“Pavel Morozov ha combattuto il nemico e ha insegnato agli altri come farlo. Si è rivolto a tutto il villaggio ed ha denunciato suo padre!”. Questa è una frase di un poema sovietico degli anni Trenta. C’era una lunga serie di altre poesie, canzoni, libri, diapositive e persino un’opera lirica dedicata a questo giovane. Monumenti a Pavlik Moròzov furono eretti in tutta l’Urss. Stalin voleva persino innalzare un monumento a Morozov nel cuore stesso dell’Unione Sovietica, vicino al Cremlino. Morozov ebbe per sempre la tessera numero 1 dell’organizzazione giovanile sovietica dei Pionieri. Si sviluppò un vero culto di quel ragazzo in Unione Sovietica. Ma perché era così importante?
Pavel (diminutivo: Pavlik) Morozov, nato il 14 novembre del 1918, era un ragazzino di 13 anni proveniente da un remoto villaggio siberiano, Gerasimovka, quando, insieme al fratello minore Fjodor, fu brutalmente ucciso il 3 settembre del 1932. Lo Stato sovietico dipinse il fatto come un omicidio di classe. Pavlik, che era un giovane entusiasta del comunismo, sarebbe caduto vittima del ceto più ricco e antisovietico del villaggio, i kulakì, i contadini ricchi. Era l’epoca della grandiosa riforma dell’agricoltura sovietica, e il nuovo sistema delle fattorie collettive causava una diffusa insoddisfazione, specialmente tra i contadini più agiati. La storia di Pavel fu strumentalizzata dalle autorità come esempio della massima lealtà e del sacrificio per il partito.
Secondo la narrazione ufficiale, Pavlik aveva sfidato apertamente suo padre e suo nonno, che nascondevano il grano, invece di consegnarlo allo Stato, proprio nel momento in cui la fornitura di grano era di vitale importanza per la Russia sovietica. Il ragazzo si presentò a testimoniare in tribunale contro i familiari e presentò una denuncia contro suo padre. Quest’ultimo fu riconosciuto colpevole delle accuse di corruzione e venne imprigionato. Così, membri della sua stessa famiglia e altri kulakì decisero di vendicarsi e di uccidere il giovane attivista. Il piano venne eseguito dal nonno di Pavel e da suo cugino che pugnalarono a morte i bambini in una foresta vicina al loro villaggio. Successivamente, i due autori materiali vennero condannati a morte, mentre altri complici furono incarcerati.
Questa versione ufficiale degli eventi è rimasta incontrastata per decenni, fino alla Perestrojka di Gorbachev e alla fine degli anni Ottanta, quando l’eroe divenne improvvisamente un traditore. Jurij Druzhnikov, uno scrittore dissidente emigrato dall’Unione Sovietica, pubblicò il suo libro intitolato “Informer 001: The Myth of Pavlik Morozov”, dove il Pioniere numero 1 diventava il Delatore numero 1. Nel libro, la biografia del ragazzino veniva reinterpretata in modo negativo e lui veniva dipinto come un traditore dei suoi parenti più stretti, uno a cui piaceva “fare brutti scherzi agli altri”, compresa la sua stessa famiglia. Secondo Druzhnikov, Pavel non era neppure un pioniere, e l’omicidio fu solo una provocazione della polizia segreta che voleva fare un caso politico della morte del ragazzo e creare un eroe.
Riproduzione del quadro "Pavel Morozov" (1952) del pittore Nikita Chebakov
Saikov/SputnikLe affermazioni di Druzhnikov furono in seguito criticate, ma all’epoca vennero accolte con entusiasmo dai media dell’Urss, da poco liberati dalla politica della Glasnost e affamati di scoop. Apparvero nuove canzoni sul ragazzo, come quella della famosa rock-band Krematorij. Lì Pavel non era più un eroe, ma una sorta di demone, un male inestirpabile che transita in Russia da un’epoca all’altra. Alcuni dei monumenti di Morozov furono demoliti.
Tuttavia, la glorificazione che improvvisamente si trasformò in demonizzazione scioccò molti sovietici, specialmente quelli che avevano conosciuto Pavel di persona e che erano ancora vivi. I media pubblicarono una lettera aperta della prima insegnante di Pavel, Larisa Isakova. Scrisse del padre che Pavel aveva accusato di corruzione (era presidente del consiglio locale) dicendo che “faceva abuso di alcol e picchiava la moglie”.
Monumento a Pavel Morozov abbattuto in un parchetto per bambini
Valerij Khristoforov/TASS“Avevamo accolto la rivoluzione, le idee di Ilich [Lenin] con tutto il cuore. Sognavamo l’uguaglianza, la fratellanza e il comunismo, e così faceva Pavlik”, scrisse, ricordando la lotta contro i kulakì. “Molti di loro sono stati perseguiti ingiustamente, ma tanti erano brutali sfruttatori. Non permettevano ai contadini poveri di entrare nelle fattorie collettive, perché non volevano perdere manodopera a basso costo”, testimoniò la donna. “Perché il mio studente è ora definito un traditore, e in che modo è diventato vittima di repressioni postume?”.
Come si è scoperto da quelle aspre discussioni, la versione ufficiale sovietica era sbagliata riguardo a un punto: Pavel non denunciò suo padre e non depositò alcun documento contro di lui. Molto probabilmente testimoniò in tribunale, sostenendo le prove e la versione di sua madre. Ma allo stesso tempo, non sembrano esserci motivi per dubitare delle sue convinzioni comuniste.
Alcuni giovani pionieri dell'Oblast di Tyumen visitano il luogo dove è stato rinvenuto il corpo di Pavlik Morozov
Anatolij Grahov/TASSQual sia stato il motivo principale dell’omicidio di Pavel, se l’odio personale da parte dei suoi parenti o il suo attivismo politico nel villaggio, non si può dire con certezza. Tuttavia, quando vent’anni fa l’ufficio del procuratore generale della Russia ha ricevuto la richiesta di riabilitare gli assassini condannati per l’omicidio di Pavel, si è rifiutato di farlo. Il verdetto è stato ribadito dall’Alta Corte, confermando così i principi fondamentali della versione sovietica degli eventi.
Collettivizzazione: così fu spazzato via il vecchio contadino russo
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