Gesù disse ai suoi discepoli: “Lasciate ogni cosa e seguitemi”. A partire dall’XI secolo, molti russi cominciarono a seguire alla lettera questa esortazione. Si recavano in Terra Santa per venerare i santuari e ricevere il dono della pietà cristiana. A casa i pellegrini tornavano con un ramo di palma per dimostrare che erano davvero stati a Gerusalemme. E da “palma”, in effetti, deriva la parola russa “palomnik”, cioè, pellegrino. Coloro che facevano pellegrinaggi verso i luoghi santi furono i primi viandanti della Russia.
Riproduzione del dipinto “Strannik” (“il pellegrino”) di Vassily Perov (1834-1882). Galleria di Stato Tretjakov
Pavel Balabanov/SputnikTuttavia, la gente si metteva in viaggio non solo per motivi religiosi. Sin dai tempi antichissimi il tasso di mobilità dei russi era piuttosto elevato. Quando poi lo zar cominciò a istituire la servitù della gleba e l’obbligo del servizio di leva, molte persone, ad ogni “giro di vite” dello Stato lasciavano tutto e andavano a piedi verso l’ignoto.
“Strannik” (“Il pellegrino”), dipinto di Vasilij Perov del 1859
Museo di SaratovScrive lo storico Sergej Pushkarev: “Nello Stato di Moscovia c’erano ancora molte persone ‘libere, vaganti’, che non erano alle dipendenze di privati e non erano iscritte alle comunità di soggetti direttamente sottomessi allo zar, né a quelle dei posad e delle volost”. Pushkarev spiega che si trattava dei figli dei sacerdoti che non avevano voluto seguire le orme dei loro padri, dei figli dei cittadini soggetti al servizio (militare o civile) renitenti alla leva, dei figli dei contadini servi della gleba che non avevano della terra propria, nonché di operai che vivevano con lavoro subordinato; skomorokh (artisti itineranti), mendicanti e vagabondi.
In Russia, i pellegrini mendicanti spesso erano venerati già in vita, in quanto erano ritenuti virtuosi quasi come gli jurodivye; gli “stolti in Cristo”.
“Bogomolki-Strannitsy” (“Devote pellegrine”), dipinto del 1878 di Ilja Repin (1844-1930)
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L’edizione russa del Dizionario enciclopedico Brockhaus ed Efron scriveva di “un tipo particolare di mendicante, molto diverso da quello europeo occidentale. L’elemosinante occidentale, nella quasi totalità dei casi, è povero mentalmente, moralmente e materialmente; da noi il mendicante, specie nei tempi passati, era una persona esperta, persona grata in ogni casa dove entrava, un interessante e inesauribile narratore delle cose da lui viste”. “Predicatore itinerante e nullatenente, che afferma la dottrina di Cristo non con ragionamenti teologici, bensì con la sua misera veste. Questa immagine era facile da capire e stava a cuore al popolo semplice”, scrive invece il filosofo Daniil Dorofeev.
C’è da notare che sin da tempi antichissimi, i pellegrini e i viandanti svolgevano la funzione che oggi svolge “internet”; erano un “giornale” parlante. Proprio loro informavano la popolazione, сhe era analfabeta e non leggeva libri, delle nuove decisioni della Chiesa, delle assemblee sinodali e dell’ordinazione dei nuovi vescovi. Ai pellegrini spesso veniva chiesto di pregare nei luoghi santi per la vita o la salute dei parenti, o per la memoria dei defunti, di accendere candele o anche, semplicemente, di portare una lettera a qualcuno che stava lontano.
“Kaliki perekhozhie”, dipinto di Illarion Prjanishnikov (1840-1894). Nel XIX secolo per “kalika” si intendevano gli elemosinanti che cantavano versi, inni e salmi religiosi
Galleria TretjakovMolte persone, dagli starets (mistici ortodossi) ai gerarchi della Chiesa, fino ai semplici contadini, erano in corrispondenza tra di loro grazie agli “eterni migratori”, spesso a mezzo di lettere cifrate. Non c’era il rischio che le lettere potessero essere intercettate: trovare un lettera dentro la misera sacca di uno dei pellegrini, che sembravano tutti uguali, era praticamente impossibile. Molte lettere erano scritte con “tarabarskaja gramota”, un linguaggio in codice molto popolare tra i sacerdoti russi. Attraverso i viandanti comunicava con i suoi corrispondenti segreti anche il misterioso mistico siberiano Fjodor Kuzmich (che molti ritenevano lo zar Alessandro I sotto mentite spoglie): le sue lettere private non furono mai decifrate dalla polizia.
