Nell’Estremo Nord della Russia, oltre a coloro che risiedono stabilmente nelle città e nei distretti rurali, vivono anche dei nomadi, in prevalenza, allevatori di renne. Le mandrie migrano in continuazione in cerca di cibo, pertanto i pastori devono spostarsi insieme agli animali.
Il maggior numero dei nomadi (circa 10 mila persone) vive nella penisola Jamal, in Siberia. Sono rappresentanti delle popolazioni indigene: nenets, khanty, selcupi. Una volta all’anno confluiscono a Salekhard (capoluogo del circondario autonomo Jamalo-Nenets) in occasione della Giornata dell’allevatore di renne. È stato durante questa festa che abbiamo potuto esplorare la tradizionale abitazione dei nomadi: il chum.
Il chum è la tradizionale tenda dei popoli del nord. La forma conica è adatta alle condizioni dell’inverno artico, perché garantisce la stabilità della struttura; la neve scivola giù, non ammassandosi sulla copertura; il chum può essere riscaldato in pochissimo tempo, è facilmente smontabile e, quindi, trasportabile.
Ecco come il chum viene montato dai nenets:
In precedenza erano le donne nenets ad assemblare l’abitazione, ma questa usanza, ormai, appartiene al passato. Oggi è compito di tutta la famiglia.
“Di solito, per piantare e montare il chum ci vogliono un’ora in estate e tre ore durante l’inverno. Questo, se c’è molta neve”, ci spiega Mariam, giovane donna del villaggio di Aksarka, nella penisola Jamal. Il suo chum, dove riceve gli ospiti, è costituito da 40 montanti di legno e 80 pelli di renna. “Qui possono vivere comodamente 8 persone”, racconta la donna, aggiungendo che nel passato le famiglie erano più numerose, potevano avere anche 10 figli, mentre oggi 5-6 figli sono praticamente il massimo, pertanto lo spazio è più che sufficiente. All’occorrenza, l’interno del chum, per mezzo di tende, può essere suddiviso in “stanze”.
La base del chum ha, in media, il diametro di 5-8 metri. Il pavimento è formato da assi di legno con sopra delle pelli di renna. Nella zona centrale c’è il focolare (di solito, una stufa in metallo), usato sia per riscaldare l’ambiente, sia per cucinare. Su un lato del focolare c’è un tavolo, attorno al quale si riuniscono i membri della famiglia e gli ospiti.
“Il chum è un’abitazione ecologica”, dice Mariam. “I pali li facciamo noi, nella lesotundra [la “tundra forestale”, la zona di confine tra tundra e taiga dove crescono alcuni alberi di piccole dimensioni; ndr]. Là trovare degli alberi adatti non è un problema. Anche le renne sono nostre, le pelli vengono accumulate gradualmente. Quanto al costo, un chum come il nostro vale circa 1,2 milioni di rubli [circa 13.300 euro al cambio di metà aprile 2023; una cifra paragonabile al prezzo di un piccolo appartamentino in una piccola città di provincia]”.
“I figli grandi, quando si fanno una loro famiglia, piantano un chum a parte. Oggi i giovani si sposano mediamente all’età di 25 anni; i genitori aiutano i figli a predisporre tutto quanto serve per il nuovo chum”, ci informa Anna, proveniente da un altro villaggio.
Inoltre, le donne dello Jamal, dopo la nascita del terzo figlio, ricevono dallo Stato il cosiddetto “materinskij kapital”, un sussidio di maternità, che nel Nord prevede anche il set completo per allestire un chum e include una stufa, i montanti, le assi che compongono il pavimento, le pelli e i teloni che formano la copertura, e una slitta per trasportare il tutto!
Gli indigeni del Nord, ancora oggi, hanno delle credenze che riguardano la casa. “La donna non deve sostare dietro la stufa o il focolare, per noi è un posto sacro”, ci spiega Galina dell’insediamento Minlej, nei pressi di Salekhard. “Non si può neanche fare dei giri completi attorno al chum; se c’è da aggiustare qualcosa fuori, prima bisogna camminare lungo la tenda fino al punto dove occorre intervenire, poi tornare indietro e andare sull’altro lato.”
“Noi siamo nomadi; in alcuni pascoli ci fermiamo una settimana, in altri un mese o due, ma potremmo rimetterci in viaggio anche il giorno dopo. D’inverno è un altra cosa, restiamo nello stesso posto per quattro mesi, da gennaio ad aprile”, dice Nikolaj, del distretto Priuralskij.
Lo spostamento delle mandrie si chiama “kaslanie” (“каслание”). Le rotte non cambiano da secoli, i pastori seguono le orme dei loro avi, che nella tundra restano sempre visibili. Sanno sempre, quando passeranno vicino a zone abitate e potranno rifornirsi di generi alimentari e di tutto il resto.
I nomadi d’oggi hanno motoslitte, automobili, computer, telefoni cellulari, ricetrasmittenti e generatori elettrici. Tuttavia, come dicono loro stessi, la cosa più importante è che si sentono liberi.
“In città sei obbligato a vivere secondo orari prestabiliti. Da noi, invece, non devi mettere la sveglia, non devi correre per non perdere il tuo autobus, non c’è il rischio di arrivare tardi all’appuntamento con il tuo capo. Viviamo come il destino comanda”, dice Galina.
Oltre alla tradizionale tenda, i pastori di renne hanno oggi praticamente sempre anche una moderna casa o un appartamento. Alcuni membri della famiglia lavorano in città, altri vi si trasferiscono, quando si ritirano in pensione. Il resto della famiglia continua a viaggiare per la tundra con gli animali. Ogni tanto la famiglia si riunisce, e allora tutti ricordano con nostalgia la foresta e la tundra.
“Voi, probabilmente, non lo capite. Per capirlo, bisogna viverci. A proposito, volete venire con noi a fare il kaslanie?”, ci invita Anna.
LEGGI ANCHE: Quanto costa la tenda dei pastori nomadi di renne del Nord della Russia?
Cari lettori,
a causa delle attuali circostanze, c’è il rischio che il nostro sito internet e i nostri account sui social network vengano limitati o bloccati. Perciò, se volete continuare a seguirci, vi invitiamo a:
Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email