Da vent’anni la Stazione Spaziale Internazionale è l’unico luogo che consente agli uomini di rimanere a lungo nello spazio. Si trova a 400 km dalla Terra e, ormai da molto tempo, non andiamo oltre questa distanza (con equipaggio a bordo). La sua vita utile scade però nel 2024: la Stazione Spaziale Internazionale è ormai obsoleta e “l’umanità ha bisogno di andare avanti, verso la Luna e Marte”, dicono su entrambe le sponde dell’oceano.
Negli ultimi anni, la Stazione Spaziale Internazionale è considerata una “zavorra finanziaria”, che risucchia almeno il 30-40% dei budget dedicati allo Spazio dei Paesi partecipanti. Il problema è che non esiste ancora un’alternativa funzionante alla stazione orbitale, che però ha sempre più “aree problematiche”. Quindi, qual è il futuro che attende la Stazione Spaziale Internazionale?
Nell’ultimo anno, le condizioni tecniche della Stazione Spaziale Internazionale si sono notevolmente deteriorate. Ad agosto è apparsa una crepa nello scafo, che ha provocato un calo di pressione nella stazione. In un primo momento, la causa della perdita di pressione è stata cercata nel segmento americano, ma a fine settembre Roscosmos ha riferito di aver rintracciato la crepa nel modulo russo “Zvezda”. Questo è un modulo chiave dell’intera stazione, attraverso i suoi nodi di attracco, infatti, la Stazione Spaziale Internazionale viene rifornita di carburante e di acqua potabile, e questa parte è anche responsabile della correzione dell’orbita (la Stazione Spaziale Internazionale è un colosso delle dimensioni di un campo da calcio e ha bisogno di un aiuto costante per rimanere in orbita).
Il presunto punto della perdita d’aria è stato sigillato con “mezzi improvvisati”, ossia della plastilina americana. Tuttavia, questo non ha risolto completamente il problema. A metà ottobre, i cosmonauti hanno trovato un’altra possibile falla nel compartimento di transizione di Zvezda, grazie a una bustina di tè, il cui movimento è stato registrato dalle telecamere in condizioni di gravità zero. Non è ancora chiaro se ci siano altri buchi nello scafo, ma il 19 dicembre sulla Stazione Spaziale Internazionale si è attivato un segnale allarmante: stava per esaurirsi l’aria di riserva. E questa è già una minaccia molto seria per la sicurezza dell’equipaggio.
Tutto ciò è comunque coerente con la recente previsione della russa RKK Energija (una società di progettazione di prim’ordine nel campo spaziale): “Ci sono già una serie di elementi che sono gravemente danneggiati e stanno andando fuori servizio. Molti di loro non sono sostituibili. Dopo il 2025, prevediamo guasti simili a una valanga di elementi”, ha affermato il vicedirettore generale Vladimir Solovjev.
In particolare, il modulo Zvezda, spedito in orbita nel 2000, non può essere sostituito: si basava in gran parte su tecnologie sovietiche che negli anni sono uscite di produzione e bisognerebbe ora riacquisire il know-how, aggiornare il modulo anche sulla base di tecnologie più moderne, e troppo tempo andrebbe speso nei test per assicurarsi la sua funzionalità.
Tutto ciò suggerisce un pensiero: fare con la Stazione Spaziale Internazionale come è consuetudine fare con enormi oggetti spaziali che hanno finito la loro vita: farla annegare nell’Oceano Pacifico, lontano dalle rotte di navigazione. L’oggetto brucia parzialmente nell’atmosfera, durante la deorbitazione, e i frammenti finiscono in acqua. Questo, ad esempio, nel 2001, è stato il destino del predecessore della Stazione Spaziale Internazionale, la stazione russa Mir, che era stata lanciata nel 1986.
