La stella del Teatro Bolshoj Vera Davýdova (1906-1993) è stata definita “L’ultimo amore di Stalin” e le è stata attribuita una relazione di 19 anni con il leader sovietico. La teoria si è diffusa grazie al libro dell’emigrato russo Leonid Gendlin “Ispoved ljubovnitsy Stalina” (ossia: “Confessione dell’amante di Stalin”), pubblicato nei primi anni Novanta.
L’autore afferma di aver registrato fedelmente la storia narratagli dalla stessa mezzosoprano. Il libro divenne un bestseller mondiale. Quando la Davydova seppe dell’uscita dell’opera le venne un colpo
La cantante negò risolutamente ogni intimità con il leader. Tuttavia, è noto che Stalin l’aveva incontrata molte volte a partire dagli anni Trenta, in particolare ai ricevimenti ufficiali, dove era sempre invitata come principale solista del Teatro Bolshoj. La nipote della Davydova, Olga Mkhedlidze, ha detto: “Mia nonna era già sposata con Mkhedlidze, e da lui aveva imparato un po’ di georgiano. Poteva rispondere a Stalin nella sua lingua madre, cosa che, ovviamente, a lui piaceva un sacco”.
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Inoltre, Stalin molte volte assistette a esibizioni della Davydova al Bolshoj e le regalò grandi bouquet di fiori, e tra il 1946 al 1951 lei ricevette per ben tre volte l’onorificenza più elevata del Paese, il “Premio Stalin”.
A Stalin è stata attribuita anche una relazione con un’altra artista del Bolshoj, la prima ballerina Olga Lepeshìnskaja (1916-2008). Vinse quattro Premi Stalin e il leader stesso era un grande ammiratore del suo talento: assistette al balletto “Fiamme di Parigi”, che riprendeva le musiche della Rivoluzione francese, almeno 17 volte. “Quando aveva tempo libero, veniva sempre, sedeva nel suo palco e sapevamo che Stalin era a teatro. Molti giovani uomini ben vestiti apparivano in quei casi dietro le quinte”, disse la Lepeshinskaja in un’intervista.
Le visite di Stalin al Teatro Bolshoj erano leggendarie. Si sedeva sempre nel palco zarista, andava e veniva in qualsiasi momento dello spettacolo. Anche altri leader del partito amavano passare del tempo a teatro. Boris Ilizarov, autore del libro “Tajnaja zhizn Stalina” (tradotto in italiano nel 2005 con il titolo “Vita segreta di Stalin. Le letture, il profilo psicologico e intellettuale” da Boroli editore) è categorico riguardo a queste visite: “Membri del Politburo, alti funzionari, leader militari usavano volentieri le ballerine, le cantanti e le ragazze del coro come prostitute d’alto bordo”.
Non ci sono prove documentali di una relazione erotico-sentimentale tra Stalin e Lepeshinskaja. Molte fonti rimandano al giornalista Ivan Gronskij, amico stretto del tiranno. Nelle sue memorie scrisse che, a metà degli anni Trenta, Stalin tornava spesso al Cremlino di notte dalle visite a una famosa ballerina.
Nel 1940, un monumento “alla ballerina” fu eretto sul tetto del civico 17 della via principale di Mosca, la Tverskaja. Si diceva che come modella fosse stata usata la Lepeshinskaja e che la scultura fosse stata installata per decreto personale di Stalin. La ballerina ha però affermato di non avere mai avuto nulla a che fare con quell’opera. Alla fine degli anni Cinquanta, in piena destalinizzazione, in ogni caso, la scultura fu smantellata.
Marija Jùdina (1899-1970) aveva la fama di “pianista preferita di Stalin”. Ebrea poi battezzatasi al cristianesimo ortodosso, viveva con estrema modestia: indossava sempre un abito nero lungo fino al pavimento, e mangiava poco. Iniziò a esibirsi con l’orchestra nel 1921, poi continuò la sua carriera tendendo concerti in tutto il mondo.
Le persone che le erano vicine hanno ricordato che dava spesso tutto il suo guadagno in beneficenza: sia inviandolo ai prigionieri politici, che donandolo alle chiese. Non era una dissidente, ma non nascondeva le sue opinioni. Ad esempio, negli anni Trenta fu licenziata dal Conservatorio di Leningrado per la sua aperta adesione all’Ortodossia, e negli anni Sessanta fu espulsa dall’Accademia russa di musica “Gnesin” di Mosca per l’aperta simpatia nei confronti della musica occidentale contemporanea, e soprattutto per il compositore emigrato Igor Stravinskij.
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Il compositore Dmitrij Shostakovich ha detto in un’intervista che la Judina era incredibilmente popolare sia in Urss che all’estero, ma era una persona piuttosto strana. Secondo lui, nel 1943, Stalin, che ascoltava molto la radio, chiamò la direzione del Comitato Radio e chiese se avevano una registrazione del Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 di Mozart con la Judina che aveva ascoltato alla radio il giorno precedente. In realtà era andato in diretta e non era stata registrato, ma tutti avevano il terrore di dire un no a Stalin. “Abbiamo chiamato la Judina e l’orchestra e quella sera abbiamo preparato il disco. Tutti tremavano di paura. Tranne la Judina, ovviamente. Ma lei è un caso speciale, lei se ne fregava sempre di tutto”.
Questa è la registrazione originale di quel concerto:
L’episodio è stato anche messo in scena nel film satirico “Morto Stalin, se ne fa un altro” del regista Armando Iannucci.
Tornando a quei giorni del 1943, la pianista ricevette quasi subito una busta con ventimila rubli. Le fu detto che era un ordine speciale di Stalin. Lei gli scrisse una lettera, in cui lo ringraziò per il suo sostegno così: “Pregherò per Lei giorno e notte, e chiederò al Signore di perdonare i Suoi enormi peccati davanti al popolo e al Paese. Il Signore è misericordioso, La perdonerà. Ho dato i soldi alla Chiesa, di cui sono fedele”. Almeno così Shostakovich citò la lettera della Judina.
Non ebbe conseguenze per quella lettera. Forse, a causa della simpatia personale di Stalin, la repressione non la toccò, anche se altri finirono in un gulag per molto meno. “Dicono che quando Stalin venne trovato morto nella sua dacia, sul giradischi ci fosse il disco di questa registrazione di Mozart suonata dalla Judina. Questa è l’ultima cosa che ha ascoltato…”, ha ricordato Shostakovich.
Le donne di Stalin: tutte le relazioni del leader sovietico
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