Le strade sono linee rette parallele. Sembra che siano state tracciate sul terreno della città con un grande rastrello. Sulle insegne, i caratteri cirillici hanno un font gotico, e le case in mattoni hanno tetti a quattro falde e camini fumanti. Nella piazza centrale c’è un’antica chiesa luterana. Siamo nella città chiamata Marx, nel nord della regione di Saratov, circa 910 chilometri a sudest di Mosca.
Venne fondata nel 1765 da coloni tedeschi che giunsero nella lontana Russia su invito dell’imperatrice Caterina la Grande. Allora Karl Marx non era neppure nato e chiamarono la città Ekaterinenstadt, proprio in onore della sovrana che li aveva fatti venire fin lì, anche se a lungo il nome venne usato assieme a quello di Baronsk.
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Nel 1915, con la Prima guerra mondiale, il nome venne russizzato in Ekaterinograd. Ma dopo la Rivoluzione i bolscevichi si impegnarono a cambiare tutti i vecchi nomi imperiali con nuovi nomi comunisti, e già che c’erano fecero ritornare il “città” del toponimo alla versione tedesca. Si ebbe così, dal 1920, Marxstadt. Ma dopo l’invasione nazista, i nomi germanici di nuovo divennero indigesti e, nel 1942, un anno dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa e la deportazione dei tedeschi del Volga in Siberia e in Kazakistan, la città divenne semplicemente Marx. Nome che ha superato indenne la parziale decomunistizzazione toponomastica di inizio anni Novanta
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Prima della deportazione, quasi il 90% dei residenti di questa zona erano tedeschi, il resto erano russi. Oggi è esattamente il contrario (la popolazione di Marx oggi è di 30 mila persone). Sebbene i tedeschi del Volga abbiano acquisito da tempo il diritto di tornare nei loro territori, pochi lo hanno fatto effettivamente. Qualcuno è rimasto in Siberia (oggi ci sono addirittura due “distretti nazionali tedeschi” in Siberia; uno nella Regione di Omsk, con capoluogo Azovo, e uno nel Territorio degli Altaj, con capoluogo Halbstadt), qualcun altro ha preferito andare in Germania. Tuttavia, tra i loro discendenti ci sono anche coloro che non solo sono tornati nella zona delle origini, ma che cercano anche di far rivivere e preservare lo speciale patrimonio culturale e storico degli antichi insediamenti tedeschi del Volga.
Chiesa con vista su Lenin
“I miei nonni sono di Mariental [dal 1942 “Sovetskoe”, nella regione di Saratov; ndr]. Ricordavano sempre il Volga con affetto e volevano tornarci”, afferma Elena Kondratievna Geidt, che da quasi due decenni dirige l’organizzazione pubblica dei tedeschi russi nel distretto Marksovskij. Negli anni sovietici, tutta la sua numerosa famiglia viveva in Kazakistan, ma non dimenticarono mai le tradizioni dei tedeschi del Volga nemmeno lì. “Sono cattolica fin dall’infanzia, anche se nella mia giovinezza sovietica ero la segretaria dell’organizzazione comunista giovanile Komsomol. Ma a casa tenevamo riti cattolici; celebravamo privatamente le nostre feste, perché le chiese erano bandite”. Elena è una di quelle rare persone che conoscono ancora bene il vecchio dialetto dei tedeschi del Volga, tuttavia, non ha nessuno con cui parlarlo.
“A metà degli anni Ottanta, siamo tornati sul Volga. Poi i miei genitori, così come le mie sorelle e i miei fratelli, sono partiti per la Germania, mentre io e mio marito siamo rimasti qui”, racconta Elena. Nel 1972, in Urss, a tutti i tedeschi sfollati venne ridato il diritto alla libera circolazione e furono autorizzati a tornare nelle zone di provenienza, ma non nella località in cui avevano vissuto prima (apparentemente, per evitare rivendicazioni di proprietà). Negli anni Ottanta, nelle condizioni del tardo socialismo e di un atteggiamento più liberale nei confronti dei cittadini, iniziò il processo di ritorno dei tedeschi nella regione del Volga. Tuttavia, la popolazione locale non era molto contenta e molti tedeschi del Volga approfittarono della legge adottata dalla Repubblica federale di Germania nel 1953 sui rimpatri, nonché della “perestrojka”, grazie alla quale era diventato più facile uscire dall’Urss, e partirono per la Germania. “Coloro che se ne sono andati conoscevano perfettamente la lingua e si sono integrati senza problemi nell’ambiente tedesco. Ma io mi sono davvero innamorata della regione del Volga e in particolare della città di Marx, e sono rimasta”, afferma Elena.
