“L’8 settembre 1941 ci siamo riuniti in cortile e abbiamo visto un bagliore rosso e scarlatto nel cielo. Era uno spettacolo incredibile; lo ricordo ancora oggi. Ci sembrava che occupasse tutto il cielo dalla stazione ferroviaria Moskovskij all’Ammiragliato. Più tardi apprendemmo che era il bagliore di un incendio: i tedeschi avevano bombardato i magazzini Badaev, dove si trovavano le scorte di cibo per gli abitanti della città”, ricordò in seguito Zinaida Fedjushina, residente a Leningrado, che da studentessa era sopravvissuta all’intero assedio.
Per 872 giorni – dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944 – Leningrado rimase accerchiata dal nemico e continuamente sotto tiro. La città, che gli invasori nazisti volevano cancellare dalla faccia della terra, era tagliata fuori dal Paese. L’unico collegamento era la “Strada della vita” attraverso il lago Ladoga. Veniva utilizzata per consegnare cibo ed evacuare la popolazione. Nel 1942, fu posato lungo il fondo del lago anche il “Cavo della vita”, per fornire alla città assediata l’elettricità.
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Dall’estate del 1941 alla fine del 1943, oltre 1,7 milioni di persone furono evacuate da Leningrado. Coloro che rimasero, in condizioni difficili, assicurarono il lavoro ininterrotto delle fabbriche e dei servizi cittadini, delle scuole e degli ospedali, dei teatri e delle banche, proteggendo la città da incendi ed epidemie.
Alcuni indirizzi sulla mappa della moderna San Pietroburgo conservano un significato sacrale: sono diventati simboli di vita e di morte nella città assediata.
Con l’inizio dell’assedio, sulle strade della città cominciarono a comparire le scritte “Cittadini! Questo lato della strada è il più pericoloso durante gli attacchi dell’artiglieria” (in russo: “Граждане! При артобстреле эта сторона улицы наиболее опасна”): circa 1.500 in totale. Le truppe tedesche bombardavano la città da sud e sud-ovest, quindi gli avvertimenti erano applicati ai lati nord e nord-est delle strade. Attraversare la strada poteva salvare la vita di una persona.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le iscrizioni non sono sopravvissute. Ma alcune sono state ricreate negli anni Sessanta e Settanta. La più famosa si trova al numero 14 della Prospettiva Nevskij, sull’edificio della scuola n. 210, che fu sempre attiva durante l’assedio. Nel 1973 vi è stato aperto il Museo dei giovani partecipanti alla difesa di Leningrado.
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Questa è una delle tre sottostazioni di trazione del periodo dell’assedio di Leningrado, che permetteva il servizio dei tram, l’unico mezzo di trasporto nella città assediata. I tram trasportavano unità militari, granate, attrezzature, macchinari, equipaggiamenti e feriti.
Durante l’assedio i tram non furono in funzione solo nell’inverno 1941-1942. Nel novembre 1941 a Leningrado si verificarono interruzioni di corrente. Il 25 gennaio 1942 la produzione di elettricità fu minima: in città funzionava solo una turbina con un carico di 3 MW. Nel marzo 1942 fu messa in funzione la centrale Krasnyj Oktyabr, dopo aver convertito la sua caldaia in modo che potesse bruciare torba. Il 31 marzo 1942 i tram merci ricominciarono a circolare per le strade e dal 15 aprile anche quelli passeggeri.
“Sulla Prospettiva Nevskij, ormai sgombra, passò la prima vettura tranviaria. La gente abbandonò il lavoro, guardò, come bambini davanti a un giocattolo, la carrozza che correva sulle rotaie, e all’improvviso ci fu un applauso di decine di migliaia di persone. Erano i leningradesi che salutavano con un’ovazione la prima carrozza risorta”, ha ricordato lo scrittore Nikolaj Tikhonov in “Storie di Leningrado”.
Situata nel centro della città, la sottostazione di trazione n. 11 – insieme al tram – divenne uno dei simboli dell’Assedio di Leningrado. È rimasta in funzione fino al 2014.
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La radio teneva Leningrado in contatto con il resto del Paese, sostituendo l’ufficio postale. Trasmetteva messaggi del Sovinformburo e allarmi aerei. Gli annunciatori leggevano non solo notizie e istruzioni, ma anche classici russi e sinfonie. A intervalli suonava un metronomo. Dopo l’annuncio dell’allarme aereo, batteva un ritmo accelerato, avvisando i cittadini del pericolo.
La trasmissione avveniva tramite altoparlanti stradali. Nelle case non c’erano radio: per decisione delle autorità, era stato ordinato che fossero depositate presso lo Stato per tutta la durata della guerra. A volte non c’era luce negli appartamenti e le trasmissioni via etere erano impossibili a causa della potenziale intercettazione delle onde da parte del nemico.
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Quando durante le interruzioni di corrente la radio taceva, gli abitanti di Leningrado, “che aspettavano la voce della radio come il pane, si recavano da tutta la città al Comitato Radio per sapere cosa fosse successo. […] La gente diceva: ‘Fate qualsiasi cosa, quello che volete, va bene che non ci siano pane e acqua, che le condizioni siano disumane, ma la radio deve funzionare! Senza di essa la vita si ferma. Questo non può essere permesso!’”, ha ricordato Jurij Aljanskij nel suo libro “Il teatro nella zona dei bombardamenti”.
Il monumento all’altoparlante dell’assedio si trova all’angolo del civico 54 sulla Prospettiva Nevskij, a duecento metri dalla Casa della Radio.