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In Russia questo era l’appellativo dei viandanti. “Kalika” è un’antica parola russa che può essere usata sia al maschile, che al femminile. Vladimir Dal (autore del Dizionario esplicativo della lingua grande-russa viva), spiega: “Kalika” [калика], nelle canzoni e nelle leggende – pellegrino, migratore; “perekhozhij” [перехожий] - bogatyr [guerriero] errante e mendicante in umiltà, in miseria, dedito alle opere pie”. Si noti che la figura di elemosinante in questo caso si associa alla condizione del bogatyr (guerriero), anche se, ovviamente, non tutti i mendicanti sono guerrieri. Nel XIX secolo per “kalika” si intendevano gli elemosinanti che cantavano versi, inni e salmi religiosi. L’assonanza della parola “kalika” col russo “kaleka” (калека, storpiato) è dovuta al fatto che entrambi i vocaboli derivano probabilmente dal turco “kalak”; mutilato.
"Viandanti. Oltre il Volga", dipinto del 1922 del pittore Mikhail Nesterov (1862-1942)
Collezione privataI kaliki pellegrinavano in gruppi che si chiamavano “vataga” (ватага; ossia “masnada”) o “artel’” (артель, “compagnia”). Nel Dizionario Brockhaus troviamo la descrizione di una “masnada” proveniente dal governatorato di Minsk. A capo del gruppo c’era un atamano cieco: per essere “promosso” al rango di mendicante “vero”, bisognava “fare l’apprendistato” per 6 anni, pagando ogni anno 60 copeche (centesimi del rublo) per la cosiddetta candela dell’elemosinante, e poi superare l’esame, dimostrando la conoscenza delle preghiere, dei versi e delle canzoni dei mendicanti e del loro particolare linguaggio.
La masnada aveva un suo tesoriere e dei capi che si chiamavano “sotskij” e “desjatskij” (per analogia con i comandanti dell’antico esercito). Le decisioni venivano prese dall’assemblea, che eleggeva i capi e puniva i colpevoli, ai quali veniva “tagliata”, cioè tolta, la sacca del mendicante.
Una categoria a parte erano i narratori (affabulatori) non vedenti, spesso accompagnati da una persona vedente. Errando in solitudine, queste persone chiedevano l’elemosina, cantando inni e salmi, accompagnandosi spesso con la ghironda, il gusli o la domra. Nella sua residenza di Aleksandrov, Ivan il Terribile, spesso, si faceva raccontare delle storie prima di andare a letto. I narratori erranti, sia uomini che donne, conoscevano moltissime storie e pettegolezzi, pertanto erano sempre attesi nella parte del palazzo riservata alle donne della famiglia regnante, dove per loro c’erano delle apposite stanze in cui mangiavano e dormivano.
Gli affabulatori erano simili agli skomorokhi, con la differenza che questi ultimi erano perseguitati dal potere, tanto che entro la fine del XVII secolo le compagnie di questi artisti ambulanti praticamente scomparvero. Fino ad allora però gli skomorokhi venivano invitati sia ai matrimoni che ai funerali. Secondo alcune fonti, anche Ivan il Terribile, da giovane, amava divertirsi in compagnia di skomorokhi. Gli artisti ambulanti erano organizzati quasi come le masnade dei mendicanti professionali.
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“Fratelli ortodossi, fate una donazione alla Chiesa di Dio per costruire un edificio in pietra!”. Questa richiesta per centinaia di anni risuonò nelle strade e nelle piazze delle città russe. Erano i cosiddetti “proshak” (dal russo “prosit’”, chiedere), che chiedevano donazioni per la Chiesa. Attenzione: non per loro, bensì per la chiesa!
“Processione nel governatorato di Kursk”, dipinto di Ilja Repin realizzato negli anni 1880-1883
Galleria TretjakovEcco come descriveva il “proshak” lo storico Sergej Maksimov: “Girava vestito con un armiak [un soprabito] di colore blu o nero, di taglio borghese, che avvolgeva strettamente il corpo ed era cinto in maniera festosa, tanto da far intuire la serietà e la solennità. Il proshak era quasi sempre un uomo anziano, munito immancabilmente di un libro avvolto in un pezzo di seta nera con sopra dei nastri cuciti a croce. Sul libro aveva delle monete. Il libro era legato; l’estremità dello spago era fissata da ceralacca rossa con un timbro dello Stato, sull’ultimo foglio c’era l’attestato del concistoro”.
“Nei posti con più soldi, nelle città dei mercanti e nelle cattedrali, decine di queste persone formano delle lunghe file”, scrive Maksimov. Questi personaggi venivano chiamati “sborschik”, “proshak”, “zaproschik”, “kubrak”, “labor’”. Tra i questuanti c’erano molte monache, normalmente accompagnate da due novizie che raccoglievano i soldi. I monaci, invece, viaggiavano sempre da soli.
