Una piccola bukhanka a uso autobus ormai da due ore se la vede con la neve che batte incessante sul vetro. Due turisti cinesi, un ragazzo e una ragazza, con tutte le loro forze si reggono ai sedili e l’uno all’altro, ma ciononostante di tanto in tanto cadono.
“Sembra che la neve ci punti addosso e ci risucchi in un buco nero nevoso”, dico io, stupita per l’intensità della nevicata. “Non me ne parlare”, replica Evgenij, che è alla guida della bukhanka, “altro che bellezza, sembra un salvaschermo di Windows.
Dopo altri quaranta minuti di viaggio in questo “salvaschermo”, Evgenij lascia i turisti cinesi in un albergo di recente costruzione, che ricorda un rispettabile cottage fuori città e che costa la bella cifretta di 6.500 rubli a notte (90 euro). Mentre me mi porta fino a un’altra recente costruzione: una comune casa di legno che funge da ostello e che ha prezzi più popolari: 1.300 rubli a notte (18 euro).
L’ostello mi accoglie con la stufa scoppiettante, due stanze con quattro letti in ognuna, dei bagni moderni e una bottiglia di vodka al peperoncino sul tavolo della cucina. A quanto dice il proprietario dell’ostello, Evgenij, bisogna assolutamente berla, per non ammalarsi e per avere fortuna con l’avvistamento dell’Aurora boreale.
Il film drammatico del regista Andrej Zvjagintsev, “Leviathan” uscì nei cinema nel 2014, vinse il premio come miglior film straniero ai Golden Globe 2015 e fu candidato all’Oscar. A Cannes si aggiudicò il premio per la miglior sceneggiatura.
La vita di un normale abitante del Nord estremo, che ama alzare un po’ il gomito, va a pezzi: è impotente di fronte alle autorità, che vogliono demolire la sua casa per costruire al suo posto una chiesa. Il dramma esistenziale è esacerbato dalle cupe vedute della fredda natura del nord, su cui Zvjagintsev indugia a lungo.
In Russia il film sollevò pareri molto contrastanti, ma evidentemente molti sono curiosi di venire a vedere com’è il villaggio di Teriberka, dove si tennero le riprese.
Evgenij si è trasferito a Teriberka da Murmansk (a 130 chilometri da qui) con sua figlia Tatjana, un anno e mezzo fa, sull’onda del decollo della popolarità di questo villaggio di meno di mille abitanti dopo l’uscita del film. Hanno comprato un pezzo di terra con una casa in rovina e con un bastardino di nome Lime, l’hanno completamente restaurata e vi hanno aperto l’ostello. Evgenij dice che Lime sta invecchiando e che i lavori alla casa proseguono ancora oggi.
In primavera e in estate, per la pesca, per i paesaggi di “Leviathan” e per i festival che si tengono qui arrivano a Teriberka molti turisti russi. D’inverno, invece, sono soprattutto i cinesi a presentarsi in gran numero. Di solito loro del film non hanno mai sentito parlare e si dirigono qui solo a caccia dell’Aurora boreale.
Evgenij porta i cinesi in giro sulla spiaggia sulla motoslitta o con la macchina, ma quella che ha ora non è un gran fuoristrada e si impantana spesso. Per i russi nelle stagioni più calde organizzano invece delle camminate sulla vicina penisola.
«A dire il vero, io mi occupo poco di sviluppare il business delle escursioni a piedi e non mi sforzo troppo di organizzate i gruppi. Non ci si guadagna, si riesce appena ad andare in pari con l’affitto delle attrezzature”, spiega Evgenij.
Evgenij non ama portare i turisti in giro con la motoslitta. Consuma troppo e i cinesi se ne innamorano e, dopo averla provata, vogliono andare solo su quella. Oggi ha fatto sedere una cinese sulla sua bukhanka, ma dopo pochi attimi la gita è subito inaspettatamente finita.
“L’escursione è conclusa”, ha dovuto comunicare Evgenij, uscendo per cercare di liberare il mezzo rimasto bloccato in un grosso cumulo di neve. La bukhanka è riuscita a fare non più di dieci metri da casa. Io e Tatjana cerchiamo a gesti di spiegare alla cinese che non c’è niente da fare e deve scendere. Le tocca calarsi nel mucchio di neve e cercare un passaggio fino all’altro capo del villaggio, dove vedrà una spiaggia di sassi e una cascata gelata (uno spostamento che le costerà 800-1.000 rubli; 11-13,60 euro).
Noi intanto ce ne torniamo in ostello e Tatjana inizia a fare magie in cucina. In breve si diffonde nell’aria un odore fantastico di gamberetti, e nei piatti appaiono chele di granchio e altre prelibatezze del Mare di Barents. “Per Capodanno abbiamo dato il benvenuto ai cinesi con vodka e spuntini e loro proprio nella notte tra il 31 dicembre e il 1º gennaio sono andati a letto come se nulla fosse, che strani!”, si lamenta Evgenij.
A Teriberka ci sono solo due posti dove si può mangiare: all’ostello e in un ristorante. Ma quest’ultimo ha prezzi elevati, a quanto dice Tatjana.
