I quattro più celebri eroi partigiani della storia russa

Aleksandr Smirnov; George Dawe/Museo Ermitage; Dominio pubblico
Invadere la Russia non è mai una buona idea, come hanno provato sulla loro pelle i soldati prima di Napoleone e poi di Hitler, anche perché, oltre all’esercito regolare, a dare del filo da torcere sono le formazioni della resistenza

1 / Vasilisa Kozhina

“Era una donna dalla statura di un bogatyr [eroe epico della mitologia slava, ndr] e dall’enorme forza fisica. Bella di viso, aveva un carattere coraggioso e deciso”, così i contemporanei descrissero una delle eroine più famose della Guerra patriottica) del 1812, quella contro Napoleone: Vasilisa Kozhina.

Con gli orrori della guerra, la trentacinquenne Vasilisa, madre di cinque figli, fece conoscenza per la prima volta a metà agosto, quando le truppe francesi saccheggiarono il suo villaggio natale nella regione di Smolensk, uccidendo suo marito, il capo del villaggio Maksim Kozhin.

I francesi tornarono nove giorni dopo, proprio durante la commemorazione del defunto. Vasilisa, eletta nel frattempo capo villaggio dagli abitanti, li salutò con affetto e ospitalità, invitandoli alla tavola imbandita nell’isba. Quando i soldati si ubriacarono, ordinò di chiudere a chiave le porte e di sbarrare le finestre e bruciò vivi i nemici.

Un distaccamento partigiano organizzato e guidato dalla Kozhina si mise poi sulle orme della Grande Armata napoleonica, facendo strage di foraggieri, soldati rimasti isolati e sciacalli che rubavano nelle case dei russi. E se i suoi uomini lasciarono presto le asce per sciabole, lance e pistole, Vasilisa continuò a combattere con un forcone, che “usava con una tale forza che poteva uccidere un cavallo con un solo colpo”.

Una volta, mentre la Kozhina stava scortando dei francesi catturati, uno di loro iniziò a esprimere apertamente la sua insoddisfazione per il fatto che fosse una donna a tenerli prigionieri. Poiché il soldato ostinato non voleva saperne di calmarsi, Vasilisa lo colpì a morte con una falce, ammonendo poi gli altri: “Tutti voi, ladri, cani, farete la stessa fine se solo osate muovervi un po’! Ho già fatto saltare 27 teste di pezzenti come questo qui! E ora avanti, marsch! In città!”.

Dopo la fine della Guerra patriottica, si perde la traccia di Vasilisa Kozhina. Secondo la versione più plausibile, tornò nel suo villaggio natale, dove morì intorno al 1840.

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2 / Denis Davydov

Quando Napoleone invase la Russia, il tenente colonnello Denis Davydov era al comando del 1° battaglione del reggimento degli ussari di Akhtyrka. Nell’agosto 1812, si rivolse al comandante della 2ª Armata occidentale, Pjotr Bagration, presentandogli un progetto di guerriglia nelle retrovie delle truppe francesi, e presto ricevette la sua piena approvazione.

Davydov non fu il primo e non fu l’unico comandante del distaccamento “volante” partigiano nella Guerra patriottica del 1812. Fu però grazie a lui che la guerriglia divenne ampiamente conosciuta e popolare e la sua esperienza fu accuratamente documentata e studiata.

Se Vasilisa Kozhina era una rappresentante del movimento partigiano popolare spontaneo, Denis Davydov apparteneva invece all’entourage militare. Per la sua prima incursione, scelse cinquanta ussari e ottanta cosacchi dalle unità regolari. Successivamente, il suo distaccamento aumentò fino a 300 uomini.

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Visto che i semplici contadini spesso confondevano le uniformi degli ussari russi con quelle dei francesi e scambiavano il distaccamento di Davydov per le forze del nemico, decise di cambiare completamente la sua immagine: indossò un caftano cosacco e si fece crescere la barba.

