Fact-cheking: sette popolari leggende su Stalin alla prova dei fatti

Kira Lisitskaya (Foto: Hulton Archive/Getty Images; Freepik.com)
Il personaggio storico è circondato da un sacco di miti, ma cosa c’è di vero e cosa di falso?

Leggenda 1. Stalin aveva paura dell’aereo, quindi proibì a tutta la dirigenza del partito di volare

Vero

A quanto pare, questo è vero, perché Stalin ha volato solo due volte in tutta la sua vita, su una rotta di 500 chilometri: quando nel novembre del 1943 volò da Bakù a Teheran per incontrare Roosevelt e Churchill, e quando tornò a dicembre. In tutti gli altri casi, preferiva il trasporto via terra o via acqua, indipendentemente dal tempo impiegato. Anche alla conferenza di Potsdam nel 1945, Stalin non andò in aereo, ma scattò solo una foto sulla passerella dell’aeroporto e poi andò in Germania in treno.

Questo timore, però, è giustificato: in quegli anni avvenivano regolarmente incidenti aerei, e in essi morirono sia importanti ingegneri che stretti collaboratori di Stalin. Fino al 1933, ad esempio, non esistevano test di idoneità annuale obbligatori per i piloti, né dispositivi per il volo notturno e in condizioni di scarsa visibilità. Dopo un ennesimo “disastro assurdo e terribile”, Stalin impose un divieto categorico sui voli per i membri del Politburo e gli alti funzionari. In caso di disobbedienza si riceveva una severa nota di biasimo.

Leggenda 2. Stalin in tempo di guerra usava un mappamondo perché non sapeva leggere le carte militari 

Falso

La storia che Stalin seguisse la situazione sul campo di battaglia durante la Seconda guerra mondiale sul mappamondo, perché non capiva le mappe, e che, guardandolo, desse gli ordini, fu diffusa, durante il XX Congresso del Pcus, nel febbraio 1956, da Nikita Khrushchev, l’uomo che vinse la lotta senza esclusione di colpi per succedergli al vertice dell’Urss. “E devo rivelare che Stalin pianificava le operazioni sul mappamondo. [Animazione in sala]. Sì, compagni, prendeva il globo e mostrava su di esso la linea del fronte”, affermò. In questo modo Khrushchev, che al congresso denunciò il culto della personalità dell’ex leader e i suoi crimini, cercò di convincere coloro che lo circondavano che Stalin era pure completamente digiuno in materia militare. Questo fatto, tuttavia, non risponde al vero. E i contemporanei di Stalin hanno confermato in più occasioni la sua esperienza in campo bellico.

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Il maresciallo Aleksandr Vasilevskij ha scritto che nel mezzo della guerra, Stalin “era la figura più forte ed espressiva nel comando strategico”, e il generale Sergej Shtemenko ha parlato del mappamondo in questo modo: “In fondo al tavolo, nell’angolo [dell’ufficio di Stalin], c’era un grande mappamondo. Devo dire, tuttavia, che nelle centinaia di volte che ho visitato quell’ufficio, non l’ho mai visto utilizzare, tantomeno quando si affrontavano questioni operative. Le voci di decisioni militari prese sul mappamondo sono prive di ogni fondamento”.

Leggenda 3. Stalin non parlava russo fino all’età di 10 anni, ma lo imparò per diventare sacerdote

Vero

Stalin , 1894

Stalin era originario della Georgia, quindi da bambino parlava la sua lingua madre, il georgiano. La madre di Stalin voleva che suo figlio diventasse sacerdote e decise di mandarlo in una scuola religiosa ortodossa. Ma venne rifiutato, perché non sapeva il russo. Allora convinse i figli del prete locale a insegnargli la lingua.

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“Fino all’età di 8 anni, il piccolo Iosif Dzhugashvili [suo vero nome] conosceva a malapena il russo, ma lo imparò in due anni”, afferma lo storico Vladimir Dolmatov. “Si diplomò alla Scuola Teologica Ortodossa della città georgiana di Gori [nel giugno 1894] con un certificato di merito. Fu un ottimo studente nei primi anni del Seminario Teologico di Tiflis [oggi: Tbilisi]. Ma fu espulso per attività rivoluzionarie. Nel 1924 iniziò a collezionare libri per la sua biblioteca. Alla fine della sua vita, aveva più di 20 mila libri. Era un lettore formidabile: poteva arrivare a leggere fino a 500 pagine al giorno.”

Leggenda 4. Lo pseudonimo Stalin significa “acciaio” 

Falso

Il suo pseudonimo principale (ne usò in vita circa trenta), con il quale Iosif Dzhugashvili è passato alla storia, se lo scelse quando decise di andare oltre la politica regionale transcaucasica. A causa del fatto che era in consonanza con la parola russa “acciaio”: “stal” (сталь) e, nel complesso, descriveva bene la sua caratteristica principale, la rigidità del carattere, molti hanno pensato che il nome fosse stato scelto per richiamare l’acciaio. Mentre era in vita, e per qualche tempo dopo la sua morte, nessuna ricerca venne condotta su questo argomento, e l’ipotesi venne presa per buona.