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Durante l’assedio, soprattutto nel primo inverno del 1941-1942, ci furono interruzioni non solo dell’elettricità, ma anche dell’approvvigionamento idrico.
“Nei primi giorni di guerra, una bomba colpì i tubi dell’acqua vicino alla banja. Si formò un enorme cratere, sul fondo del quale scorreva un sottile rivolo d’acqua dal tubo. L’acqua nelle case smise di scorrere e ci fu un’enorme coda per raggiungere questo ’pozzo’. Scendere in fondo era molto difficile, soprattutto quando iniziò il freddo. Non fu fatto alcun tentativo di riparare il danno. Bombardavano ogni giorno, e molto duramente. E sulle code che si formavano per l’acqua sparavano dagli aerei”, ha ricordato Emma Kazakova, residente a Leningrado in quel periodo.
Perciò i cittadini andavano a cercare l’acqua altrove: in particolare, anche se sporca, la prendevano dai fiumi, laddove veniva scavato un “prorub”, un buco nel ghiaccio.
“C’è una coda enorme sul ghiaccio del fiume: slitte e gente con pentole, secchi e taniche. La buca del ghiaccio, da cui la gente prende l’acqua, è sorvegliata da due soldati che mantengono l’ordine. Davanti a me, all’improvviso, una donna che stava attingendo l’acqua, cade a capofitto nella buca. I soldati le afferrano le gambe e la tirano fuori. È morta. È il mio turno. Riempio il mio recipiente a porto la preziosa acqua a casa, dove mia madre mi aspetta con impazienza e ansia”, scrive Zinovij Khanin nel suo diario.
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Nella primavera del 1942, dopo un inverno rigido, gli abitanti di Leningrado iniziarono a organizzare orti collettivi su terreni incolti e in giardini, stadi, cortili, parchi e piazze. Anche una delle piazze più belle della città – Piazza Sant’Isacco – si trasformò in un orto: vi si coltivavano i cavoli.
Nelle cantine della Cattedrale di Sant’Isacco, le cui cupole erano state ricoperte di vernice protettiva grigia ad olio già nel luglio 1941, venivano conservati gli oggetti di valore dei musei prelevati dai sobborghi: i palazzi-museo di Pushkin, Pavlovsk, Peterhof, Gatchina e Oranienbaum. Tutte queste città, tranne l’ultima, furono occupate dai nazisti. E le regge furono danneggiate in modo gravissimo.
La piazza ospitava anche l’Istituto delle Risorse genetiche vegetali, fondato nel 1930. Durante l’assedio, il suo personale riuscì a salvare l’intero stock di sementi. I dipendenti, affamati, non abbandonarono il loro posto: rimasero a proteggere decine di tonnellate di grano e di patate dal gelo, dall’umidità, dai topi, dai bombardamenti tedeschi e dai ladri. Grazie alle collezioni conservate, dopo la guerra il Paese riuscì a rimettere in piedi rapidamente la sua agricoltura.
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La stazione della linea blu della metropolitana di San Pietroburgo è stata inaugurata nel 1961. L’ingresso si trova vicino al Parco della Vittoria Moskovskij, da cui la stazione ha preso il nome. Fino al 1960, sul sito del padiglione di ingresso alla metroc’era la Fabbrica di mattoni e pomice N°1. Nel 1942-43 fu trasformata in crematorio. Secondo quanto riportato dai testimoni, ogni turno cremava 800 corpi. E si lavorava su tre turni al giorno. Le ceneri venivano scaricate nelle cave della fabbrica, sul cui sito è stato successivamente realizzato il parco. Secondo i dati d’archivio, in questo luogo riposano i resti di 130 mila leningradesi. Per molto tempo, i documenti sul “compito speciale” della fabbrica sono rimasti secretati.
Nel 1999, dal fondo del laghetto del parco fu ripescato un carrello, che era stato usato per portare i cadaveri nei forni crematori. Nel 2001 è stato trasformato in un monumento.
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Il crematorio operava nel sud di Leningrado, mentre nel nord della città ad accogliere le vittime dell’assedio era il Cimitero Piskarjovskoe. Durante il lungo periodo di accerchiamento nemico, 420 mila cittadini e 70 mila soldati furono sepolti qui, in 186 fosse comuni e 6 mila sepolture individuali.
“L’intero fossato lungo il cimitero era ammassato di cadaveri. Non c’era modo di aggirare questo luogo orribile: non c’era un sentiero o un’altra strada intorno. I camion arrivavano e, come legna da ardere, rovesciavano i cadaveri congelati. Cercavo di non guardare i morti, ma in ogni modo mi si è stampato in mente che c’erano molti corpi di bambini. Penso che ci siano poche persone sulla Terra che abbiano visto tanti cadaveri nella loro vita come li ho visti io, un bambino di nove anni: probabilmente erano decine di migliaia”, così Anatolij Nikonov, che viveva nel quartiere, descriveva il Cimitero Piskarjovskoe nel novembre 1941.
Il 9 maggio 1960 il cimitero fu inaugurato come Memoriale dei leningradesi morti durante l’assedio. All’ingresso arde la Fiamma Eterna, accesa con il fuoco del memoriale sul Campo di Marte. Da qui parte un viale di 300 metri che conduce alla scultura in bronzo di sei metri “Madre Patria”. Dietro di essa si trova una statua a muro con sei rilievi che raffigurano episodi di vita degli abitanti di Leningrado durante l’assedio. Qui si tengono cerimonie commemorative quattro volte all’anno.
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