Negli anni ‘30 del Seicento lo Stato russo, che già controllava gran parte della Siberia, iniziò l'esplorazione e la conquista dell'Estremo oriente settentrionale. Alcuni distaccamenti cosacchi avanzarono fino alla costa del Pacifico, stabilendo lungo la strada forti e roccaforti, e portando le tribù locali sotto la “mano dell'Alto Sovrano”; imposero inoltre una tassa sulle pellicce, nota come “yasak”.
L'instaurazione del potere zarista non fu sempre pacifica, anzi! Ci fu una feroce resistenza al nuovo ordine, in particolare da parte degli abitanti della penisola della Chukotka. Una resistenza che sfociò in battaglie campali alle quali presero parte migliaia di soldati. Non a caso nel folklore dei ciukci, la popolazione locale, si sedimentò un’immagine ben poco lusinghiera dei russi: “Vestiti di ferro, baffi da tricheco, occhi rotondi di ferro, lance lunghe fino al gomito, guerrafondai, desiderosi di combattere”.
I ciukci riuscirono a infliggere diversi colpi alle truppe russe. Per esempio, nella battaglia di Yegach del 1730, perse la vita il colonnello cosacco Afanasij Shestakov, e nella battaglia di Orlova del 1747, il distaccamento del maggiore Dmitrij Pavlutskij fu sbaragliato e il comandante stesso ucciso. L'imperatrice Caterina II alla fine risolse il problema offrendo ai gruppi di resistenza locali una buona parte di indipendenza negli affari interni in cambio della loro obbedienza.
Nonostante la resistenza dei ciukci e le periodiche rivolte dei coriachi (gruppo etnico dell'estremo oriente della Russia) nella penisola della Kamchatka, i russi continuarono la loro avanzata nelle regioni settentrionali dell'Estremo oriente. E alla fine del XVIII secolo cominciarono a colonizzare l'Alaska. La situazione però si rivelò ben più complicata al sud: lì, nel bacino del fiume Amur, la Russia dovette affrontare l'opposizione del potente impero cinese Qing.
L'arrivo dei “barbari” nelle terre dei Daur, un gruppo etnico mongolo che pagava un tributo a Pechino, fu considerato come un’invasione della sfera di influenza della Cina. Nel 1685, il forte russo di Albazin sul fiume Amur fu assediato da un esercito Qing di 5.000 uomini. Nonostante la forza del nemico fosse dieci volte superiore, la guarnigione russa resistette. Solo quando fu chiaro che i rinforzi non sarebbero arrivati, i russi accettarono una resa onorevole.
I cinesi Qing (conosciuti anche come Manciù, l'ultima dinastia imperiale della Cina che governò dal 1644 al 1912) abbatterono le fortificazioni, ma dopo la loro partenza Albazin fu rioccupata dalle truppe russe. L'esercito Qing assediò la prigione una seconda volta, ma questi assalti non portarono a nulla. Tuttavia, il violento confronto con la Cina impoverì le già sovraccariche risorse dello Stato russo in Estremo oriente. Nel 1689 le parti firmarono il Trattato di Nerchinsk, con il quale i russi cedettero la fortezza di Albazin e alcuni dei loro territori acquisiti all'Impero Qing, fermando così l'avanzata russa verso l'Oceano Pacifico lungo il fiume Amur.
Per quasi un secolo e mezzo, i russi persero interesse nella regione dell'Amur: da un lato, i regnanti a San Pietroburgo erano convinti che i cinesi avessero una salda presa sulla regione; dall'altro, i russi avevano la falsa impressione che la foce dell'Amur fosse inadatta alla navigazione, e che Sakhalin fosse una penisola che avrebbe creato ulteriori difficoltà di navigazione.
L'emergere di nuovi attori costrinse la Russia ad attivare le sue forze in Estremo oriente: le navi inglesi, francesi e americane stavano diventando sempre più frequenti nel Mare di Okhotsk. “Negli anni 1820-q830, interi squadroni di baleniere straniere cominciarono ad apparire in numero sempre maggiore al largo delle deserte coste russe e spesso attaccavano e saccheggiavano gli insediamenti costieri... La Russia dovette affrontare, se non la perdita completa della regione, un aumento significativo dei danni causati dai marinai stranieri alla popolazione e ai beni dello Stato sulla costa e nelle acque del Pacifico”, scrisse l'ammiraglio Gennadij Nevelskoj nelle sue memorie.
Il governatore generale della Siberia orientale, Nikolaj Muravjov, aveva capito bene la minaccia che la presa della regione dell'Amur da parte di una potenza europea o degli americani avrebbe rappresentato per la Russia: “La riva sinistra dell'Amur non appartiene a nessuno: lì vagano solo i popoli tungusi locali. Se gli inglesi lo scoprono, occuperanno Sakhalin e la foce dell'Amur. Succederà improvvisamente, senza preavviso, il che potrebbe finire con la perdita da parte della Russia di tutta la Siberia”.
Nel 1849 e 1850, Muravjov autorizzò diverse spedizioni nella regione dell'Amur, inizialmente al comando dell'allora capitano Nevelskoj. Avendo appreso che Sakhalin è, di fatto, un'isola, e che la foce dell'Amur è perfettamente navigabile, e che non c'era alcuna presenza cinese, Nevelskoj agì con coraggio e decisione. Fondò la postazione di Nikolaev (oggi la città di Nikolaevsk sull’Amur) alla foce del fiume e distribuì alle tribù locali volantini in diverse lingue destinati ai naviganti stranieri, proclamando che “[poiché] l'intero territorio dell'Amur fino al confine coreano con l'isola di Sakhalin è un possedimento russo, non saranno tollerati ordini non autorizzati o insulti ai popoli che lo abitano”.
Timoroso di una reazione rabbiosa da parte della Cina di Qing, il governo russo cercò di degradare Nevelskoj al grado di marinaio per tale imprudenza. Ma Muravjev intercedette a suo favore presso Nicola I. E alla fine lo zar si pronunciò in questo modo: “L'azione di Nevelskoj è valorosa, nobile e patriottica, e laddove viene alzata la bandiera russa, non deve mai essere tolta”.
La Russia cominciò a costruire così la sua presenza militare nella regione dell'Amur. Alla fine, indebolita dalle Guerre dell'Oppio contro le potenze occidentali, la Cina fu costretta a riconoscere la regione dell'Amur e il vasto territorio dell'Ussuri come parte dell'Impero russo. Il più importante degli accordi bilaterali che formalizzarono queste acquisizioni fu la Convenzione di Pechino del 1860. Per far sì che il governo Qing acconsentisse, l'ambasciatore russo nel Regno di Mezzo, Nikolaj Ignatiev, mediò i negoziati con Francia e Gran Bretagna, le cui truppe erano già entrate nella capitale cinese, e li convinse a non distruggere la città.
Fu allora che furono definiti i confini dell'Estremo oriente russo, in buona parte validi ancora oggi. Per molto tempo rimase irrisolta solo la questione della proprietà statale di Sakhalin e delle isole Curili, che passarono sotto il dominio di Mosca dopo la guerra sovietico-giapponese del 1945.
LEGGI ANCHE: Come dei commercianti stranieri cambiarono la vita dell’Estremo Oriente russo