Quando nell’antichità i tedeschi si insediarono in queste lande desolate, ci fu una chiara divisione delle colonie in luterane e cattoliche. Marx era l’unica città in cui vivevano rappresentanti di entrambe le confessioni. E in città c’è sempre stata una chiesa luterana e una chiesa cattolica. Gli anni sovietici hanno però leggermente corretto l’aspetto storico: ora di fronte alla chiesa luterana c’è un monumento a Lenin e il palazzo dell’amministrazione locale. Alle loro spalle, ai nostri giorni, è stato eretto un monumento a Caterina II, simile a quello che c’era già prima della Rivoluzione.
Ma molti edifici storici si sono perfettamente conservati in città e una passeggiata per le vie del centro si trasforma in un emozionante viaggio nel passato. “Tra tutti i centri distrettuali della zona, Marx è quello in cui l’architettura tedesca è rimasta più intatta”, afferma lo storico locale Aleksandr Kirsanov. “Ecco le case dove vivevano il mio trisavolo e il mio bisnonno. E in alcuni luoghi si trovano anche mobili antichi dell’artel [una sorta di cooperativa artigiana; ndr] locale, e strumenti di un secolo fa”.
La casa in cui vive Elena a Marx è stata costruita nel XIX secolo. Ha una stufa “olandese” rivestita di piastrelle. “Su una di queste piastrelle c’è l’anno di costruzione: 1868. Nulla può distruggerla. E anche quando abbiamo messo il gas, abbiamo lasciato la stufa. Basta accenderla per un paio d’ore e scalda la casa per tutta la giornata”.
Ma, probabilmente, è l’arte culinaria la cosa che si è meglio conservata qui: le persone del posto, sia russi che tedeschi, cucinano ancora le ciambelle dette “kräppel”, il maiale foderato di verza, i crauti con il purè e, naturalmente, il re della tavola è il “rivel kuchen”, una torta fatta con farina, zucchero e burro.
L’entusiasmo del ritorno
“All’inizio degli anni Duemila, eravamo una comunità chiusa. Studiavamo la lingua, cantavamo canzoni e i giovani non conoscevano nemmeno la storia tedesca di Marx: pensavano che tutti questi edifici fossero stati costruiti dai prigionieri di guerra tedeschi… Poi abbiamo iniziato a lavorare con vari storici locali, a prendere sovvenzioni e a pubblicare libri”, dice Elena. Così, gradualmente, la gente del posto si è resa conto che i tedeschi del Volga sono praticamente paragonabili a un gruppo etnico indigeno della Russia multinazionale, che è intrisa anche della loro operosità e cultura.
La Casa russo-tedesca ora tiene corsi per tutti: ci sono circoli di interesse sia per i giovani che per gli anziani. “Abbiamo corsi di tedesco tenuti da un insegnante madrelingua, e ensemble musicali tedeschi si esibiscono qui. Collaboriamo con tutti i centri culturali tedeschi nella regione di Saratov: ce ne sono ben 22. E questi progetti sociali non sono solo per i tedeschi, ma per tutti i residenti della città”.
