Olom è un piccolissimo villaggio jakuto, dove vivono soltanto poche famiglie, quasi tutti anziani. Tutt’attorno ci sono foresta e paludi. La città più vicina si trova a 70 chilometri di distanza. I telefoni qui non funzionano, e anche con i trasporti la situazione è difficile.
Alla fine di luglio del 2014, Karina e sua madre, una giovane donna di 21 anni, arrivarono a Olom per far visita ai nonni. Karina, all’epoca, aveva 3 anni e 8 mesi. Il 29 luglio la bambina si alzò e, dopo la colazione, andò a giocare fuori con il cucciolo di cane di nome Kyrachaan, che nella lingua jakuta significa “piccolo”. E scomparve.
Quel giorno la madre della bambina era andata a lavorare nel fienile, lasciando la figlia con la nonna. Tuttavia, la donna si appisolò dopo la colazione e, quando si risvegliò si convinse che la bambina fosse andata con la mamma.
La sera, quando la madre tornò a casa, Karina non c’era. Le donne pensarono che l’avesse presa il padre. L’uomo da parecchio tempo aveva un’altra famiglia e aveva detto di voler venire proprio quel giorno per prendere la figlia e portarla a casa sua per un paio di giorni. Ricordiamo, che tutto questo avveniva in un contesto di mancanza totale di comunicazioni telefoniche e in un luogo estremamente isolato e difficile da raggiungere.
Quando, tre giorni dopo, il padre di Karina arrivò davvero a Olom per prendere la figlia, si scoprì l’amara verità. “La bimba non è mai stata con me”, disse, precisando che il giorno in cui la bambina era scomparsa e lui sarebbe dovuto venire a prenderla, era stato convocato per un lavoro urgente e aveva dovuto cambiare i suoi piani.
Gli abitanti del villaggio si accorsero allora che mancava anche il cucciolo di cane, al quale la bambina era molto affezionata.
Le ricerche dunque iniziarono il terzo giorno dopo la scomparsa. La polizia aprì subito una indagine per presunto omicidio. Un centinaio di soccorritori e volontari si recarono nella foresta. Cani da ricerca e droni iniziarono a setacciare il fitto bosco nel raggio di 30 km.
“Ogni giorno la situazione diventava sempre più disperata, specie dopo che abbiamo incontrato un orso”, ha ricordato un dei soccorritori.
In quei giorni, infatti, c’era un gran movimento di animali che cercavano di allontanarsi dagli incendi che divampavano nella taiga. A causa degli incendi, anche la visibilità era scarsa. La situazione sembrava disperata anche perché in quella località, anche d’estate, di notte la temperatura scende sotto lo zero. “Faceva incredibilmente freddo: ogni tanto mi svegliavo, sebbene avessi un sacco a pelo”, ha ricordato un soccorritore.
Sembrava impossibile che la bambina potesse essere ancora viva. La disperazione crebbe dopo che nella palude furono ritrovati i suoi stivaletti e il giubbotto. Significava che Karina aveva addosso soltanto dei collant e una maglietta nel momento in cui persino gli uomini adulti, adeguatamente vestiti, pativano il freddo.
“Era seduta in silenzio tra i ciuffi di canne. Io non la vedevo, è stata lei a scorgermi e a tendere le sue manine verso di me. L’ho presa in braccio, era piccolissima, non pesava niente. Le gambe, le braccia, la faccia: tutto era morsicato dagli insetti e coperto di sangue. Era scalza, spaventata a morte. Mi ha subito chiesto dell’acqua, poi ha detto che aveva fame. Poi è scoppiata in lacrime”, ha raccontato il volontario Artjom Borisov che ritrovò la bambina.
Karina fu ritrovata 12 giorni dopo la scomparsa, a 6 km da Olom. Aveva perso la strada di casa mentre giocava con il cane, inoltrandosi nella foresta. “Fisicamente non poteva resistere per due settimane in condizioni così estreme”, si meravigliavano i soccorritori. In 12 giorni, la bambina aveva perso un terzo del suo peso. Durante tutto questo tempo aveva mangiato le bacche, bevuto l’acqua di un ruscello e di notte si scaldava, stingendosi al cane.
“Sono rimasta colpita da come si è comportata: sceglieva il posto per la notte, raccoglieva l’erba. È sopravvissuta in gran parte grazie al cane. Avere accanto un’essere vivente in questa situazione è fondamentale”, ha commentato la giornalista Viktoria Gabysheva che ha scritto un libro su questa storia di miracolosa salvezza.
Per più di venti giorni Karina rimase in ospedale. All’inizio poteva mangiare soltanto cibi tritati e non si alzava dal letto: le facevano male i piedi e le gambe morsicate.
Da allora la vita della bambina ha subito una brusca svolta. Improvvisamente, si è trovata al centro dell’attenzione. Un anno dopo, all’aeroporto di Jakutsk è stato eretto un monumento alla coraggiosa bambina e al suo cane. Karina è stata iscritta alla scuola di danza di Jakutsk. Studia la danza e sogna di ballare nel “Lago dei Cigni”.
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