“Mi sono reso conto delle mie iniquità, mi son pentito e mi sono confessato, ho dato la libertà a tutti coloro che erano al mio servizio e ho giurato di tormentarmi per tutta la vita con ogni sorta di fatiche e di nascondermi nella miseria… Da 15 anni sto vagando per tutta la Siberia. Talvolta mi sono fatto assumere dai contadini per lavori che erano nelle mie forze, talvolta ho chiesto da mangiare in nome di Cristo. Ah, malgrado tutte queste privazioni, quanta beatitudine, felicità e pace dell’anima ho assaporato”.
“Vladimirka”, dipinto del 1892 di Isaak Levitan (1860-1900)
Galleria TretjakovSono le parole di un principe diventato pellegrino. Vengono citate dall’autore anonimo del libro “Racconti di un pellegrino russo”, molto popolare in Russia nel XIX secolo.
I pellegrini di questo tipo: persone che rinunciavano alla vita agiata per dedicarsi al pellegrinaggio, godevano di una stima particolare. Il pittore Vasilij Perov ci ha lasciato la descrizione di uno di questi pellegrini, un certo Khristofor Barskij: “Alto, ma già con la schiena curvata come un ramo superiore di un alto abete, quando, in mezzo a un inverno caldo, è appesantito dalla neve. La sua barba non era bianca come quella del principe, ma piuttosto grigia, come un argento parecchio usato, ma tagliata in modo consueto; gli occhi tristi, come velati da una foschia nera o dai tempi di lunghe sofferenze… Al posto di un mantello vestiva un ampio caffettano contadino con delle toppe, di colore di pan di segale, cinto con una sottile cintura con una fibbia di rame… Malgrado questo vestito così misero, in tutta la figura del vecchio, e soprattutto nel suo viso, c’era un qualcosa che contrastava con il suo vestito e le sue condizioni”.
Anton Chekhov scrisse di queste persone: “Immaginando tutta la terra russa, che gran moltitudine di analoghi granelli erranti, in cerca di una vita migliore, stava marciando adesso lungo le strade e i sentieri di campagna, o sonnecchiava in attesa dell’alba in locande, osterie, alberghi o sull’erba sotto il cielo”.
Le persone ospitavano volentieri questi pellegrini, perché ne ammiravano la libertà e la conoscenza del mondo e delle persone. Agli occhi del popolo i viandanti non erano dei semplici individui, bensì un archetipo del pellegrino. “Il pellegrinaggio in Russia costituiva una religione del popolo, i pellegrini erano dei santi popolari; erano liberi dal potere – sia della Chiesa che dello Stato – erano vicini al popolo, in quanto non cercavano di dividersi da esso, ed erano sempre di fronte ai suoi occhi… In via di principio, ciascuno si riservava la possibilità di far propri questi ideali e persino di mettersi sulla strada del pellegrinaggio”, scrive Dorofeev.
“…la folla gli si gettò addosso chiedendo benedizione e domandando consigli e aiuti. Vi erano delle pellegrine che andavano da luogo santo a luogo santo, da un eremita a un altro, e sempre si commovevano davanti a ogni santuario e a ogni eremita… C’erano dei pellegrini, per la maggior parte soldati congedati, che avevano perduto l’abitudine della vita sedentaria, vecchi miserabili e spesso ubriaconi, che vagabondavano di monastero in monastero soltanto per avere il nutrimento…”.
È così che descrive i vagabondi lo scrittore Lev Tolstoj nel suo racconto “Padre Sergio”. Non tutti i pellegrini credevano sinceramente in Dio e non tutti conducevano una vita virtuosa. Molte persone si mettevano in viaggio soltanto perché piegate dal destino e costrette a elemosinare per sostentarsi. Tra i pellegrini, queste persone costituivano un’enorme massa grigia; a centinaia e migliaia confluivano in tutti i luoghi di preghiera.
“Il contemplatore”, dipinto del 1876 di Ivan Kramskoj (1837-1887)
Museo di KievAll’inizio del XX secolo, quando in Russia c’era già una rete ferroviaria e la mobilità dei cittadini aveva raggiunto livelli senza precedenti, il fenomeno del pellegrinaggio a piedi gradualmente scomparve. L’imperatore Nicola II e la sua famiglia diverse volte invitarono a Corte i pellegrini Vasilij Bosonogij (“Basilio lo Scalzo”) e Paraskeva di Sarov, ma queste persone, che erano largamente conosciute e avevano moltissimi seguaci, erano già lontani dall’ideale del pellegrino anonimo. Tra l’altro, l’interesse della famiglia imperiale per questi due svanì subito dopo la nascita del lungamente atteso erede al trono.
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