Il tempio di Rinpoche Bagsha crepita sotto il mormorio profondo del mantra buddista. Di fronte allo sguardo mite di un Buddha dorato seduto a gambe incrociate, otto monaci in abiti cremisi siedono a un tavolo basso al centro della stanza. Dalle loro gole fuoriescono canti eterei, mentre una campana tintinna delicatamente. Durante la preghiera finale, la congregazione, schiacciata insieme sulle panche vicino ai monaci, raccoglie le offerte di cibo. La campana suona un'ultima volta.
Al termine della celebrazione, un centinaio di russi indossa cappotti e cappelli, ed esce all’aria aperta, dove sei furgoncini “marshrutka” attendono il gruppo. L’autista raccoglie i 20 rubli per il biglietto (circa 0,20 euro), prima di mettere in moto il mezzo e portare la comitiva giù per la collina, fino a Piazza Sovietica.
Inizia così una domenica sera qualunque a Ulan-Ude, città della repubblica buddista della Buriazia, nella Siberia orientale.
Adagiata su dolci declivi, stretta tra la costa orientale del lago Bajkal e i confini russi con la Mongolia, la Buriazia si estende su un territorio grande come la Germania. Ma qui vive meno di un milione di abitanti, la metà dei quali a Ulan-Ude, tappa della Transiberiana e capitale del popolo buriato. I buriati sono pastori nomadi di stirpe mongola, con una lingua e una cultura simili a quelle dei loro cugini d'oltre confine. Per secoli, i khan mongoli hanno governato le terre intorno al Bajkal; ma vivere nell'orbita di Mosca per generazioni - prima nella Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Buriato-Mongola, poi come cittadini russi - ha cambiato l'identità di questo popolo.
Mentre si avviano i primi autobus, alcune persone restano indietro per ricevere la benedizione del cibo da parte dei monaci; altre si intrattengono per offrire qualche preghiera in più, prima in piedi di fronte al Buddha con i palmi delle mani che si toccano sopra la testa, poi prostrati a pancia in giù sul tappeto.
Ethnographic Museum of the peoples living behind Baikal.
Legion MediaFuori dal tempio, la vista che si apre dalla cima sulla regione del Transbaikal è mozzafiato. Una brezza di montagna agita la corda di bandierine colorate per la preghiera.
Un edificio separato ospita il museo del tempio: sulle pareti sono affisse le fotografie della visita del Dalai Lama in Buriazia, nel 1991.
In fondo alla collina di Ulan-Ude è più facile sentirsi in Russia. La voce che da un altoparlante invita la gente a entrare nel caotico centro commerciale Galaxy in via Baltakhinova sembra la stessa che avevo sentito fuori da un centro commerciale di Arkhangelsk la settimana prima. Su via Kuybysheva si schiude una fila di vecchi edifici siberiani in legno, la maggior parte dei quali ridipinti con colori accesi che variano dal blu al verde, e gli infissi bianchi. Sono lì dai tempi dello zar, quando Ulan-Ude - all'epoca un piccolo villaggio chiamato Verkhneudinsk - era un centro commerciale russo sulla strada per la Cina.
In Piazza Sovietica, nel cuore della città, si trova il simbolo più riconoscibile della città: una gigantesca scultura della testa di Lenin, la più grande del mondo, che funge da biglietto da visita per coloro approdano in Buriazia con la Transiberiana. La testa, alta otto metri, è conosciuta anche al di fuori della Russia: l'allora leader supremo della Corea del Nord, Kim Jong-il (lui stesso un uomo della Siberia orientale: era infatti nato vicino a Khabarovsk) si era recato qui in viaggio poco prima di morire, nel 2011, si dice per rendere omaggio a Lenin.
Ma Vladimir Ilich Uljanov (Lenin) non è sempre stato così popolare. Si narra che la scultura fu commissionata nel 1971 per il centenario della sua nascita e spedita in Canada, dove una delegazione dell'Unione Sovietica stava partecipando a una mostra. Quando il Lenin di 42 tonnellate tornò a casa, Ulan-Ude fu l'unica città dell'URSS che Mosca riuscì a convincere a prenderlo.
Se l'aria all'interno del tempio Rinpoche Bagsha crepita di preghiera, durante una funzione nella cattedrale Odigitrievskij le vibrazioni sonore sembrano confortare i presenti. Ad ogni ululato profondo del sacerdote, seguito dal lamento del coro, il battito cardiaco dei presenti sembra avere un sussulto.
Questa cattedrale era stata costruita nel XVIII secolo con il denaro donato dai mercanti cosacchi; sorge dove i due fiumi che attraversano Ulan-Ude, l'Uda e il Selenge, quasi si incontrano. Durante il periodo sovietico, la cattedrale era stata convertita in un museo antireligioso, ma oggi le funzioni sono riprese e si svolgono due volte al giorno.
In altre parti della città, le culture che convivono in Buriazia si incontrano e si fondono. Al Cafe Kheseg, in via Kommunisticheskaya, alcune famiglie buriate mangiano dei “boovo” (piccole ciambelle servite in una pozza di latte condensato) e blinchiki (frittelle), mentre lo stereo alterna ballate russe e mongole. I negozi di souvenir vendono artigianato mongolo accanto a confezioni di Sagan Dalya, un potente tè siberiano medicinale. Una statua in via Lenin raffigura due pesci con la coda intrecciata, come a formare un cerchio: nella cultura buddista è simbolo di buon auspicio, di libertà e felicità, e qui i pesci hanno la forma di due salmoni russi omul, originari del lago Bajkal.
A mezz'ora di macchina a nord di Ulan-Ude, nel distretto di Verkhnyaya Berezovka, si trova il Museo Etnografico dei Popoli del Bajkal, immersa nella natura selvaggia punteggiata da piccoli villaggi. Ogni villaggio è dedicato alla cultura di una delle tribù che popolano la vasta regione del Bajkal: buriati, evenchi, soyot, cosacchi e vecchi credenti. Per arrivare ai villaggi bisogna attraversare un santuario dedicato alla fauna selvatica, dove una tigre siberiana, un branco di lupi, volpi rosse selvatiche e cammelli vagano all’interno di grandi recinti.
In una notte di freddo pungente, con un volo di sei ore per tornare a Mosca prima dell'alba, torno a piedi verso Rinpoche Bagsha. Voglio concludere il mio viaggio rivolgendo un ultimo sguardo a uno slogan di epoca sovietica issato in cima a un caseggiato. Recita, a grandi lettere rosse: “Ulan-Ude, stella della mia Buriazia!”
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