“Il Partito ha un grande esercito di informatori volontari. Abbiamo una relazione completa su tutti; su ognuno”, sostenne il leader sovietico Konstantin Chernenko, che guidò brevemente il Paese tra il 1984 e il 1985. La delazione, in effetti, è stata uno dei tratti più caratteristici della società sovietica nel corso di tutta la sua storia.
Il governo incoraggiava i cittadini a scrivere denunce per identificare i “nemici del popolo” che si mescolavano tra i lavoratori onesti. Ad esempio, il Codice penale del 1926 prevedeva la pena detentiva per “omessa denuncia di un crimine controrivoluzionario noto, in preparazione o commesso”. Allo stesso tempo, però, era anche possibile andare in prigione per false accuse.
Nella retorica di Stato sovietica, la delazione (in russo: “донос”; donós”) era chiamata ufficialmente “signál” (“сигнал”), ossia “segnalazione”. Ogni cittadino era tenuto a vigilare e a “segnalare” alle forze dell’ordine qualsiasi “persona sospetta” tra i suoi contatti.
Vjacheslav Molotov, Joseph Stalin e Kliment Voroshilov, 25 giugno 1937
Fine Art Images/Heritage Images/Getty ImagesMolti sovietici desideravano sinceramente aiutare lo Stato nella sua lotta contro i “nemici della Rivoluzione” attraverso queste “segnalazioni”. Ma altri le usarono per il loro tornaconto egoistico.
“Nel distretto Mikhailovskij (regione di Zaporozhje) il procuratore Ostrokon è un criminale, che rovina le famiglie dell’Armata Rossa, saccheggia i prodotti delle fattorie collettive, indebolisce l’economia delle fattorie collettive e tratta in modo scortese chi va a sporgere le denunce. I denuncianti ricevono un pessimo trattamento. È ora di controllare questa persona!”, scriveva nella sua denuncia agli organi dell’Nkvd (Commissariato del popolo per gli affari interni) un certo Sokolov, soldato dell’Armata Rossa.
Nelle delazioni “disinteressate” gli autori spesso restavano anonimi, firmandosi semplicemente come “partigiano” o “membro del partito”. A volte gli “anonimi” erano mossi da un sentimento veramente disinteressato e dal desiderio di ristabilire la giustizia. Scrivere un reclamo direttamente all’Nkvd o “personalmente a Stalin” era preferibile rispetto a passare per un esercito ingombrante di funzionari e burocrati.
Alcuni di questi delatori volontari erano così appassionati da non fermarsi certo a una o due denunce. È noto il caso di un attivista anticorruzione della regione di Mosca che inviò oltre 300 “segnalazioni” a tutti i tipi di autorità. Alla fine, la maggior parte delle accuse contenute furono confermate come reali dalle inchieste.
Ma l’informatore non era sempre guidato da intenzioni pure. Un reclamo a un’“autorità superiore” poteva essere motivato da invidia professionale o dal desiderio di “mettere i bastoni tra le ruote” a un collega.
Nel 1937 fu presentata una delazione contro Ivan Benediktov (1902–1983), un giovane impiegato del Commissariato del Popolo (Ministero) all’Agricoltura. Alcune persone vedevano di cattivo occhio la sua diligenza e professionalità, che gli avevano permesso un rapido avanzamento di carriera.
Benediktov fu fortunato. Stalin aveva bisogno di un valido quadro, e invece di un processo gli fu affidato l’incarico di Commissario (ministro) dell’Agricoltura dell’Urss. Dopo aver visto il testo della delazione, Ivan Benediktov rimase stupito: “C’erano le firme di persone che consideravo i miei amici più cari e di cui mi fidavo ciecamente”.
Oltre ai calunniatori occasionali, sui posti di lavoro potevano esserci anche “delatori di professione”. Nina Maltseva, che lavorava nei media sovietici, ha ricordato: “Ogni istituzione aveva il suo ‘spione’ [in russo: “стучак”; “stuchák”] dell’Nkvd, che doveva trovare i ’nemici del popolo’ e identificarli, e in base alle sue informazioni si decideva se, come, quando e dove arrestarli. Nella nostra redazione, lo ’spione’ era Moiseevich, un uomo stupido, arrogante e astuto che godeva del suo potere. Ficcava sempre il naso, si intrometteva in tutto, minacciava tutti. Ricopriva la modesta posizione di economo ma aveva in pugno la vita e le disgrazie di molte persone. Non aveva una coscienza”.
Le delazioni non avvenivano solo sul lavoro, ma anche nella vita quotidiana. Per il fatto di accusare un vicino di avere un ritratto di Trotskij appeso in casa o di svolgere attività sovversive contro la fattoria collettiva, il “vigile cittadino” poteva ricevere una generosa ricompensa finanziaria.
Si arrivò al punto di far scrivere ai bambini denunce contro i loro genitori nel contesto di una massiccia campagna di propaganda. L’esempio più famoso è quello di Pavlik Morozov. Il tredicenne accusò il padre di essersi indebitamente appropriato di proprietà socialiste, e fu ucciso per vendetta dai suoi parenti, divenendo un vero eroe socialista. Fu commemorato da monumenti, libri e poesie.
Pavlik Morozov
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Mitja Gordienko, uno scolaro della regione di Rostov, denunciò i suoi compagni di villaggio, che raccoglievano le spighe di grano cadute nei campi della fattoria collettiva (secondo la “legge delle tre spighe” del 1932 si poteva essere giustiziati anche per aver rubato solo pochi chicchi di grano). Grazie alle denunce del ragazzo, una delle donne arrestate fu condannata a dieci anni di lavori forzati e un’alta venne fucilata. Per la sua “impresa” Mitja fu premiato con un orologio personalizzato, una divisa da pioniere e un abbonamento al giornale “Leninskie vnuchata”.
La pioniera Olja Balykina mandò sul banco degli imputati 16 persone per “furto e sottrazione di beni agricoli collettivi”. Pronja Kolybin, che denunciò la propria madre, venne per questo inviato per premio al campo dei pionieri di Artek.
Le delazioni raggiunsero il loro apice in era stalinista, in particolare tra gli anni Trenta e Quaranta. Dopo la morte di Stalin (1953), il fenomeno declinò, ma continuò a essere parte integrante della società sovietica fino al crollo dell’Urss, avvenuto nel 1991. A causa della segretezza di alcuni archivi degli organi di sicurezza dello Stato, il numero esatto di delazioni scritte rimane ancora oggi sconosciuto.
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