Nella bylina (tipica narrazione epica antico slava) sul bogatyr Dobrynja Nikitich si legge: “Il giovane Dobrynya Nikitich aveva i riccioli d’oro… mentre a te, morto di fame, i capelli ti arrivano fino alle spalle!”. Fin dai tempi antichi in Russia gli uomini si prendevano necessariamente cura dei capelli e della barba!
Le acconciature russe prima di Pietro il Grande
I capelli non tagliati e non curati di un uomo erano segno che questi era un ubriacone o di uno stregone. Solo i reietti e gli emarginati non si tagliavano i capelli. E smettevano di tagliarsi e lavarsi i capelli (e di pettinarsi la barba) anche coloro che cadevano in disgrazia presso il loro principe o, più tardi, presso lo zar, per mostrare il grado della loro disperazione e del loro rimorso.
Gli uomini dell’Antica Rus’ portavano i capelli di mezza lunghezza: dovevano almeno coprire la nuca. In seguito si praticò a lungo il taglio “a cerchio” (“v kruzhok”), che oggi viene chiamato “a scodella” (“pod gorshok”), perché si metteva appunto sulla testa una stoviglia rotonda e si tagliavano i capelli che spuntavano da sotto i suoi bordi.
Nel XVI secolo, sotto Ivan il Terribile, a partire dai servi tatari nacque la moda di radersi la testa a zero: nelle lunghe campagne militari questo era d’aiuto dal punto di vista sanitario. La tendenza si diffuse però solo tra i nobili, che si rasavano la testa ogni quindici giorni. Il popolo considerava tale acconciatura “basurmanskaja”; forestiera (con “basurman” si indicavano in modo poco rispettoso i musulmani).
All’inizio del XVII secolo apparve l’acconciatura “v skobku”, che in epoca imperiale rimase soprattutto tra i mercanti provenienti dalle famiglie di Vecchi Credenti. In questa variante le frange venivano tagliate e le ciocche ai lati del viso rimanevano lunghe. I capelli potevano arrivare quasi alle spalle. In alcune comunità di Vecchi Credenti questa acconciatura è ancora obbligatoria come segno di appartenenza.
Parrucca, tupej e kosheljok
Quando Pietro il Grande riformò la moda russa, anche le acconciature dovettero cambiare: in Europa a quel tempo si portavano le parrucche. Ma in questo caso fu Pietro stesso a dare una mano: lui portava i capelli semilunghi e non amava le parrucche. I nobili russi e la maggior parte dei militari avevano lo stesso aspetto. Si facevano crescere i capelli, coprendoli con polvere bianca e arricciando i boccoli sulle tempie.
Mikhail Lomonosov ad esempio, portava i capelli con una pettinatura “ad ali di colomba”. I grandi boccoli erano allora molto di moda tra gli uomini. Per arricciare i capelli, già nel XVIII secolo si cominciarono a usare i “papillote”, pezzi di stoffa o di carta su cui i capelli venivano attorcigliati; una sorta di bigodini lunghi. Per fissare i riccioli si usavano acqua zuccherata, birra e, a volte, speciali pomate per capelli.
Molti uomini, soprattutto funzionari e cortigiani, portavano comunque le parrucche. La storica Vera Bokova racconta che i funzionari del XVIII secolo si rasavano la testa, per cui era conveniente indossare una parrucca “di servizio”. Al mattino ci si alzava, ci si lavava, si indossava la parrucca sulla testa calva e la si portava tutto il giorno. Le parrucche necessitavano di cure particolari: pulizia, lavaggio, colorazione e intreccio. Questi servizi erano svolti dai “kuafjory” (куафёры; russificazione del francese coiffeur) o dai tupejnye (dall’inglese “toupée”, parrucchino; a sua volta derivato dal francese “toupet”); dei veri e propri “maestri parrucchieri”.
