Il maresciallo Budjonnyj, la leggenda della cavalleria sovietica

Storia
BORIS EGOROV
Questo comandante ha combattuto quattro guerre, ha passato indenne le purghe staliniane ed è morto a novant’anni nel suo letto. Amava i cavalli più di se stesso, e sognò sempre di avere un proprio allevamento

“Ha un notevole istinto strategico. È coraggioso fino alla temerarietà, fino alla folle audacia. Condivide con i suoi cavalleggeri tutte le fatiche più terribili e i pericoli più gravi. Per lui i suoi uomini sono pronti a farsi fare a brandelli”. Così, nel 1920, Lenin parlava di uno dei più brillanti comandanti dell’Armata Rossa, il futuro Maresciallo dell’Unione Sovietica Semjon Mikhailovich Budjonnyj. 

Nato e cresciuto nel Sud dell’Impero russo tra i cosacchi del Don (anche se lui non era un cosacco), Budjonnyj era in sella fin dall’infanzia. Nei ranghi della cavalleria affrontò la Guerra russo-giapponese e la Prima guerra mondiale. Più di una volta il comando lo premiò per il coraggio dimostrato in battaglia.

Semjon Budjonnyj sognava, dopo la fine del conflitto mondiale, di acquisire una piccola impresa di cavalli, ma la Guerra civile che scoppiò sui cocci dell’Impero russo modificò pesantemente questi piani. Di conseguenza, l’ex maresciallo di cavalleria dell’esercito zarista, che non era mai stato un ardente rivoluzionario, si ritrovò nel campo bolscevico e si dedicò alla causa della lotta per il potere degli operai e dei contadini.

Con i rossi, l’affascinante cavallerizzo salì rapidamente alla ribalta. Da comandante di un piccolo distaccamento della cavalleria rivoluzionaria, nell’estate del 1919 divenne comandante del grande Primo Corpo di Cavalleria. Nelle battaglie vicino a Voronezh, nell’autunno dello stesso anno, Budjonnyj sbaragliò le principali forze di cavalleria dei Bianchi al comando dei generali Konstantin Mamontov e Andrej Shkuro.

Il 19 novembre 1919, sulla base del vecchio Corpo di cavalleria, fu costituita la Prima Armata di Cavalleria, che divenne la più potente e gloriosa struttura militare delle Forze Armate della giovane Repubblica Sovietica. Rafforzata da unità di fucilieri, artiglieria, un distaccamento di treni corazzati e un gruppo di aviazione, la cavalleria di Budjonnyj schiacciò con successo il nemico nel Caucaso e in Crimea e fu efficace anche nella prima fase della guerra contro la Polonia, che si concluse però senza successo per la Russia.

Semjon Budjonnyj divenne uno dei comandanti più amati e popolari dell’Armata Rossa. La parola “Budjonnovets”, che definiva i suoi uomini, fu associata all’audacia e al coraggio, e il copricapo invernale dei soldati, che aveva la forma dell’elmo di un antico guerriero russo, fu soprannominato ufficiosamente “Budjonovka”.

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Dopo la fine della Guerra civile, Budjonnyj si dedicò completamente ai suoi amati cavalli: assunse l’incarico di ispettore di cavalleria dell’Armata Rossa, lavorò come redattore della rivista “Konevodstvo i konnozavodstvo”, dedicata all’allevamento dei cavalli, e promosse la creazione di grandi strutture industriali per l’allevamento dei cavalli. Budjonnyj si oppose alla riduzione del numero di truppe di cavalleria, nonostante non negasse l’importanza della meccanizzazione delle Forze Armate.

Il 20 novembre 1935 fu insignito del titolo di Maresciallo dell’Unione Sovietica. Durante le repressioni di massa che presto iniziarono in Urss, note come “Grande Terrore”, tre dei cinque marescialli furono uccisi. Budjonnyj sopravvisse senza patemi a a questo periodo insieme al suo vecchio compagno d’armi della Prima Armata di Cavalleria, il Commissario del Popolo (Ministro) della Difesa Maresciallo Kliment Voroshilov. 

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La figura principale della cavalleria sovietica si salvò grazie alla quasi totale assenza di ambizioni politiche e all’avversione per gli intrighi di palazzo. Inoltre, Budjonnyj era un uomo pragmatico e lungimirante: una volta schieratosi con Stalin, egli, come Voroshilov, gli rimase infinitamente fedele. Il “Padre dei popoli” lo sapeva e ignorò tutte le false denunce secondo cui il suo “amico e compagno” Budjonnyj sarebbe stato coinvolto in qualche complotto.

Budjonnyj, in cambio, fu costretto ad agire sempre in linea con la politica delle autorità e a sostenere tutte le iniziative del leader. L’11 giugno 1937, in qualità di membro dell’Ufficio Giudiziario Speciale della Corte Suprema dell’Urss, emise una sentenza di morte nei confronti del maresciallo Mikhail Tukhachevskij e di alcuni alti comandanti militari sovietici per la partecipazione a una “cospirazione militare-fascista”.

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All’inizio della guerra contro la Germania nazista, il 10 luglio 1941, Budjonnyj fu nominato comandante in capo delle truppe della direzione sud-ovest e gli fu affidato il compito di tenere Kiev con tutte le sue forze. A causa del pericolo che le sue forze venissero circondate, Budjonnyj iniziò a chiedere al Comando supremo il permesso di ritirarle su nuove linee, ma gli venne sempre rifiutato. Il 12 settembre fu destituito dal comando, sostenendo che creava il panico tra le truppe, ma tre giorni dopo i tedeschi accerchiarono le quattro armate sovietiche che difendevano la capitale dell’Ucraina sovietica.

In seguito Budjonnyj comandò il Fronte di Riserva e le truppe della direzione del Caucaso settentrionale, ma non riuscì a garantire una gestione efficace delle grandi unità strategico-operative in una situazione in continuo mutamento. Dal 1943 il Maresciallo non fu più coinvolto nel comando diretto delle truppe. Così, nella posizione praticamente decorativa di comandante della cavalleria dell’Armata Rossa, fu impegnato nella formazione di nuove unità di cavalleria, senza avere nulla a che fare con la condotta delle operazioni di combattimento.

Nel dopoguerra, Semjon Budjonnyj ricoprì la carica di viceministro dell’Agricoltura dell’Urss in materia di allevamento di cavalli e scrisse più di 70 opere su questo argomento. Sotto la sua direzione fu pubblicata la monumentale opera in cinque volumi “Storia del cavallo”. Nel 1948, l’Unione Sovietica iniziò ad allevare una razza di cavalli chiamata “Budjonnovskaja” in onore del Maresciallo.

Come in precedenza, il Maresciallo si interessò poco alla politica, anche se nel 1954, durante una festa, si permise una critica incauta a Nikita Khrushchev. La successiva disgrazia di Budjonnyj, tuttavia, non durò a lungo. Eppure di Stalin non parlò mai male, neppure quando era diventato un obbligo farlo.

Negli ultimi anni della sua vita, Budjonnyj si dedicò alla stesura di memorie sul suo servizio nella Prima Armata di Cavalleria e partecipò a numerosi incontri con i giovani sovietici, per i quali era una vera e propria leggenda della Guerra Civile.

Morì nel 1973 all’età di 90 anni. Anche da anziano, continuò a cavalcare il suo stallone di razza “Budjonnovskaja”, di nome Sofist, quasi fino alla morte.


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