Il 4 novembre gli abitanti della Russia celebrano la Giornata dell’Unità nazionale, una ricorrenza relativamente nuova che è entrata a far parte delle nostre vite nel 2005. Questa festa ha fatto la sua comparsa per una serie di ragioni del tutto comprensibili. L’istituzione di una nuova nazione russa, e non sovietica, esigeva nuovi simboli. Occorreva trovare un evento vicino al 7 novembre (l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre è stata la festa ufficiale dell’Unione Sovietica dal 1918 al 1991 Ndr) che potesse competere con la tradizione sovietica.
La Giornata dell’Unità nazionale affonda le sue radici storiche nei primi anni del XVII secolo quando, dopo la cacciata degli eserciti polacchi dalla Russia e l’elezione dello zar Mikhail Romanov, ebbe fine il Periodo dei Torbidi (un periodo di caos nazionale e conflitti dinastici durato dal 1598 al 1613 Ndr) e venne istituita questa festa. Importante e opportuna per il governo. Ma, a mio avviso, essa è priva del necessario pathos emozionale e non sempre delle celebrazioni statali concepite in modo astratto possono avere efficacia.
Sono certo che nella Russia contemporanea non esista nessuna festa che unisca di più russi del 9 maggio, il Giorno della Vittoria dell’Urss nella Grande guerra patriottica e nei conflitti della Seconda guerra mondiale. Questa guerra è tuttora sentita da tutti i cittadini russi e ha segnato i loro destini e i loro legami più intimi. Il ricordo della guerra, l’orgoglio per la vittoria, per i genitori, per i nonni, gli zii che avevano vissuto quel periodo unisce indubbiamente la storia sovietica e la nuova storia russa. I cittadini russi odierni hanno un rapporto variegato col passato sovietico.
Ma sono decisamente più liberi nei loro giudizi dei cittadini sovietici. La nostra Costituzione garantisce dei diritti civili che i cittadini sovietici non potevano neppure sognarsi: il diritto alla libera circolazione, alla libertà d’espressione e il diritto di proprietà. La Russia odierna è un Paese capitalista dove lo Stato cerca di adempiere alle proprie responsabilità sociali verso i cittadini, il che risulta estremamente difficile nell’attuale congiuntura economica.
È cambiato il ruolo della religione nella vita sociale. La libertà di coscienza è stata ratificata dalla Costituzione e ha promosso uno sviluppo delle confessioni religiose tradizionali nel nostro paese: ortodossia, islamismo, ebraismo e buddismo. Ma proprio a causa di questa molteplicità confessionale nessuna delle suddette fedi religiose può diventare religione di Stato. Inoltre la Russia è uno Stato laico.
Oggi accade alquanto spesso – e a mio avviso in modo non corretto – di guardare al patriottismo come a una ideologia nazionalista. Ritengo che questa visione sia sbagliata. Il patriottismo è un sentimento insito nell’uomo, come l’amore per i genitori, e di norma slegato da convinzioni politiche. Le sue manifestazioni dipendono senza dubbio dal grado di educazione. Tuttavia, è importante che la società e i singoli riescano a distinguere tra patriottismo e nazionalismo.
Non va dimenticato che il patriottismo è radicato in tutti i popoli. Nel popolo russo, come in quello tataro, bashkiro o ceceno (in Russia rispettivamente il primo, il quarto e il sesto per entità numerica Ndr). Naturalmente, ogni popolo ha la propria lingua e il proprio retaggio non materiale fatto di costumi, tradizioni e regole di condotta e la propria cultura artistica. Molte sono le differenze presenti anche in popoli che appartengono allo stesso gruppo linguistico o uniti dalla stessa fede religiosa. Proprio per questa ragione occorre essere estremamente prudenti in una sfera delicata come quella dei rapporti nazionali. La Russia è un Paese dove il multiculturalismo si accompagna a regole di condotta comuni a tutti cittadini. Non nascondo che talvolta risulta estremamente difficile salvaguardare un equilibrio di interessi tra popoli diversi che vivono fianco a fianco.
La Russia è un Paese segnato dai cambiamenti che tuttavia ha in sé un’elevata dose di inerzia. Ciò è legato ai suoi immensi spazi e alla sua storia tragica che ha influito sulla formazione delle persone vi abitano. Questo conservatorismo della vita russa è stato raccontato di recente dal regista Andrey Konchalovsky nel suo film “Le notti bianche del postino Aleksey Triapitsyn”.
Aleksey Balabanov, scomparso nel maggio 2013, in tutti i suoi film degli anni Duemila da “Brat”, “Brat 2” a “Cargo 2000” ha raccontato la mutazione dell’uomo russo di fronte ai bruschi rivolgimenti della storia. Mentre altri cineasti russi – dai maestri della vecchia generazione ai giovani autori – hanno affrontato nelle loro opere il tema dell’“uomo e la guerra” che è sempre stato parte della vita e della cultura russa.
L’autore è stato ex ministro della Cultura della Federazione Russa dal 2000 al 2004 e presidente dell’Agenzia federale della cultura e della cinematografia dal 2004 al 2008. Attualmente è direttore scientifico dell’Alta Scuola di cultura politica e del settore umanistico dell’Mgu.
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