San Pietroburgo vista dall'alto.
: APSan Pietroburgo vista dall'alto. Fonte: AP
San Pietroburgo rappresenta il sogno, la meta agognata di qualunque straniero. I turisti di ogni parte del mondo desiderano visitare questa magica e grandiosa città, costruita sulle paludi per volontà di Pietro il Grande su modello di Amsterdam e Venezia. Ma come si vive nella città delle tre rivoluzioni? Rbth ha selezionato le testimonianze di due pietroburghesi doc, tratte dal libro “Vivere a Piter” curato da Elena Shubina.
“Vivere a Piter”
Come scriveva il nostro vicino, il poeta Aleksandr Pushkin, che abitava di fronte a noi, sull’altra riva della Mojka, “Ben presto le erano piaciuti i romanzi che tutto per lei avevano sostituito; ella era irretita dagli inganni di Richardson e di Rousseau…” Non aspiro alla stessa gloria di Tatjana e a dodici anni non mi ero ancora accostata alle opere di Rousseau, ma i versi dell’“Onegin” mi hanno mostrato un lato inedito della mia città ed è così che si è andata delineando nella mia immaginazione (o meglio nella mia realtà adolescenziale) la Pietroburgo del bel mondo.
Fantasticavo sui saloni dei ricevimenti, andavo a lezione all’Ermitage e ai balli a Palazzo Anichkov, passeggiavo sul Lungofiume del Palazzo, ascoltavo con il walkman valzer e polacche, “fingendo di essere l’eroina dei miei artisti prediletti”. Tutto questo, naturalmente in segreto, all’insaputa dei miei. Mi sarei terribilmente vergognata se mi avessero smascherato mentre ero immersa in questa dimensione di “rarefatto” romanticismo.
I canali di San Pietroburgo. Fonte: Getty Images
Poi, com’è naturale, la mia Pietroburgo “ha mutato colore”. All’improvviso, dopo aver letto la “Dama di picche” è diventata una città fatale, misteriosa. E dopo il “Cavaliere di bronzo” possente, autocratica e inerme dinanzi alla forza dell’elemento naturale e della stessa autorità. E ancora crudele, subdola e ambigua dopo la lettura del “Maestro di posta”, e così via. Pushkin aveva generosamente elargito alla sua eroina – Pietroburgo – le più diverse qualità. Ogni volta un’intera opera o un episodio si associavano nella mia mente a un certo luogo, a una via o a un vicolo. E molto spesso non corrispondevano alla descrizione fatta dall’autore: erano il frutto della mia visione soggettiva, vittima della mia avida immaginazione.
Lo stesso accadeva con Gogol, e naturalmente, con Dostoevskij. Ho scoperto il mondo inedito, cupo, opprimente, maleodorante di Piazza Sennaja e di tutte le vie che da lì si diramano, sul lato opposto di Nevskij Prospekt: Podjacheskie, Gorokhovaja, Malaja Meshchanskaja, Ekaterininskij kanal… Certo nella vita reale a questo quartiere è difficile attribuire simili caratteristiche, ma l’universo creato da Dostoevskij, fatto di grigiore, nebbia, oppressione, sporcizia, povertà, bassezza, abissi di degradazione è talmente penetrato nella mia coscienza, mi ha talmente irretita che tuttora per me a destra della Sennaja c’è la Pietroburgo di Dostoevskij. E quando mi sento in una certa disposizione d’animo mi piace molto passeggiare lì. Ai tempi della scuola adoravo vagare per i luoghi degli eroi dostoevskiani e più di una volta ho percorso quei 730 passi che separavano il portone di Raskolnikov dalla casa della vecchia usuraia (al n. 104 di canale Griboedov).
Poi, di pari passo con il programma scolastico, è avvenuta la mia scoperta della Pietrourgo di Anna Akhmatova, di Mandelshtam, Brodskij, Dovlatov e di altri scrittori ancora.
Certo, allora il mio vezzo di fantasticare mi metteva terribilmente a disagio. Ma ora apprezzo moltissimo, passeggiando per la mia amata città, la possibilità di viaggiare attraverso epoche, luoghi e situazioni tra i più diversi. Senza volere mi si affacciano alla mente tutta una serie di pensieri e riflessioni. È sempre interessante confrontare le proprie impressioni e sensazioni di allora con quelle di oggi. In quella casa, ricordo, durante l’assedio, Olga Berggolts ha fatto visita ad Anna Akhmatova, e in questa immagino che debba aver vissuto con la sua famiglia Anna Karenina. Da qui Onegin è fuggito via dopo le spiegazioni con Tatjana e nella cantina del cabaret “Il cane randagio” si riuniva la crème dell’Età d’Argento… Così, immersa nei pensieri, posso vagabondare nello mio splendido isolamento piuttosto a lungo.
L'Ermitage. Fonte: DPA/Global Look Press
“I miei luoghi”
Quanti luoghi evocativi si affollano sul Nevskij! Pensiamo al Ponte Anichkov. A una delle sue estremità, Dostoevskij confessava di aver vissuto uno degli istanti più felici della sua vita dopo essere stato in visita da Belinskij (l’autorevole critico letterario, ndr) che aveva tessuto le sue lodi.
Io il maggior momento di felicità della mia vita l’ho vissuto all’altra estremità del ponte, davanti alla “Libreria dello scrittore”, quando ho scorto un’attraente ragazza che leggeva al suo ragazzo un buffo racconto del mio primo libro ed entrambi ridevano.
Sono stato immensamente felice anche quando un mio amico ha comprato un motoscafo e tutta la Pietroburgo acquatile è diventata nostra. Abbiamo scoperto un’inedita Piter dall’acqua! Con tutti i suoi angoli contemporanei e storici: costeggiavamo palazzi allora poco noti e quindi particolarmente misteriosi, come il palazzo Bobrinskij, appartenuto al figlio naturale della zarina Caterina II. E potevamo sbarcare anche a Novaja Gollandija, in parte area militare, ma chissà come riuscivamo a scendere e a fare persino il bagno.
Oppure correvamo rimbalzando sulle onde della Neva! O all’improvviso raggiungevamo Petropavlovka e per una settimana vivevamo lì una nuova vita! Assaporavamo la libertà, la gioia di vivere nella nostra città. Bastava solo afferrarla e non lasciarla più andare. Su questo ho scritto un racconto dal titolo “La folle navigazione”.
Oggi la città è bella, pulita. Dal mio punto di vista anche troppo curata. Non esistono più quei luoghi segreti, abbandonati che un tempo ci commuovevano tanto. La gente è gradevole, tranquilla… persino troppo tranquilla. Manca il fuoco della passione. I giovani si concentrano di più sui telefonini che su se stessi. E non ci sono più luoghi di nicchia dove si riuniscono solo certi tipi di persone, anche se è proprio in questi luoghi che si fa la cultura, come accadeva, per esempio, al “Cane randagio” nell’Età d’Argento. Eppure la città continua a educare la sua gente. A Mosca c’è la folla, da noi la promenade. E com’è piacevole uscire dalla Stazione Moskovskij e bighellonare sul Nevskij! Raggiungi il Lungofiume del Palazzo, inspiri l’aria della Neva e tutto lo stress scompare!
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