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In seguito si è scoperto che sicuramente non ha nulla a che fare con l’acciaio. Le teorie differiscono. Alcuni ricercatori hanno sostenuto che Stalin fosse una traduzione in russo della parte del suo cognome “Dzhuga”, ma anche questo è stato smentito. La versione più curiosa è che Stalin si sarebbe chiamato così in onore del giornalista Evgenij Stalinskij, che diresse il giornale “Kavkaz” (“Il Caucaso”) e realizzò la celebre traduzione del poema georgiano “Il cavaliere dalla pelle di leopardo”, il poema epico nazionale della Georgia, composto da Shota Rustaveli nel XII secolo. Stalin era un grande ammiratore di Rustaveli e di questo poema in particolare, ma per qualche ragione la migliore edizione russa di questo poema, quella del 1889 con la traduzione di Stalinskij, fu rimossa da tutte le mostre, le biblioteche, le descrizioni bibliografiche e non fu più menzionata negli articoli letterari. Lo storico William Pokhlebkin scrisse: “Stalin, quando diede l’ordine di nascondere la pubblicazione del 1889, era principalmente mosso dal fatto che l’origine del suo pseudonimo non venisse a galla”.

Leggenda 5. Stalin ebbe un figlio da una contadina quattordicenne

Vero

Stalin e Lida Pereprygina

Si chiamava Lida Pereprygina e, al momento della relazione, Stalin aveva 37 anni e lei solo 14. Stalin visse con lei dal 1914 al 1916, durante il suo esilio siberiano, e in questo periodo Lida diede alla luce due suoi figli. Il primo morì e il secondo nacque nell’aprile 1917 e fu registrato all’anagrafe come Aleksandr Dzhugashvili (il vero cognome di Stalin). Nel villaggio, Stalin fu accusato di aver molestato una minorenne e dovette promettere di sposare Lida, ma non appena scadde il periodo di esilio, Stalin se ne andò.

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Successivamente, la Pereprygina scrisse a Stalin e chiese aiuto, ma non ricevette risposta. Al contrario, negli anni Trenta, fu obbligata a firmare un accordo di non divulgazione del “segreto sull’origine” di suo figlio.

Leggenda 6. Stalin era un asceta

Falso

Il mito popolare secondo cui Stalin avrebbe indossato lo stesso frusto cappotto da soldato per tutta la vita, non avrebbe lasciato alcun risparmio, e avrebbe condotto uno stile di vita spartano, non ha nulla a che fare con la realtà. In effetti, era colossalmente ricco, perché aveva accesso illimitato a tutti i benefici e privilegi. Automobili, dacie, medici privati, cibo di qualità, un enorme staff di servitori in ciascuna delle sue residenze: tutto era gratuito per lui; a spese dello Stato. Durante il periodo in cui governò l’Urss, furono costruite per lui circa 20 residenze di campagna ufficiali in tutto il Paese e tutte erano dotate delle ultime tecnologie. Stalin non portava mai con sé nemmeno qualche soldo in tasca: non ne aveva bisogno. E aveva anche uno stipendio ufficiale (che si era attribuito da solo): 10.000 rubli al mese (equivalenti a circa 3,2 milioni di rubli di rubli di oggi, circa 36 mila euro), oltre a enormi royalties per le opere scritte e tradotte in decine di lingue straniere.

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Leggenda 7. Stalin era estremamente preoccupato per la sua sicurezza, ed era sorvegliato da diverse migliaia di agenti dell’Nkvd

Vero

Stalin, a seconda delle occasioni, era sorvegliato da decine fino a decine di migliaia di agenti (come nel caso del suo viaggio a Potsdam nell’estate del 1945). Secondo i ricordi della sua guardia del corpo Vladimir Vasiljev, anche alle riunioni cerimoniali che si svolgevano al Teatro Bolshoj, oltre alle guardie intorno all’edificio, agli ingressi e alle uscite e dietro le quinte, la sala era letteralmente inondata di agenti della sicurezza civile: in media un agente ogni tre persone invitate. Stalin non si fidava di nessuno, nemmeno dei cuochi personali, e ai buffet mangiava sempre il cibo dopo che qualcun altro l’aveva assaggiato.

E negli anni del dopoguerra, la sicurezza della dacia Blizhnaja di Stalin, vicino al villaggio di Volynskoe, poteva essere paragonata solo alla Wolfsschanze, la “Tana del lupo” di Hitler: “L’unica strada che portava alla dacia era controllata dalle squadre di polizia giorno e notte. Le truppe erano composte da uomini massicci, con le spalle larghe, tutti con il grado di capitani e maggiori, anche se portavano spalline da sottufficiali. La foresta che circondava la dacia era fittamente intrecciata di concertine di filo spinato. Se una persona fosse riuscita a superarle, non l’avrei invidiata. Sarebbe stata attaccata dai pastori tedeschi che correvano lungo i fili tesi tra i pali”, ha scritto Vasiljev.

“La successiva linea di protezione consisteva in fotocellule importate dalla Germania. Due raggi che viaggiano in parallelo bloccavano in modo affidabile il ‘confine’. Non appena, diciamo, una lepre saltava attraverso di loro, si accendeva una luce sulla console dell’addetto, indicando in quale settore si trovava l’‘intruso’. Inoltre c’era una recinzione di cinque metri fatta di assi spesse. In essa furono realizzate finestre a feritoia, in cui si trovavano i posti di combattimento delle guardie armate. Quindi, una seconda recinzione, un po’ più in basso. Tra di loro erano state poste luci di segnalazione marine. E vicino alla casa, infine, c’era il corpo della guardia personale in servizio, la cosiddetta ‘devjatka’”, ha ricordato Vasiljev.


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