La questione della donna tra i bolscevichi: ascesa e declino del femminismo dopo la Rivoluzione

Storia
ALEKSANDRA GUZEVA
Il potere sovietico riponeva molte speranze nelle donne. Per farne delle vere edificatrici del comunismo, dovevano essere liberate dal peso della società patriarcale e dalla schiavitù domestica. Ottennero molti diritti, anche se in seguito nel partito si iniziarono a temere le “tendenze femministe”

Le manifestazioni delle lavoratrici, che sconvolsero la Russia all’inizio del XX secolo, furono un prologo della Rivoluzione russa. Ciò spiega, almeno in parte, perché la Russia dei Soviet fu tra i primi Paesi al mondo a garantire alle donne la parità dei diritti. 

I bolscevichi si rendevano conto che le donne rappresentavano un enorme capitale sociale, pertanto dovevano essere istruite e seguite dalla propaganda. Era importante sradicare nelle donne le idee “antiquate”, secondo cui erano il “sesso debole”, dovevano stare in casa con i figli, servire il marito ed essere schiave delle faccende domestiche.

Già nei primi mesi dopo la Rivoluzione d’Ottobre furono approvati alcuni decreti che stabilivano la parità dei sessi per quel che riguarda le retribuzioni e gli obblighi familiari. La durata massima del lavoro femminile fu limitata a 8 ore al giorno e alle donne fu garantito il congedo di maternità. E siccome il congedo fu introdotto con un “decreto” dello Stato sovietico, in Russia è ancora molto diffuso il termine “dekretnyj” per riferirsi a questo diritto. 

Lenin e le donne

Lenin era un acceso promotore della parità femminile, contando ovviamente sul loro sostegno. Si adoperava per lo svolgimento dei congressi e delle conferenze femminili e comunicava strettamente con le attiviste rivoluzionarie che si battevano per i diritti delle donne. 

Nel 1919, nel suo articolo “Il potere sovietico e la condizione della donna”, Lenin scrisse: “In due anni, in uno dei Paesi più arretrati d’Europa, il potere sovietico ha fatto per l’emancipazione della donna e per la sua parità con il ‘sesso forte’ tanto quanto tutte le repubbliche avanzate, illuminate e ‘democratiche’, prese all’insieme, non hanno fatto nei 130 anni precedenti”.

Sottolineava anche che negli ordinamenti basati sulla proprietà privata, “da nessuna parte del mondo, in nessuno dei Paesi più avanzati, la condizione della donna è diventata pienamente paritaria”. Persino la Rivoluzione francese non era riuscita a risolvere questo problema e “non assicurò né la parità formale, né la liberazione della donna dalla tutela e dall’oppressione da parte dell’uomo”.

Il Zhenotdel, il Dipartimento femminile del partito

Già prima della Rivoluzione, nel Partito bolscevico esisteva una Commissione per la propaganda e l’agitazione tra le donne operaie e contadine. Nel 1919 fu istituito il Dipartimento per il lavoro fra le donne, comunemente chiamato “Zhenotdel” (“Dipartimento femminile”), con lo scopo di “operare tra le donne lavoratrici al fine della loro educazione nello spirito comunista e del loro coinvolgimento nella costruzione del socialismo”, come scrive la Grande enciclopedia sovietica.

Il primo capo del Dipartimento fu Inessa Armand, collaboratrice (e, forse, amante) di Lenin e fervente rivoluzionaria. Organizzava conferenze di donne comuniste e lottava contro la visione tradizionale della famiglia. 

Nel 1920 le succedette Aleksandra Kollontaj, un’altra rivoluzionaria, diventata la prima donna ad essere nominata ministra e poi anche diplomatica. Kollontaj promuoveva l’istruzione femminile e portava avanti una campagna di propaganda per spiegare alle donne che il sistema era cambiato e i doveri familiari ora si distribuivano in maniera diversa.

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I principali compiti del Dipartimento femminile (“Zhenotdel”) erano:

Inoltre, il Zhenotdel si occupava di un ampio ventaglio di questioni sociali. Per esempio, durante la Guerra civile istituì Comitati per l’aiuto ai combattenti feriti e malati dell’Armata Rossa e organizzò centri di evacuazione. Le donne che lavoravano al Dipartimento provvedevano ai minori rimasti senza genitori, per i quali si creavano appositi collegi; aprivano mense pubbliche e organizzavano i Subbotnik (giornate di lavoro volontario non pagato, note anche come “sabato comunista”). Entro la fine degli anni Venti, con il Dipartimento femminile collaboravano più di 600 miladelegate che organizzavano il lavoro in tutto il Paese e partecipavano ai congressi.

In Unione Sovietica cominciarono a uscire delle riviste per donne, fra cui “Rabotnitsa” (“Operaia”), “Krestjanka” (“Contadina”), “Kommunistka” (“La comunista”). L’edizione era curata personalmente dalla moglie di Lenin, Nadezhda Krupskaja. Lo scopo di queste nuove pubblicazioni specializzate era quello di “coinvolgere le operaie e le contadine nella lotta per il comunismo e nella costruzione sovietica”. Le donne dovevano diventare membri paritari della società e una risorsa nel mondo del lavoro.

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Le “tendenze femministe” e la chiusura del Zhenotdel

La complessa questione dell’attività politica indirizzata alle donne divenne tema di accese polemiche all’interno del partito. Più volte si cercò di chiudere il Dipartimento femminile, passando le sue funzioni al Dipartimento di agitazione e propaganda. Nel 1923, nel corso del XII congresso del partito, al quale Lenin non potette assistere a causa della malattia, si cominciò a parlare del pericolo delle “tendenze femministe”. “Queste tendenze potrebbero contribuire a creare delle associazioni che all’insegna di miglioramento delle condizioni delle donne, in realtà opererebbero per isolare la parte femminile dei lavoratori dalla lotta di classe”, dichiarò al congresso il bolscevico Pjotr Smidovich.

Quella volta però fu proposto di integrare maggiormente le donne nel lavoro del partito, di rafforzare i sindacati delle donne e di creare la figura di istruttori comunisti per coinvolgere le donne nell’attività lavorativa e nella tutela del lavoro. 

Anche Stalin parlò più volte della questione femminile, rilevando che le donne erano la categoria più oppressa dei lavoratori, ma nel contempo costituivano la metà della popolazione, quindi era fondamentale che fossero considerate una riserva di forza lavoro e si schierassero dalla parte della classe operaia, che soltanto in questo caso avrebbe ottenuto la vittoria sulla borghesia. 

Tuttavia, già alla fine degli anni Venti Stalin iniziò a dirsi convinto che la questione femminile fosse stata “totalmente e definitivamente risolta”, pertanto ordinò di chiudere il Dipartimento femminile del partito. Nel contempo, però, i Consigli femminili nelle aziende continuarono la loro attività. Si continuò anche a tenere assemblee e conferenze di donne, comprese quelle su scala internazionale. 

Nel 1941 fu creato il Comitato antifascista delle donne sovietiche, che rimase attivo anche dopo la fine della guerra. Il principale scopo del Comitato era quello di dimostrare agli stranieri la parità delle donne, che era stata raggiunta in Urss. Dopo la guerra, le donne, che avevano combattuto a fianco degli uomini, dando esempi di incredibile eroismo, non erano certamente più considerate il “sesso debole”.

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