Dopo il fallimento dell’escursione, la nostra cinese ha deciso di provare la sorte e andare al ristorante. Ma là la aspettava una delusione ancora più amara: a disposizione c’erano solo tè verde e bliny surgelati da riscaldare. Le è toccato tornare all’ostello e mangiare i gamberetti e i granchi preparati da Tatjana.
Sul lungomare, non lontano dal ristorante, c’è una casetta non proprio in belle condizioni con l’accattivante insegna “The Best Love”.
“Adesso da noi a Teriberka, dopo il film ‘Leviathan’ c’è una nuova tendenza: il turismo. Perché in altro modo qui è difficile procacciarsi il pane. “Ma a cosa servono tutti questi turisti?”, si chiede il 57 enne pescatore Vitalij, che qui è nato. È un uomo di bassa statura, dai folti baffi neri. Secondo lui il turismo è paragonabile alla servitù, “perché per soddisfare le persone bisogna essere i loro servi”
Per Vitalij, “The Best Love“ sono tre cose: la pesca, gli animali domestici e le donne. Ma se non ha problemi con la sesta moglie, cinque gatti e un cane, con la pesca, che gli dà da mangiare da una vita, le cose sono più complicate.
Secondo le leggi russe, Vitalij può pescare nel Mare di Barents solo pesci sopra una certa misura: l’eglefino sopra i 40 centimetri e il merluzzo sopra i 42. Queste specie di pesce vivono solo lontano da riva e bisogna ottenere uno speciale permesso con la determinazione delle quantità pescabili, che viene però rilasciato solo alle grandi imbarcazioni.
I turisti lui non li ama e cerca di evitarli. Secondo lui sporcano e portano solo problemi.
“A marzo cominciano ad arrivare per la pesca e non si trova più un posto libero. Tutta la costa si riempie di macchine e di barche”, si lamenta.
Ma, di tanto in tanto, la tentazione di fare qualche soldo gli fa superare il disgusto per il fatto di sentirsi un servo, ed ecco che per soldi porta al largo sulla sua barca qualche turista pescatore, e a volte persino fotografi, che accompagna in tour lungoriva per i loro scatti.
In una certa qual misura Vitalij ripercorre i passi della trama di “Leviathan”. A quanto racconta, le autorità locali vogliono che lui si trasferisca in un villaggio vicino in un nuovo appartamento, perché la sua casa attuale non ha l’abitabilità, e vogliono che la sua terra passi allo Stato, che pianifica di costruire là nuovi ostelli e alberghi.
“Ma io non me ne voglio andare, qui mi piace e ho il mio stile veneziano”, dice lui, parlando sullo sfondo di un calendario con una donna nuda piazzato su un tappeto da parete in stile sovietico insieme a un’icona e a una bandiera russa.
Fissando con sguardo sognante il calendario, aggiunge che lui non sarebbe contrario al turismo a una condizione: che lo Stato gli permettesse di pescare senza tutti questi lacci e lacciuoli.
Anche le persone riunite nella locale Casa della cultura, un edificio grigio in cemento armato dal tetto rosso, sono stufe dell’afflusso di turisti e delle domande su “Leviathan”, ma ritengono che, volenti o nolenti, il turismo sia l’unica via di salvezza per il villaggio.
“A dire la verità, questo ‘Leviathan’ ci ha proprio fracassato i… Insomma, i panorami sono fantastici, ma il soggetto è proprio stupido! Ma almeno in Russia ora non bisogna spiegare cosa e dove sia Teriberka!”, dice la direttrice della Casa della Cultura Olga Nikolaeva, come se in precedenza avesse dovuto spiegare sempre al mondo dove si trovasse il suo paese.
Intanto, le mani della locale bibliotecaria, una donna anziana e minuta, girano le pagine di un album di fotografie, per mostrarmi gli orgogli locali.
In una delle foto, i ragazzi del posto cercano di entrare in bocca alla balena catturata dai pescatori di Teriberka agli inizi degli anni Settanta. A quanto racconta la bibliotecaria, alla balena tagliarono la testa e la usarono come monumento. Ma il problema fu che con il tempo e l’avanzato stato di decomposizione puzzava troppo, e decisero di liberarsene, anche se nessuno ricorda che fine fece.
“In passato, il villaggio viveva solo di pesca e aveva circa cinquemila abitanti”, racconta Olga Nikolaeva. “Qui c’era una fabbrica per la lavorazione del pescato, che ha chiuso i battenti nel 2015 perché non era più redditizia, e una scuola, chiusa anch’essa perché costava troppo mantenerla: i bambini e gli insegnanti sono stati mandati nel villaggio vicino. Ora c’è uno scuolabus che li porta là, guidato dal professore di ginnastica”.
Oggi a Teriberka ci sono solo 617 abitanti e una gran quantità di case in rovina a loro modo pittoresche, che sembrano ideali location di un film horror.
“Ma almeno qui tutto è naturale: è la vita vera. Io non rifarei nemmeno l’asfalto alla strada. Così com’è fa colore locale, avventura estrema, tutto quello, insomma, che qui si viene a cercare. E i turisti verrano, quelli un po’ sui generis, intendo”, conclude lui.
Nell’articolo non sono indicati i cognomi su richiesta degli intervistati.
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