Noi, musulmane di Russia

Al centro, Nailia Ziganchina (Foto: ufficio stampa)

Al centro, Nailia Ziganchina (Foto: ufficio stampa)

Nailia Ziganchina, presidente dell’Unione delle musulmane di Russia, racconta come vivono le donne nella Federazione: “Siamo impegnate in tutti i campi, dal sociale all’istruzione”

Quando nel 2005 Nailia Ziganchina, originaria di un villaggio tataro di Mordovia e giornalista, ha partecipato al Consiglio clericale dei musulmani della Repubblica del Tatarstan (CCM RT), su richiesta delle sue colleghe ha immediatamente lanciato la proposta di creare un’associazione repubblicana femminile. Nel dicembre 2005, il primo Congresso delle donne musulmane riunite a Kazan sotto gli auspici del CCM RT ha ufficialmente stabilito la creazione dell’Unione delle musulmane del Tatarstan. Parecchi anni dopo, nel 2012, questa unione repubblicana, che ha riunito altre 42 regioni russe, si è unita in un’organizzazione panrussa, l’Unione delle musulmane di Russia. In un’intervista rilasciata a RG, la presidente dell’Unione delle musulmane di Russia, Nailia Ziganchina, presenta le attività dell’organizzazione, le sfide e gli ostacoli che le seguaci russe dell’Islam devono affrontare oggi.

Nailia, potrebbe illustrarci i principali obiettivi dell’Unione delle musulmane?

Siamo impegnate in tutti i campi, a eccezione della politica. In quanto madre e sposa, la donna è indispensabile in tutti gli ambienti, nel sociale, nella beneficenza, nell’istruzione. Abbiamo visitato parecchi distretti e nessuna amministrazione si è mai rifiutata di riceverci. Le nostre aderenti vanno a far visita alle scuole. Pensate che sia facile per una donna con l’hijab impartire lezioni di etica in una struttura educativa laica? Noi le autorizziamo a farlo. Ci rechiamo nelle scuole materne, negli orfanotrofi, organizziamo campi vacanza. Inoltre fondiamo circoli per le donne e le giovani, le aiutiamo a fare amicizia con le loro coetanee

 
Essere musulmani in Russia

Riuscite a diffondere l’esperienza del Tatarstan in altre regioni russe?

Qui nel Tatarstan abbiamo la possibilità di organizzare molte cose, di colpire al cuore, perché questa è una regione musulmana. Invece alcune nostre sorelle lavorano con persone che non le capiscono nello stesso modo, con le quali non hanno un linguaggio in comune. Ma al di là della nazionalità e della confessione religiosa, noi cerchiamo di spiegare che Dio è uno solo e che amiamo tutti il nostro Creatore. Sta per nascere l’Unione delle musulmane del Bashkortostan; nell’oblast di Kostroma si sta organizzando un gruppo; un altro a San Pietroburgo, e siamo molto contente delle nostre sorelle di Saratov che hanno già messo a punto un programma e scelto un percorso da seguire. Le musulmane del Caucaso sono molto attive: stanno rapidamente nascendo gruppi nella repubblica di Karatchaï-Tcherkesse, e un altro in Cecenia. Le nostre sorelle del Daghestan si sono consacrate alla beneficenza: vivono in una regione difficile, dove c’è molto bisogno di aiuto. Ogni regione, in pratica, ha una sua specificità.

Le giovani musulmane di oggi come percepiscono lo stereotipo secondo il quale la donna deve occuparsi soltanto dei figli e restare in casa? Vi chiedono indubbiamente in che modo una donna musulmana può dotarsi dei mezzi necessari a introdursi e lavorare nella vita pubblica...

Da noi in Tatarstan non accade che le donne musulmane si sposino, si chiudano in casa e vi restino. Probabilmente questa propaganda da noi non è arrivata. Nelle università religiose, abbiamo cercato di inculcare l’idea che la donna deve rendersi utile. Certo, ci sono musulmane che si sposano e hanno molti figli e, ovviamente, non hanno il tempo di dedicarsi alla vita pubblica. Noi siamo felici per loro. Ma ci sono anche musulmane che vogliono realizzarsi, trovare una via tutta loro da seguire. Molte di loro vogliono diventare giornaliste o occuparsi di affari.

In passato in Tatarstan c’era un grande problema per l’hijab sul posto di lavoro: le musulmane con il velo incontravano notevoli difficoltà a trovare un’occupazione.

Questo problema sussiste ancora. È impossibile far comprendere a tutti i datori di lavoro che proibire a una musulmana di vestirsi come desidera significa violare i suoi diritti, insultarla. Non riusciamo a farlo comprendere a tutti. Talvolta alcuni ci rispondono: noi abbiamo il nostro dress code e da noi l’hijab è vietato. Mi ha ricevuto Airat Chafigoullin, ministro del Lavoro, dell’Impiego e della Protezione sociale. Gli ho spiegato che il velo non impedisce a una persona di dar prova del suo talento e delle sue competenze. Il ministro mi ha assicurato che qualora dovessimo imbatterci in alcune difficoltà, basterà sollecitare il ministero e i datori di lavoro saranno oggetto di sanzioni amministrative. Dopo questa svolta, l’avversione contro il velo si è un po’ calmata, ma ci sono sempre nuovi casi. In ogni modo, noi ci rechiamo a far visita al datore di lavoro, gli spieghiamo come stanno le cose, difendiamo i diritti delle donne, ma se non comprende, se non ci ascolta e soprattutto se tutti si oppongono, consigliamo all’aspirante lavoratrice di cercarsi un posto di lavoro altrove.

Come dirimete la questione dell’hijab a scuola?

Si tratta di un argomento spinoso, anche se il nostro Presidente Vladimir Putin ha spiegato che ogni regione può prendere autonomamente la sua decisione in funzione delle particolarità nazionali. Il presidente del Tatarstan, Rustem Minnikhanov, intervistato a San Pietroburgo sulla questione del velo nelle scuole, ha risposto che il velo non è un ostacolo. Noi abbiamo suggerito agli stilisti di disegnare un’uniforme scolastica che contempli anche il velo come accessorio supplementare, perché è indispensabile risolvere questo problema nelle regioni non musulmane. Di recente, Vyacheslav Zaitsev ha disegnato un’uniforme così: nelle sfilate i bambini indossano un copricapo speciale. Questa può benissimo essere una soluzione per risolvere questa questione molto discussa.

Collaborate con altre organizzazioni femminili non musulmane?

Noi riceviamo numerose proposte da parte di varie organizzazioni femminili che operano, per lo più, in Russia. Tutte quante ci propongono di collaborare in questo o quell’ambito. Talvolta si tratta di lavorare a contatto con i bambini, in qualche altro caso di dedicarsi ad attività di beneficienza. Apprezziamo molto tutte queste collaborazioni, perché allargano le nostre conoscenze e la nostra esperienza.

Collaborate con i paesi arabi?

Ci incontriamo regolarmente con i loro rappresentanti per scambiarci le opinioni sulle varie esperienze, e partecipiamo anche a conferenze in Kuwait e in Arabia Saudita. Un anno fa, una conferenza alla Mecca ha visto riunite le donne di molti paesi, signore che dirigono istituzioni benefiche, centri per la famiglia e organizzazioni femminili. Certo, abbiamo allacciato molti rapporti, lavoriamo a progetti comuni. In particolare, vorremmo creare una struttura femminile internazionale, così che ogni paese vi possa contribuire con una propria esperienza di successo.

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