La parrucca doveva essere incipriata spesso, e i gentiluomini insegnavano a farlo ai loro servitori. L’incipriatura della parrucca era il tocco finale della toilette di un nobile; veniva fatta quando era già vestito di tutto punto. Per questo gli abiti andavano coperti con un “pudermantel” (una mantellina che proteggeva dalla polvere), mentre il viso era protetto da un cono di pelle o di carta, e l’incipriatura veniva fatta in qualche stanza di servizio della casa, visto che una parrucca richiedeva un chilo e mezzo di cipria, che veniva soffiata sull’uomo alla moda da un “kuafjor” o da un servitore, con la polvere che volava ovunque.
Affinché la parrucca incipriata o impomatata non sporcasse la parte posteriore del soprabito, la sua parte terminale veniva messa in un “kosheljók”, parola che nel russo moderno indica un “borsellino”, un “portamonete”, ma che allora era una borsa di stoffa piuttosto ampia che veniva legata ai riccioli o alle code inferiori della parrucca o dell’acconciatura incipriata. Con l’avvento di Caterina la Grande, divenne di moda il “tupej” (“тупей”). La parola veniva sempre dal francese “toupet”, ma indicava un’acconciatura con un ciuffo piuttosto alto sulla fronte e capelli pettinati all’indietro. Più alto era il “nachjós” (начёс), ossia la ciocca (che a volte poteva essere anche doppia) migliore era l’acconciatura.
Che ci faceva un filo tra i capelli?
Parallelamente a queste acconciature sfoggiate in società, si svilupparono le acconciature formali dell’esercito russo. Ed erano molto complicate. Durante le marce, le esercitazioni, le operazioni di combattimento vere e proprie, nessuno si preoccupava dell’acconciatura. Ma c’erano anche le rassegne, le parate, i turni di servizio, le ronde di sentinella… Durante tutte queste occasioni era necessario avere un’acconciatura ufficialmente ammessa dall’esercito.
I film sul XVIII secolo ci hanno fatto pensare che i soldati e gli ufficiali indossassero parrucche bianche. Non è vero: erano i loro veri capelli, che venivano inumiditi con acqua, kvas, o incerati con vax-pomade, dopodiché la testa veniva cosparsa di gesso o farina. Aleksandr Suvorov nel 1764-1765 descrisse personalmente nel dettaglio le regole delle acconciature militari nel suo “Polkovoe uchrezhdenie”. “A partire dalla sommità del cranio arricciare i capelli in una treccia, a cui fissare poi i ‘nastri’. È vietato il tupej (ciuffo in fronte). Le tempie devono essere coperte in maniera uguale, con una ciocca singola e pettinata correttamente, in modo cioè che non sembri un candelotto di ghiaccio che pende dalla testa. In caso di temperature basse, si deve renderla più ampia, in modo che copra l’orecchio”.
Questo era il modo corretto di apparire “in una grande formazione reggimentale, in formazione di chiesa, in servizio di guardia e in qualsiasi città quando si cammina per strada”, cioè in tutti i casi in cui il militare poteva essere visto e giudicato. Allo stesso tempo, i “nastri” di cui si faceva menzione, cioè le “trecce artificiali”, erano fissati con un filo! E si chiariva che dovevano essere “saldamente fissate sulla nuca a partire dai capelli”. Insomma, l’acconciatura completa di un soldato era estremamente complessa. Per tenerla in ordine, il militare doveva sempre (!) portare con sé, “in una apposita borsa, un pettine, la vax-pomade, cioè il grasso fresco mescolato con cera, un quarto di libbra di polvere bianca e un pennello”.
Negli anni Settanta del Settecento, il principe Grigorij Potemkin intraprese la riforma dell’esercito russo e si liberò de queste noiose acconciature. “Arricciare, incipriare, fare trecce… È un grande impegno per i soldati, che non hanno valletti. A cosa servono i boccoli? Tutti converranno che sia più utile lavare e grattare la testa che appesantirla con polvere, strutto, farina, forcine, trecce… La toletta di un soldato dovrebbe essere la seguente: così come si è alzato, è pronto!”, scrisse. Da allora, i soldati tornarono a tagliarsi i capelli come prima, “a scodella”. Parrucche e boccoli rimasero solo nelle Guardie, che svolgevano principalmente compiti di parata e di sentinella.