Negli Stati Uniti, la discussione sull’iniezione di denaro per mantenere in vita una stazione ormai obsoleta è particolarmente accesa, anche perché gli americani sostengono circa il 70% di tutti i costi (mentre la Russia il 12%). Gli altri Stati che partecipano (e contribuiscono) al progetto sono Canada, Giappone e 11 Paesi dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa): Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Il prolungamento della vita dell’impianto per ogni anno impiega miliardi di dollari che potrebbero andare alla realizzazione di una nuova stazione o allo sviluppo di altri più ambiziosi progetti spaziali. La Nasa ha già annunciato che smetterà di finanziare la Stazione Spaziale Internazionale dal 2025 per “liberare” questo importo. La Russia, invece, è inequivocabilmente a favore dell’estensione delle operazioni fino al 2028 o al 2030. E, sebbene nessuno abbia ancora deciso il destino della stazione, sembra che i Paesi partecipanti siano interessati al fatto che la Stazione Spaziale Internazionale continui a volare attorno alla Terra (ma, probabilmente, a condizioni leggermente diverse).
“La ragione principale di questo interesse è l’assenza di qualsiasi sostituto della Stazione Spaziale Internazionale per tutti i partecipanti al programma”, osserva Vitalij Egorov, esperto indipendente e divulgatore di cosmonautica.
Nel giugno 2019, la Nasa ha presentato il programma Leo: di fatto si tratta del passaggio della Stazione Spaziale Internazionale su binari commerciali. Dopo tutto, se l’agenzia spaziale statunitense smetterà di pagare tutti quei soldi, qualcun altro dovrà pur farlo. Il progetto punterebbe sui voli di astronauti privati verso la Stazione Spaziale Internazionale, attraverso società private, e sulla costruzione di stazioni orbitali private.
Roscosmos non ha mai preso seriamente in considerazione un’opzione simile. Innanzitutto, non esiste una cosmonautica privata con equipaggio in Russia; questa è una prerogativa puramente statale. In secondo luogo, come fa notare l’esperto Leonid Khazanov, nel corso degli anni la Stazione Spaziale Internazionale è stata utilizzata soprattutto per l’esplorazione dello Spazio extraterrestre e per motivi scientifici, e questo è il suo significato principale: ogni giorno a bordo vengono condotti esperimenti e programmi scientifici. “E simili esperimenti sono possibili solo se ci sono finanziamenti governativi”, dice.
Nel progetto della Nasa si prende poi in considerazione solo la compravendita dei moduli americani, e nessuno acquisterebbe quelli russi. E anche se venissero trovati tali acquirenti, c’è un problema significativo: il compartimento di attracco russo della Stazione Spaziale Internazionale, “Zarja”, che è stato realizzato in Russia, è stato in realtà pagato negli anni Novanta dalla Nasa, come parte di un programma americano a sostegno della cosmonautica russa, che allora aveva grossi problemi economici a causa del crollo dell’Urss, e quindi appartiene alla Nasa. “La Russia dovrebbe quindi costruire una nuova struttura di attracco per avere accesso ai propri moduli. E senza il compartimento di attracco i privati non saprebbero che farsene della Stazione Spaziale Internazionale”, sostiene Egorov.
Un’altra opzione per utilizzare la Stazione Spaziale Internazionale è trasformarla in un hub per la consegna delle merci sulla Luna. Una stazione lunare orbitale è solo una questione di tempo, molti Paesi stanno valutando varie opzioni (tra cui uno sviluppo congiunto) e la Stazione Spaziale Internazionale potrebbe fungere da “punto di sosta”. Con uno “scalo” lì, il trasferimento sarebbe più economico che con razzi diretti dalla Terra alla Luna.
Se questa fosse l’opzione scelta, sarebbero molti di più gli attori sul mercato che vorrebbero gestire la Stazione Spaziale Internazionale. Ad avere programmi lunari (o, almeno, ambizioni in tal senso) sono non solo diverse agenzie spaziali statali, ma anche privati come SpaceX, Boeing e la russa S7. Roscosmos, in particolare, pianificava, tra le altre cose, di inviare parti del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale sulla Luna entro il 2030, per riutilizzarle nella costruzione di una base orbitale lunare. Questo piano vede però molti scettici e non ha date di realizzazione precise. Probabilmente, l’interesse della Russia per la Stazione Spaziale Internazionale nella sua forma attuale resta maggiore.
