in avanti, ho visto un cambiamento lento e strepitoso: una rottura che in realtà non è avvenuta con la fine dello stalinismo, bensì con la caduta dell'Unione Sovietica. Poi ho assistito anche a un altro profondo cambiamento: il passaggio dalla Russia caotica e speranzosa, preda delle illusioni nate con la transizione dall'autoritarismo totalitario alla democrazia, a una nuova forma di autoritarismo, quello attuale. Quindi da una fase farraginosa, caotica e generosa, quasi anarchica, del periodo eltsiniano, a una stabilizzazione apparente, che è frutto di un benessere superiore a quello precedente. Un cambiamento poderoso sul piano economico, politico e culturale, così come nella sfera quotidiana e psicologica. Ho insomma assistito alla fine del mito russo, della Russia ortodossa prima e del mito sovietico poi. Ora la Russia si trova davanti a una complessa realtà, carica di nostalgia (la nostalgia di sentirsi diversi e superiori), e che spiega in qualche modo la nascita del forte nazionalismo diffuso ancora adesso nella Federazione.
Si ricorda il momento in cui ha messo piede per la prima volta in Urss?
Vinsi una borsa di studio per Mosca e raggiunsi Odessa in nave. Arrivai portando con me il mito della Rivoluzione. E con l'illusione di trovare un mondo diverso. Ad ogni stazione venni accolto da una folla delirante: era il 1957, e di stranieri se ne vedevano pochi. C'era l'idea dell'italiano canterino, e ci accoglievano pregandoci di intonare canzoni del tempo. Pezzi partigiani. Ci vedevano quasi come degli alieni e sfogavano così questa voglia di prendere contatto con un mondo estraneo e diverso dal loro.
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Com'era la sua vita moscovita?
Arrivai con un dottorato di ricerca, vivevo nella casa dello studente, nel cosiddetto obshezhitie. Avevo una stanzetta con il bagno in comune e mangiavo nella mensa dell'università, che, a mio giudizio, non era per niente male. Da straniero, conducevo una vita tutto sommato privilegiata, nonostante avessi gli occhi delle autorità sempre puntati addosso. E proprio lì avvenne l'incontro fatale con mia moglie.
Immagino che fosse sempre stato circondato da persone interessanti.
Certo. Conoscevo Pasternak. In quel periodo stavo scrivendo un articolo su di lui e sulla sua figura di poeta: gli piacque moltissimo e mi invitò a casa sua. Ma non potei andare da solo: venni quindi accompagnato da una persona, membro dell'Unione degli Scrittori, che col tempo divenne mio amico. Ci recammo insieme da Pasternak, che a fine serata mi diede un volume e mi disse: "Vittorio, questa è la mia nuova autobiografia. La legga e me la riporti". Io la presi e qualche tempo dopo, del tutto ingenuamente, chiesi al mio accompagnatore di poter fare delle fotocopie, per portare il libro con me in Italia e leggerlo con calma. Lui mi guardò e scuotendo il capo mi disse: "Temo che non sia possibile. Da noi non si usa". Solo molto tempo dopo scoprii che lui era il mio kurator, ingaggiato dal Kgb per tenermi d'occhio e rispondere di quello che facevo. Mi dimostrai estremamente ingenuo.
Pasternak è comunque solo uno dei tanti personaggi che hanno segnato la storia della Russia e che Lei ha conosciuto personalmente...
Beh sì, negli anni conobbi molta gente: Mikhailkov, Solzhenitsyn, Nekrasov, Tvardovskij, Tarkovsky, Evtushenko e tutti i massimi esponenti del dissenso.
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Di chi serba il miglior ricordo?
Sicuramente di Pasternak e Solzhenitsyn. Ma anche di Tvardovsky, con il quale bevvi vodka in un albergo di Firenze durante una delle conversazioni più aperte e sincere della mia vita. Un incontro che mi aiutò a capire che cosa stava maturando veramente in Russia.
Ci racconti qualche aneddoto...
Portavo con me una lettera di Solzhenitsyn. Fui pescato all'aeroporto di Mosca e ci misero tutti in gattabuia per una giornata. Poi evidentemente intervenne qualcuno per evitare lo scandalo.
Qual è il suo scrittore preferito?
Sarò banale, ma sicuramente Chekhov e Dostoevskij. Senza dimenticare Pushkin, verso il quale nutro un atteggiamento quasi religioso. Se invece tralasciamo i classici, amo molto Pasternak. Oggi seguo parecchio anche Pelevin e Sorokin.
Letterature allo specchio |
Se dovesse consigliare qualche libro, che autori citerebbe?
Pasternak, Solzhenitsyn e Grossman: i grandi del tardo periodo sovietico. Capaci, dall’interno, di dipingere un quadro sentito e veritiero, ma anche drammatico e sofferto, di cosa avvenne in quegli anni.
Che percezione c'è oggi in Italia della letteratura russa?
La letteratura russa classica per l'Italia è stata una letteratura essenziale. Poi è arrivato il mito sovietico, fonte di grandi innamoramenti. Ora invece è una letteratura immeritatamente molto marginale, anche se sforna prodotti che non sono per niente peggiori rispetto ai bestseller europei. Però sono così specificatamente legati alla realtà russa che fanno fatica ad attecchire da noi: davanti a un romanzo russo contemporaneo il lettore deve essere predisposto a entrare in un mondo molto diverso, ambiguo, complesso e poco chiaro anche a se stesso.
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