A metà settembre, quando l’esercito di Napoleone si stava preparando per entrare a Mosca, Davydov colse di sorpresa e uccise un grande distaccamento di foraggieri francesi nelle retrovie, vicino al villaggio di Tsarevo-Zajmishche. “La paura ha occhi grandi, e la paura è inseparabile dal disordine. Tutto si è sgretolato quando siamo apparsi: ne abbiamo catturati alcuni, non solo senza armi, ma anche senza vestiti, alcuni sono stati tirati fuori dai capannoni; solo una folla di trenta persone si è messa in testa di difendersi, ma sono stati dispersi e rimessi al loro posto. Questo blitz è costato ai francesi 119 soldati, due ufficiali, dieci carri provviste e un carro con cartucce”, scrisse nel suo “Diario delle azioni partigiane”.

Il 7 novembre, il distaccamento di Denis Davydov, insieme ad altre “unità volanti”, sconfisse la brigata del generale Jean-Pierre Augereau in una battaglia vicino al villaggio di Ljakhovo. Lo stesso comandante francese, insieme a circa 1.500 suoi soldati, fu fatto prigioniero dai russi. “Questa vittoria è tanto famosa perché per la prima volta nella campagna in corso, il nemico ha deposto le armi davanti a noi”, commentò il comandante in capo dell’esercito russo, il feldmaresciallo Mikhail Kutuzov.

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Con il superamento dei confine dell’Impero Russo nel gennaio 1813 e l’inizio della campagna all’estero dell’esercito russo, che sarebbe arrivato a conquistare Parigi nel marzo del 1814, le incursioni della cavalleria di Davydov alle spalle del nemico cessarono. Cominciò ad agire più in collaborazione con le truppe principali, nella loro avanguardia.

Dopo la fine della guerra contro Napoleone, Denis Vasilyevich fu in servizio militare per circa ancora vent’anni. Oltre all’esercito nutriva una grande passione per la poesia ed è passato alla storia come “il poeta-partigiano”.

3 / Konstantin Cechovich

Esattamente alle otto di sera del 13 novembre 1943, si udì una potente esplosione nell’edificio del cinema nella città di Porkhov, nella regione di Pskov, a seguito della quale rimasero uccisi più di 700 soldati della Wehrmacht, 40 ufficiali e due generali. L’organizzatore e l’esecutore di questo atto di sabotaggio su larga scala fu l’amministratore del cinema, che era anche un combattente attivo della 7ª Brigata partigiana di Leningrado, Konstantin Chekhovich.

All’inizio della guerra, come comandante di un plotone di genieri, fu inviato a Leningrado, dove fu impegnato in operazioni di sabotaggio. Fu però catturato dai tedeschi, ma riuscì a fuggire due settimane dopo. E si unì ai partigiani.

Il comando della 7ª Brigata partigiana di Leningrado, con l’intenzione di utilizzare appieno l’esperienza di Cechovich, lo mandò nella città di Porkhov, dove doveva compiere un grande attacco.

Konstantin Chekhovich passò due anni ad ambientarsi in città e a conquistare la fiducia dei tedeschi: mise su famiglia, lavorò come orologiaio e poi come elettricista in una centrale elettrica locale. Dopo aver ottenuto un lavoro come meccanico in un cinema, in seguito crebbe professionalmente fino a diventarne amministratore.

Fu proprio il cinema di Porkhov a essere scelto dal comando della brigata partigiana come obiettivo principale del grande attacco. I militari tedeschi si radunavano lì al primo piano per guardare i film, e il secondo piano dell’edifico ospitava una sezione della Sicherheitsdienst, il servizio di intelligence delle SS.

Usando le tasche e una piccola borsa per il pranzo, Chekhovich trasferì pian piano 65 chilogrammi di TNT nel cinema, distribuendolo in modo intelligente nell’edificio e regolando i timer. Sua cognata Evgenija Mikhailova, che lavorava nel cinema come donna delle pulizie, fu di grande aiuto.

Il guastatore calcolò tutto correttamente: l’esplosione avvenne all’ora giusta, e l’edificio del cinema collassò su se stesso come un castello di carte, seppellendo sotto le macerie i militari tedeschi. In quel momento, Chekhovich e i suoi parenti aveva già lasciato la città.