Separare il segmento russo e continuare a utilizzare il solo pezzo multi-modulo della Stazione Spaziale Internazionale è un altro scenario che è stato discusso spesso. La fine dell’accordo sul funzionamento congiunto della Stazione Spaziale Internazionale dopo il 2024 scioglierà le mani e permetterà ai partecipanti di “separarsi”. Ma un simile scenario per la Russia, sebbene allettante, è molto più complicato di tutti i precedenti. I problemi si moltiplicano, sia a livello tecnico che finanziario.
Ad esempio, il modulo chiave Zvezda, che richiede l’orientamento e la correzione dell’orbita, non ha i propri Cmg (Control moment gyroscope), dei motori speciali che lavorano solo a questo scopo. Sono le navicelle spaziali cargo russe “Progress”, ancorate al compartimento di poppa del modulo, che a volte accendono i motori per regolare la sua orbita. Ma ad usare solo i motori si finirebbe rapidamente il carburante. Egorov osserva che la combinazione di giroscopi americani e motori russi di controllo dell’assetto è uno degli elementi chiave del “contratto di matrimonio”, che rende impossibile “far divorziare” i due segmenti, rendendoli due stazioni separate.
Inoltre, restano l’usura e le crepe della stazione, e anche questa situazione dovrà essere risolta. E poi la cosmonautica, fortemente sovvenzionata dal bilancio della Federazione Russa, sta perdendo sempre più soldi. La vendita di posti agli astronauti americani e di altri Paesi sulle “Sojuz” rischia di ridursi al minimo, dopo il lancio della Crew Dragon di Elon Musk; e anche i lanci di carichi commerciali sono diminuiti fortemente dal 2012, da quando SpaceX ha lanciato il suo razzo pesante Falcon 9. E il ministero delle Finanze russo ritiene che i finanziamenti per Roscosmos dovrebbero essere ridotti nei prossimi tre anni di altri 60 miliardi di rubli (775 milioni di euro).
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Finora, l’idea di creare una stazione nazionale russa per sostituire la Stazione Spaziale Internazionale, è quella che appare più forte di tutte. Dmitrij Rogozin, direttore generale di Roscosmos, la difende personalmente: “La Stazione Spaziale Internazionale durerà probabilmente fino al 2030. Ora stiamo iniziando a creare una nuova stazione orbitale, abbiamo già due moduli di riserva. […] Prevediamo di costruire qualche modulo in più: infatti, dopo il 2030, la Federazione Russa sarà il Paese che realizzerà una nuova stazione”.
Secondo lui, la nuova stazione, a differenza della Stazione Spaziale Internazionale, sarà in grado di rifornire navicelle e satelliti, aumentandone il periodo di permanenza in orbita. Si prevede inoltre che ospiti un’officina per l’assemblaggio di veicoli spaziali che voleranno su Luna, Marte e gli asteroidi, e la sede per la gestione dell’intero gruppo orbitale. Uno dei moduli sarà commerciale, e potrà ospitare quattro turisti: lì saranno installate due grandi finestre e ci sarà accesso al WiFi. A quanto si dice, tutti i moduli si questa stazione possono essere lanciati in orbita utilizzando i veicoli di lancio Angara-A5: la Russia ha lanciato il secondo (in sei anni) razzo di questo tipo nel dicembre 2020, e ci è voluto un quarto di secolo per svilupparlo.
Forse il vantaggio principale della Stazione orbitante russa è la sua durata illimitata grazie alla sostituibilità dei moduli. Ma gli esperti russi dicono che, sebbene sia una buona idea, potrebbe rimanere tale, per ora: solo un’idea. “I piani russi cambiano molto spesso, quindi non direi che dopo la Stazione Spaziale Internazionale la Russia costruirà la propria stazione”, afferma l’ingegnere Aleksandr Shaenko, che ha sviluppato i veicoli di lancio Angara-A5 e KSLV.
Non c’è bisogno di guardare troppo lontano per trovare esempi di progetti spaziali russi finiti alle calende greche. Uno dei moduli, chiamato “Nauka” (“Scienza”), che avrebbe dovuto diventare un modulo scientifico della Stazione Spaziale Internazionale nel segmento russo, sarebbe dovuto andare in orbita 11 anni fa, ma questo non è mai accaduto.
Quante persone sono state finora sulla Stazione Spaziale Internazionale? E quanti russi?
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