Di cosa vanno orgogliosi i russi?

Irina Baranova
Dimenticate grandi scrittori e poeti, musicisti e registi, geniali scienziati. Lasciate da parte anche le date chiave della storia e le guerre vinte. Cos’è che nella vita di tutti i giorni rende i russi così fieri di sé, da far brillare loro gli occhi non appena iniziano a risuonare le prime note dell’inno nazionale?

Gagarin nel cosmo, la vittoria nella Seconda guerra mondiale, la poesia, la lingua, lo humour, la squadra di hockey su ghiaccio… Sì, si possono elencare molti elementi d’orgoglio nazionale: la storia russa ne è piena. E anche pensare alle dimensioni del Paese (con i suoi 17.125.191 chilometri quadrati la Russia è lo Stato più grande al mondo; quasi due volte gli Stati Uniti, 57 volte l’Italia) fa spesso sgorgare il sentimento patriottico.

Tuttavia, il cittadino di qualsiasi Paese del mondo può sicuramente far riferimento a qualche grande compatriota del passato o del presente e dire: “Sono orgoglioso di essere [la-nazionalità-che-volete] come [il-personaggio-noto-che-volete]”. Ma cosa c’entra questo con noi stessi? E cosa rimane dei russi, se per un po’ dimentichiamo Dostoevskij, Chajkovskij, Tarkovskij, Gagarin e compagnia? Queste poche storie personali spiegheranno più dell’orgoglio dei russi di centinaia di riferimenti a personaggi famosi. 

I russi non si lamentano. Mai 

“Quando avevo dieci anni, mio padre perse il controllo dell’auto. Era una buia notte kazaka con le strade ghiacciate, e la macchina girò su se stessa due volte, prima di rimettersi in carreggiata. Appena fummo al sicuro, mio papà fermò del tutto l’auto, inspirò profondamente e si girò verso di me per assicurarsi che tutto fosse a posto”, ricorda Julija Kvach, una ragazza nata in Siberia.

Quella notte vide suo padre come non l’aveva mai visto prima, sebbene anche in precedenza avesse visto segni di inquietudine sul suo volto, dopo che l’economia era crollata e i soldi in una città come Bajkonur mancavano, e il suo stipendio di militare non bastava più nemmeno per sopravvivere. 

Aveva anche notato le occhiaie per la stanchezza, perché, per arrivare alla fine del mese, di notte lavorava come tassista, e la mattina doveva presentarsi al suo posto di lavoro. “Vedevo il suo amore e come si prendeva cura di me: mi portava a prendere lezioni di inglese, sebbene potessimo a malapena permettercele. E d’improvviso, mi resi conto che non lo avevo sentito lamentarsi neanche una volta”, dice. “Quella notte vidi lo spirito russo del mio babbo”.

Se lo domandate, in ogni famiglia ci sono storie di questo tipo. “Nel 1945, la nonna di un mio amico andò da Kiev a Vladivostok [9.780 km, ndr] in seguito a delle voci senza conferme che suo marito, disperso, potesse essere là, dopo essere stato trasferito dal fronte occidentale a quello giapponese verso la fine del conflitto”, racconta Julia. “Non aveva sue notizie ormai da quattro anni. Ma non si lamentò nemmeno una volta. Fece fagotto e partì. Là dormì per strada e, dopo tre settimane di ricerche lo trovò”. 

“I russi sanno che la vita è dura, ma questa consapevolezza non genera disperazione. Al contrario, ci spinge a darci di più da fare. I russi non si lamentano. Attraversano l’inferno, fanno spallucce e tornano al lavoro. Sono orgoglioso di essere russo”. 

I russi aiutano gli altri, anche quando sono nei guai fino al collo 

Sapete qualcosa dei russi, vero? Che sono scontrosi, che bevono un sacco, e che raramente sorridono… Sono stereotipi, naturalmente (fino a un certo punto), ma a volte la realtà russa può essere davvero devastante. Ogni volta che Vladimir Zakharov tornava da un viaggio in Europa nella sua città vicino a Mosca, cadeva in depressione per l’atmosfera deprimente tutto attorno e per quella stessa depressione negli occhi delle persone che lo circondavano.

 

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“In una di quelle depressive sere d’inverno, mi trovavo vicino al mio condominio. Un classico ubriacone russo era in piedi accanto a me all’incrocio. Vestito orribilmente, puzzava di alcol e sudore di vecchia data, era torvo e fumava delle sigarette da due soldi il cui tanfo mi faceva venire il vomito. Non volendo restare in sua compagnia, ho imprecato ad alta voce e ho iniziato ad attraversare la strada apparentemente deserta”, racconta Zakharov.

Inaspettatamente la mano dell’ubriacone si è allungata bloccandolo appena in tempo. Non aveva visto una macchina che arrivava a tutta velocità e che sicuramente lo avrebbe investito. I due non si sono detti niente, non si sono nemmeno scambiati uno sguardo. La macchina è passata e lui, che si era appena visto salvare la vita, ha attraversato in silenzio la strada. 