Per aver portato a compimento l’incarico, Chekhovich fu proposto per la medaglia di Eroe dell’Unione Sovietica, ma non ottenne mai l’onorificenza, a causa delle due settimane passate come prigioniero dei tedeschi, che in Urss era comunque considerata una macchia indelebile. Solo nel 2013 gli è stata dedicata una targa commemorativa a Porkhov.

4 / Sidor Kovpak

Quando l’esercito tedesco invase l’Unione Sovietica, Sidor Kovpak era già sulla cinquantina. L’ultima volta aveva preso le armi durante la Guerra Civile, e negli anni successivi era stato impegnato principalmente in ambito civile. Ciò non gli impedì, tuttavia, di diventare uno dei comandanti partigiani sovietici più efficaci e uno dei principali organizzatori del movimento partigiano in Ucraina durante la Seconda guerra mondiale.

Nel settembre 1941, Kovpak guidò un piccolo distaccamento partigiano di poco più di dieci persone, imboscate nella foresta Spadshchanskij, vicino alla città di Putivl, nell’Ucraina nord-orientale. “Il nostro primo rifugio venne costruito in un modo tale che se ti allontanavi di qualche decina di passi, probabilmente non lo avresti mai più ritrovato tu stesso. Stando fermo, nessun segugio tedesco ti avrebbe mai annusato in quella tana. Ma noi eravamo andati nella foresta non per nasconderci dai tedeschi, ma per annientarli, per non dare loro un minuto di pace, e non permettere loro di spadroneggiare nella nostra zona. Noi qui eravamo sempre stati i padroni, e tali dovevamo restare”, ha scritto Kovpak nel suo libro di memorie “Da Putivl ai Carpazi”.

In soli sei mesi, il distaccamento di Putivl guidato da Kovpak crebbe fino a diventare la Formazione partigiana di Sumy, che contava circa 1.500 combattenti. I partigiani sotto la guida di Kovpak effettuarono ardite incursioni nelle retrovie delle truppe tedesche e ungheresi, riuscendo a uscire dalle trappole che le forze punitive dirette contro di loro cercavano di tendere.

Nell’estate del 1943, l’unità Kovpak ricevette l’incarico di effettuare un’incursione su larga scala nel territorio dell’Ucraina occidentale, che in seguito divenne noto come “Raid dei Carpazi”. Nel giro di tre mesi, i partigiani percorsero 2.000 km nelle retrovie del nemico, sconfiggendo fino a 17 guarnigioni tedesche, facendo deragliare 19 treni militari, distruggendo 51 magazzini e 52 ponti, e anche una serie di centrali elettriche e giacimenti petroliferi.

“La nostra apparizione sulle posizioni del Dnestr fu così inaspettata per i tedeschi che scambiarono i partigiani per paracadutisti. Distaccamenti della gendarmeria si riversarono sulle strade in auto. Uno di questi distaccamenti ci si parò davanti vicino alla città di Skalat. Rimanemmo per un giorno occultati ai margini della foresta. Loro decisero che dovevamo essere uno sparuto gruppuscolo di paracadutisti sovietici, si schierarono in fila e lanciarono un attacco “psicologico” contro l’unità partigiana, che contava invece circa duemila uomini. Lasciammo che questi ragazzi si spingessero così vicini a noi da poterci divertire vedendo quanto velocemente sarebbe cambiata l’espressione dei loro volti, quando tutto il limitare del bosco si animò improvvisamente, e una valanga di partigiani si alzò per andare incontro al nemico… quei pochi gendarmi tedeschi furono spazzati via come da una folata di vento”, ricordò Kovpak.

Alla fine del 1943, a causa di una malattia, Sidor Artemyevich fu costretto a passare il comando al suo vice Pjotr Vershigora e a portarsi nel territorio controllato dall’Armata Rossa. In onore del suo ex comandante, l’unità partigiana di Sumy fu presto ribattezzata “Prima Divisione Partigiana ucraina intitolata al due volte Eroe dell’Unione Sovietica S.A. Kovpak”.

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