Ma ahimè, l’incubo delle parrucche e delle acconciature complesse tornò nell’esercito russo sotto Paolo I, che voleva che tutti i suoi soldati e ufficiali, come del resto lui, assomigliassero a Federico II di Prussia. Il problema era che nel 1796 questo look era irrimediabilmente superato, c’erano pochi barbieri nell’esercito (due per reggimento, o meno), così i soldati prima delle rassegne e delle parate quasi non dormivano, incipriandosi e impomatandosi i capelli a vicenda. Con la morte di Paolo, questa moda divenne immediatamente un ricordo del passato. Stava sorgendo una nuova epoca: quella del dandismo.
La grande rivoluzione dei coiffeur francesi
La Grande Rivoluzione Francese cambiò la moda delle acconciature in tutta Europa. Tutto ciò che era ingombrante e ponderoso divenne immediatamente “pre-rivoluzionario”. Si diffuse la moda delle acconciature leggere, semplici, corte e naturali. Alcune di esse citavano gli eventi della rivoluzione. Per esempio, l’acconciatura “à la victime”: un taglio corto, quasi rasato sulla nuca (in modo che il collo fosse esposto), con il resto dei capelli tagliati meno corti e pettinati in avanti. Questa acconciatura ricordava le vittime della Convenzione nazionale, messe a morte alla ghigliottina.
La Rivoluzione generò in Francia dei modaioli maschi che si definivano “Incroyables” (letteralmente “Incredibili”; il corrispettivo femminile erano le “Merveilleuses”; le “Meravigliose”). I loro abiti erano eccessivi sotto tutti gli aspetti: enormi scollature, lusso ostentato, un riconoscibilissimo bastone piombato e nodoso. Ovviamente anche in testa dovevano farsi riconoscere. Andava di moda l’acconciatura “a orecchie di cane”: i capelli ai lati della testa rimanevano lunghi, ma increspati in avanti, incorniciando il viso con un taglio corto dietro la nuca.
Tutto questo arrivò in Russia con l’ascesa al trono di Alessandro I. Innanzitutto perché i francesi che erano fuggiti dagli orrori della Rivoluzione emigrarono in massa nella Russia monarchica. Tra di loro c’erano moltissimi parrucchieri, che dall’inizio del XIX secolo monopolizzarono il mestiere in Russia. L’intero settore dell’acconciatura si francesizzò. Anche i maestri russi scrivevano sulle loro insegne “Coiffeur Sidoroff” o cose di questo tipo.
Quando Napoleone divenne imperatore dei francesi, venne di moda lo stile “Impero”, con molti riferimenti all’Impero Romano, che Napoleone amava. I nuovi tagli di capelli presero il nome di eroi e imperatori romani. L’acconciatura “alla Tito” imitava l’immagine di Tito Giunio Bruto, l’eroe della tragedia “Brutus” di Voltaire: il viso era rasato a zero, lasciando delle basette strette sulle guance a partire dalla tempia, chiamate “favoriti”, e i capelli erano tagliati corti e arricciati.
Un’acconciatura simile era quella “alla Caracalla”, che imitava l’immagine dell’imperatore romano che regnò nel III secolo. Entrambe le acconciature avevano le basette come estensione dei capelli, ma venivano portate anche altre basette, come parte della barba. Queste erano chiamate “basette all’inglese”.
Negli anni Venti dell’Ottocento, molti uomini portavano ancora le familiari frange e i riccioli, che venivano arricciati con bigodini o con l’aiuto di un parrucchiere con pinze calde. In generale, dalla metà del XIX secolo gli stili delle acconciature maschili diventano però simili a quelli moderni. Le parrucche e la cipria per capelli per gli uomini erano invece definitivamente scomparse attorno agli anni Dieci dell’Ottocento.
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