Il nome di questo strumento, molto probabilmente, deriva dal verbo “parlare”, “chiacchierare” (“boltàt”). I musicisti suonavano la balalajka (a volte, in italiano scritta anche “balalaika”) e ci “chiacchieravano” sopra dei testi popolari: questo era un divertimento piuttosto diffuso tra i contadini. L’espressione “besstrunnaja balalajka” (letteralmente: “balalajka senza corde”) si utilizza oggi in russo per indicare un “chiacchierone”, “uno che non sta mai zitto”, e comunque “uno che parla tanto ma conclude poco”. All’Esposizione Universale di Parigi del 1889, la Russia non solo mostrò i suoi risultati nel campo dell’agricoltura e della scienza, ma organizzò anche un concerto di musica popolare russa. Fu così che la balalajka assurse al ruolo di strumento russo per antonomasia, ottenendo una fama mondiale e divenendo uno dei simboli più riconoscibili del Paese.
E guardate quanto è bella la balalajka in questo video musicale di Neuromonk Feofan:
Questo strumento tradizionale russo, vagamente simile al liuto, è la bàbushka (la nonna) della balalaica. Apparve nelle terre slave dopo il giogo mongolo tataro, il periodo di dominazione straniera durato dal 1237 al 1480, evolvendosi dagli strumenti a corda pizzicata dei mongoli. La differenza tra una domra e una balalaica è che la cassa della balalaica è triangolare e lo strumento si suona con le dita, mentre la domra ha una cassa semisferica e si suona con il plettro.
La domra e la balalaica sono la base di qualsiasi orchestra popolare russa. Entrambe hanno dimensioni variabili (piccolo, primo, alto, basso, contrabbasso), e insieme producono un suono vivido e profondo.
Quando senti un gusli, immagini di camminare in una foresta, abbracciare un albero di betulla e goderti il canto degli uccelli.
Questo antico strumento musicale, vagamente simile a una cetra da tavolo, esiste dal IX secolo. Ha da 5 a 60 corde e chi la suona, il gusljàr, può usare sia le dita che un plettro, a seconda delle dimensioni del gusli.
Veniva spesso usato come accompagnamento dai contastorie (l’etimologia di gusli deriverebbe da “gudet”; “ronzare”, “risuonare”). Oggi ci si può imbattere in moderni gusljar persino nella metropolitana di Mosca!
In Russia, ci sono diversi strumenti che si traducono tutti con “fisarmonica” in italiano: il garmón, il bajàn e l’akkordeón. Sono apparsi in Russia, secondo diverse fonti, alla fine del XVIII o all’inizio del XIX secolo. Neanche il luogo di origine è chiaro: alcuni sostengono che provenissero dall’Europa, altri dalla Cina, e non manca chi sostiene che siano stati inventati in Russia. In ogni caso, ai russi sono piaciuti e li hanno adottati per cantare canzoni popolari e raccontare storie d’amore.
Il garmon è il più compatto tra loro e il più facile da imparare. E fino a qualche anno fa se un ragazzo lo suonava, poteva diventare una vera star tra le ragazze!
Il bajan è più grande, ha più ottave e un suono più profondo.
L’akkordeon ha tasti simili a quelli di un piano a sinistra, al posto dei bottoni. Tutti questi strumenti sono ancora molto popolari in Russia.
Lo strumento più semplice e più piccolo, la svistùlka, imita il canto degli uccelli (“svistét”, del resto, significa “fischiare”) e si abbina ottimamente al gusli.
Realizzato in ceramica (di solito a forma di uccello), ha da 1 a 4 fori e ricorda un po’ un’ocarina. Chiudendone alcuni con le dita e contemporaneamente soffiando, si possono emettere suoni diversi.
Tali strumenti, sostanzialmente dei tamburelli, sono molto diffusi in molte minoranze etniche della Russia e sono ancora utilizzati, non solo per la musica, ma anche per vari rituali (almeno sugli Altaj e tra i nenci). Gli slavi avevano dato allo strumento a percussione fatto di cuoio su una cornice di legno con dozzine di piccole campanelle un nome onomatopeico: “bùben”.
Oggi in Russia, “buben” è un sinonimo colloquiale di “faccia”, utilizzato principalmente dai gopnik. “Dat’ v buben” (“дать в бубен”) significa” dare un pugno a qualcuno in faccia“.
Uno strumento molto utile, anche a cena. È così semplice suonare i lozhki (cucchiai di legno), che ci sono molte orchestre folk di bambini (si chiamano “lozhkari”) che suonano solo questo strumento.
I lozhki sono cucchiai di legno e ricordano il suono delle nacchere spagnole. Un musicista può suonare da due a cinque “cucchiai” contemporaneamente. E il suono dipende dal tipo di legno usato e dalle dimensioni.
Ah, l’antico modo slavo di fare rumore! Questo strumento idiofono è costituito da diverse “piastre” di quercia fissate con una corda e sinceramente il suo suono non differisce molto da quando si calpestano dei rami secchi in una foresta. Nelle bande folk, i treshchotka sono usati per accompagnare il canto degli stornelli (in russo: “chastushka”).
Esistono molti tipi di flauti popolari russi realizzati con diversi tipi di legno e con perforazioni diverse. Tra questi c’è lo “svirel” (dal verbo “svistét”; “fischiare”) di salice, la pyzhàtka (da “pyzh”, che significa “beccuccio”) d’acero, la zhalejka (probabilmente da “zhalét”; “aver pietà”) di betulla, il rozhók (che significa “cornetto”) di ginepro. E altri ancora. “Dudka” è il termine generico che li raccoglie tutti. Erano usati non solo per la musica, ma anche per richiamare le bestie al pascolo, per la caccia e durante i rituali.
Ecco a voi lo xilofono slavo! La costruzione del drovà (parola plurale che si usa anche con il senso di “legna da ardere”; “catasta di legna”) è molto semplice: basta prendere un po’ di tavolette (quelle di betulla o di acero sono considerate le migliori) e percuoterle con un bastone (nelle versioni più moderne, con le apposite mazzuole). Ogni pezzo di legno ha un solco: più profondo è il solco, maggiore è il tono.
La “ginnastica slava”: un bizzarro mix di esercizi e riti pagani è sempre più di moda in Russia
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