Come “Call of Duty” ha rivoluzionato la figura dei “russi malvagi” nei videogiochi

Treyarch; Raven Software, 2020
È da poco uscito il nuovo capitolo di questo amatissimo videogame, “Black Ops Cold War”, dove ovviamente c’è uno spietato agente segreto sovietico che, con la consueta crudeltà, vuole distruggere il mondo, che dovrà essere salvato dai buoni americani capitanati da Ronald Reagan. Ma stavolta non è così tutto scontato come al solito…

I “russi cattivi” sono nemici frequenti nella serie di videogiochi sparatutto in prima persona “Call of Duty”, uno dei franchise dai maggiori incassi al mondo. La trama dei primi giochi della serie era dedicata alla Seconda guerra mondiale, ma, con le uscite successive, le trame sono diventate più moderne e attuali. Quando si crea un gioco sui conflitti armati contemporanei, le analogie con la realtà sono quasi inevitabili. Le guerre sono sostituite da attacchi terroristici e operazioni antiterrorismo, e ora i nemici dei personaggi principali non sono solo i nazisti tedeschi, ma anche i cattivoni per eccellenza: i russi!

AVVISO: CONTIENE SPOILER

La caccia a Perseus

La trama del nuovo gioco, “Call of Duty: Black Ops Cold War” (uscito nel novembre 2020), racconta la caccia all’inafferrabile spia sovietica nota con il nome di Perseus, di cui Reagan ha ordinato la cattura. La trama segue tutti i cliché della Guerra Fredda con i “perfidi russi” che vogliono distruggere il mondo.

A proposito, cosa ne pensano i giocatori russi? In effetti, è stato proprio a causa di personaggi russi eccessivamente “malvagi” che un paio di giochi di “Call of Duty” hanno rischiato di essere censurati o del tutto vietati in Russia (ne parleremo alla fine dell’articolo). Tuttavia, la rappresentazione accidentale o deliberatamente errata dei russi in romanzi, film o giochi, è ormai diventata a un genere a sé, con appassionati cultori persino tra i russi. Molti di noi sembrano curiosi: vediamo quale nuovo livello di efferatezza e brutalità hanno pensato per noi gli americani stavolta… 

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Comprendendo questa tendenza, gli sviluppatori del nuovo gioco hanno portato il grado di assurdità della trama al limite. Il nuovo “Call of Duty” è una vera attrazione per i fan della Guerra Fredda come genere, e di tutti i tipi di teorie del complotto ad essa legati. In una missione, penetriamo nell’edificio del Kgb con l’aiuto di un traditore sovietico. In un’altra troviamo un campo di addestramento per l’esercito sovietico, attrezzato sotto forma di una tipica città americana. La ricerca di Perseus alla fine potrebbe avvenire con l’assalto al monastero delle Solovetskij, noto gulag staliniano. 

Come giocatore russo, posso dire: fantastico! Una missione nell’edificio del Kgb? Visto che nella realtà non ci si è mai potuti entrare, almeno vedrò che aspetto ha secondo gli sviluppatori. Ma anche un’altra cosa è importante: in questo gioco, non soltanto i russi possono essere i cattivi. Ma tutti.

Cinquanta sfumature di russo

Da quando “Call of Duty” ha smesso di essere uno sparatutto sulla Seconda guerra mondiale e ha iniziato a mostrare conflitti armati più moderni, i suoi autori hanno parlato molto di moralità “grigia”. “Call of Duty: Black Ops Cold War” è un ottimo esempio di questo approccio.

All’inizio, ci viene dato di capire che sebbene il protagonista lavori per la Cia, può essere chiunque: il giocatore stesso può scegliere il suo passato: ad esempio, un ex ufficiale del Kgb. Inoltre, non siete obbligati a dare la caccia a Perseus durante il gioco. A un certo punto, potete tradire i “vostri” e prendere le sue parti e lasciare l’America con tanto di naso. E ancora… e se foste voi Perseus?

Se rimanete fedeli alla Cia, non dovete pensare di essere dalla parte del Bene. Nel gioco non esiste un finale “buono” in quanto tale. Tutti quelli che decidono qualcosa nella trama, inclusi voi, sono degli stronzi e dei voltagabbana.

Nel finale di “Black Ops Cold War” si scopre che l’inafferrabile Perseus in realtà potrebbe non agire per ordine dell’Urss. “Forse finalmente abbiamo qualcosa in comune”, dice fuori campo uno sconosciuto funzionario della sicurezza americana. Indipendentemente dal finale scelto, la Guerra Fredda secondo “Call of Duty” si rivela non solo uno scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma qualcosa di più. Dopo tanti anni con i “cattivi russi” nei film e nei videogiochi, questo suona come qualcosa di nuovo.

Al momento in cui scriviamo, nessun politico o personaggio pubblico russo ha parlato del nuovo “Call of Duty”. Forse il punto sta nell’ambientazione ai tempi della Guerra Fredda e in una trama folle: meno sono le connessioni possibili con il mondo reale, più indifferenti restano i politici anche più patriottici, e meno sono le reazioni critiche dei gamer russi. Ma non tutti i giochi della serie sono così lontani dalla realtà come questo. In precedenza, nel 2009 e nel 2019, le versioni di “Call of Duty” hanno portato a notevoli scandali.