“Conoscevo i tedeschi del Volga, ovviamente, fin dall’infanzia. Mia madre viveva nel villaggio di Niedermonjou (ora Bobrovka) nel distretto Marksovskij”, racconta Aleksandr Shpak, della Regione di Volgograd, “Ma da nessuna parte si parlava della Repubblica dei tedeschi del Volga [nei primi anni sovietici e prima della deportazione, c’era infatti un’entità statale, la “Repubblica socialista sovietica autonoma dei tedeschi del Volga”, poi soppressa nel 1941. Occupava parte delle moderne regioni di Volgograd e Saratov, lungo il Volga, con un’estensione di circa 28 mila chilometri quadrati e una popolazione che prima della Seconda guerra mondiale superava i 600 mila abitanti; ndr]. Quindi ho cercato informazioni a poco a poco”.
Nel 2009 ha deciso di girare per gli ex cantoni tedeschi (così venivano chiamati i distretti tedeschi nei primi anni sovietici) e ha compilato una mappa interattiva che mostra nomi toponimi vecchi e nuovi. Basel (“Basilea”) è diventata Vasilevka, Strassburg (“Strasburgo”) è ora il villaggio di Romashka, Mannheim il villaggio di Marinovka. “Se non conosci la storia, non diresti mai che questo o quel villaggio un tempo era tedesco. Naturalmente, se non fosse per tutte queste chiese in rovina”, racconta Aleksandr. A un primo sguardo sommario, infatti, gli insediamenti sembrano spesso degli ordinari villaggi russi, ma poi le chiese luterane in pietra e le chiese protestanti nel mezzo della steppa del Volga conferiscono loro un aspetto insolito.
Una Zurigo nell’entroterra russo
Gli ex villaggi tedeschi sorgevano lungo il Volga per centinaia di chilometri. Ora ci sono grandi arterie stradali, stazioni di servizio e caffetterie. Ma 250 anni fa c’erano, come in una canzone russa, solo “steppe e steppe tutt’intorno”.
Decine di antiche chiese luterane e cattoliche sono sparse nelle ex colonie tedesche, la maggior parte delle quali ora sono abbandonate, e la sorte peggiore non l’hanno avuta durante la lotta dei bolscevichi contro la religione negli anni Trenta, ma con la crisi economica seguita al crollo dell’Urss. La chiesa luterana di Gesù Cristo nel villaggio di Zorkino (vicino a Marx), che molti chiamano ancora Zürich (“Zurigo”), è stata la più fortunata. Oggi non solo è stata restaurata ma è diventata uno dei principali luoghi di memoria delle radici tedesche di questi luoghi.
Questa chiesa di un piccolo villaggio di meno di mille persone fu costruita nel 1877 dall’architetto berlinese Johann Eduard Jacobsthal (1839–1902), noto per le stazioni ferroviarie di Berlino e Strasburgo. Il luogo sacro poteva ospitare tutti gli abitanti di questa Zurigo sul Volga. Negli anni sovietici al suo interno trovarono posto una sala cinematografica e una casa della cultura, ma dopo un incendio nel 1992 della maestosa chiesa era rimasto solo lo scheletro.
“Gli alberi crescevano al suo interno, li segavamo, di tanto in tanto portavamo fuori la spazzatura che si accumulava”, racconta Elena. “Qualcuno suggeriva di restaurare la chiesa, ma restavano sempre solo parole”.
La situazione è cambiata radicalmente nel 2013, quando è apparso Karl Loor, un imprenditore di Staryj Oskol, nella regione di Belgorod. I suoi antenati provenivano da questa piccola Zürich e lui ha deciso di aiutare il villaggio delle sue origini. “Lavora nel campo edile e ha preparato il progetto di ristrutturazione, e inizialmente prevedeva di completare la chiesa entro il 2017. Ma è successo anche prima, nel 2015!”.
Ora all’interno la chiesa è rifinita con legno massello. Vi si tengono le funzioni alla domenica, mentre nei giorni festivi si può assistere a concerti d’organo. Nelle vicinanze c’è anche una piccola pensione di proprietà di Loor.
Ma è solo una chiesa restaurata, mentre centinaia rimangono in condizioni pietose nella regione tedesca del Volga! Ad esempio, nel villaggio di Lipovka, ex Schäfer, a due ore di auto da Zürich, gli attivisti locali stanno cercando di impedire la distruzione di una vecchia chiesa del 1877. Sperano che arrivi un altro Loor…
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