“Momenti come questo ti fanno ricordare che non tutto è oro tutto quel che luccica e che dal letame nascono i fiori. I russi possono anche sembrare i peggiori pezzenti, ma quando arriva il momento in cui hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, loro ci saranno”. 

“Siamo dei sopravvissuti” 

“Siamo sopravvissuti alla Rivoluzione, a Stalin, alla Seconda guerra mondiale, agli anni chiusi dietro alla Cortina di ferro, eppure in qualche modo la maggior parte di noi ha mantenuto la sanità mentale”, dice Galina Craigs. Vive da vent’anni in Virginia, ma sua madre e le sue sorelle sono in Russia “e sono orgogliose del Paese in cui adesso vivono”.

“Il mio bisnonno passò 17 anni nei campi di concentramento di Stalin, tornando a casa senza due dita che si era tagliato per sopravvivere, e con un occhio solo (l’altro occhio lo perse durante la Seconda guerra, mentre combatteva in un Battaglione penale). La mia bisnonna ha perso sette figli su nove per la mancanza di cibo. Mio nonno è stato condannato perché era sopravvissuto a un lager nazista ed era ritornato attraversando mezza Europa a piedi”.

“Tuttavia, sono orgogliosa della mia eredità nazionale, per via della nostra capacità di sopravvivenza e di tutta la fatica fatta per sopravvivere. Ora sappiamo come goderci la vita e apprezzarla come nessun altro”, dice Galina. 

Significa forse questo che i russi sono orgogliosi di se stessi solo quando la vita li prende a pugni? In parte, si. Anche a mio padre, ad esempio, piace ricordare con orgoglio che siamo una nazione di “sopravvissuti” (e ha anche ragione di dirlo). Ma in parte, no, non si tratta solo di questo. 

Ecco alcune altre risposte dei russi alla domanda su cosa li renda orgogliosi: 

“Mettiamola così. La Russia è ben lungi dall’essere un paradiso economico, il che spesso ci porta a possedere meno cose rispetto alle persone dei Paesi più sviluppati. Alcuni pensano che sia male, che io non abbia tre iPhone. Ma penso che questa situazione mi faccia studiare più duro. Considero l’auto-miglioramento lo scopo della mia vita, piuttosto che avere un iPhone in tasca. Se vivessi da qualche parte in Europa, probabilmente avrei meno da realizzarmi nella vita. Ma vivo in un Paese, che contemporaneamente mi fa lavorare più duro per ottenere qualcosa, ma mi dà anche più opportunità”, dice Vadim Neverov. 

“C’è stato un inverno in Russia che ha segnato il freddo record degli ultimi dieci anni. Penso che la temperatura abbia raggiunto i-38 ºC durante la notte a Mosca. Cosa fanno i russi quando è -38 ºC? Si vanno a fare una nuotata, naturalmente! Andate in un lago o in un fiume, scavate un buco nel ghiaccio e vi tuffate. È una cosa normale. Che ne dite di un inverno a -38 ºC? Mentre magari siete in fila con centinaia di persone e aspettate il vostro turno? 

Era una cosa di massa. C’erano ambulanze allineate, con personale medico, nel caso qualcuno fosse collassato dopo la nuotata. Decine di migliaia di persone? Centinaia di migliaia? I moscoviti sono comunque dei fifoni. [...] In Siberia possono farlo in mezzo a una foresta e senza nessuna ambulanza in giro. Oh, e la frequenza scolastica durante la settimana fredda da record? La stessa di sempre, anche se la scuola era facoltativa. L’intera città funzionava normalmente, era solo ammantata di un bianco insolitamente luminoso e silenzioso, senza tutte queste auto private che di solito sfrecciano. I russi eccellono nell’adattarsi all’ambiente. Si ammalano e si deprimono di più quando la vita diventa troppo facile; hanno bisogno di difficoltà, reali o artificiali”, dice Anna Vinogradova.

1) Noi spacchiamo. Possiamo pagare un prezzo terribile, ma facciamo quello che va fatto, costi quel che costi. 

2) Abbiamo fatto dei rimedi popolari un’alta scienza. Progettiamo cose con la gomma da masticare, ripariamo con gli stuzzicadenti. A volte queste nostre ‘invenzioni’ sembrano stare in piedi a malapena, ma fanno il loro sporco lavoro, e salvano i nostri culi russi quando tutti gli altri ci danno già per spacciati. 

3) Abbiamo nascosta dentro un’essenza gentile, magnanima e perspicace che non muore mai sotto quel manto di opportunità perdute e sotto la crosta dell’orgoglio ferito, dei rancori e dell’aggressione. È una cosa che odiamo, perché pensiamo che ci renda deboli. Ma quando siamo in una giornata buona, potrete vedere attraverso le crepe della nostra scorza dura, questo calore, che splende e illumina sempre la nostra via”, conclude Dima Vorobjov.

 

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