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Non una parola in russo e il generale ribelle Barkov

Il motivo del primo scandalo è stato il gioco Call of Duty: Modern Warfare 2 (2009) e la sua missione chiamata “No Russian”. L’azione si svolge in un futuro prossimo. Il personaggio principale, un agente della Cia, si infiltra in un gruppo terroristico russo: su ordine del suo leader, organizza un sanguinoso massacro in un aeroporto di Mosca, uccidendo decine di passeggeri e di ufficiali dell’Fsb. I terroristi vogliono però far ricadere la colpa dell’attacco sugli americani. Ecco perché, prima della missione, ai combattenti è severamente vietato parlare russo. Il giocatore può scegliere di non aprire il fuoco sui civili, ma alla fine deve aiutare a eliminare le forze di sicurezza. Ma l’intera missione può anche essere saltata.

“No Russian” ha provocato un acceso dibattito tra giocatori e giornalisti di tutto il mondo: in molti hanno messo in dubbio la decisione degli autori di consentire al giocatore di uccidere cittadini innocenti. In Germania e in Giappone, il gioco è stato rilasciato con correzioni che non permettevano di farlo. Nel gennaio 2010, Vasilij Seleznev, deputato del Partito Liberal-Democratico di Russia, l’Ldpr di Vladimir Zhirinovskij, accusò “Call of Duty” di promuovere l’estremismo e la violenza e suggerì di aggiungerlo all’elenco dei materiali estremisti. La dichiarazione del deputato venne molto discussa sul web, e questo episodio divenne uno dei più noti nella storia delle relazioni tra i videogiochi e la politica russa. Tuttavia, nessuno vietò il gioco. Dalla versione russa di “Modern Warfare 2”, la missione scandalosa venne semplicemente tagliata, ma si trattò di un atto di autocensura da parte di Activision, la società produttrice del videogioco. La ragione formale era l’assenza di un sistema di classificazione per età in Russia in quel momento.

Da allora, “Call of Duty” ha sollevato di tanto in tanto l’argomento dei “russi” cattivi. Ad esempio, “Modern Warfare 3”, uscito nel 2011, inizia con l’attacco della Russia a New York. Nel 2019, “Modern Warfare” è stato rilanciato. L’azione del nuovo gioco si svolge ai nostri giorni e il malvagio protagonista è il generale russo Barkov, il cui esercito sta assediando l’immaginario Paese mediorientale dell’Urzikstan. Il gioco specifica che il generale è ribelle e non agisce per conto della Federazione Russa: gli autori lo hanno addirittura paragonato a Walter E. Kurtz di “Apocalypse Now”.

Allo stesso tempo, l’Urzikstan è protetto dagli attacchi russi dai “Caschi bianchi”. Questo episodio da solo è bastato a molti per tracciare un’analogia con gli eventi in Siria e accusare il gioco di russofobia. Ma c’erano anche elementi più sottili: ad esempio, diversi giocatori americani hanno notato che alcuni riferimenti a fatti reali sembravano essere stati “riscritti” dagli autori a favore degli Stati Uniti. In particolare, addossando ai russi la responsabilità di alcuni eventi, come spietati bombardamenti in Iraq e Kuwait, tra cui i fatti della cosiddetta “Autostrada della morte”,  che nella realtà storica sono stati compiuti dagli Usa:

Questi e altri momenti del gioco hanno causato più malcontento tra i giocatori patriottici  russi rispetto alla missione “No Russian”. Uno dei “portavoce” degli scontenti è stato il popolare streamer Ilja “Maddyson” Davydov, che disse che “questa merda doveva essere vietata”. Davydov è noto per le sue dichiarazioni scandalose, e, ironia della sorte, in quello stesso periodo è diventato membro del Partito Liberal-Democratico, lo stesso del deputato Seleznev, che aveva criticato Call of Duty dieci anni prima.

Tuttavia, anche questa volta, tutto si limitò a polemiche sui media. Activision prese le sue misure, e i caschi bianchi nella versione russa vennero sostituiti con quelli verdi. Ci furono anche altri elementi di autocensura. Questa volta la vendita del gioco in Russia è stata limitata dalla Sony, e Modern Warfare (2019) non può essere acquistato per PlayStation 4 né in versione digitale né fisica. Allo stesso tempo, il gioco è venduto per PC o Xbox One.

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Anche il rilascio di “Black Ops Cold War” in Russia è accompagnato da una parziale autocensura. L’editore non ha distribuito copie fisiche nel Paese, e il gioco può essere acquistato solo online. Ma stavolta anche per PlayStation. Tenendo a mente la storia dell’anno scorso, i gamer russi hanno reagito con (auto)ironia all’apparizione del nuovo “Call of Duty” sulla piattaforma Sony: “Come, come? Il nuovo ‘Call of Duty Cold War’ è disponibile in Russia? RUSSOFOBIA, MENZOGNE, CANCELLARE, REPRIMERE”, ha scritto l’utente Fufeleq su Twitter.


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