Regolamento n. 1: Opprimere la borghesia!
Dopo la rivoluzione del 1917, il nuovo governo bolscevico emise un ordine per ottimizzare la divisione degli alloggi. I grandi appartamenti, soprattutto nel centro di Mosca e San Pietroburgo, furono convertiti in residenze comuni. I proprietari avevano solo una stanza per la loro famiglia e le loro cose, e dovevano condividere il resto con dei perfetti estranei. Furono costruite innumerevoli pareti per dividere grandi stanze e persino bagni. Questo processo è stato brillantemente descritto nel romanzo di Mikhail Bulgakov, “Cuore di cane”, del 1925. I bolscevichi invitavano le persone a combattere lo stile di vita borghese, sostenendo che era un ostacolo sulla via dell’edificazione del comunismo. “Era abbastanza confortevole la vita nella nostra unica stanza, ma a scuola ci veniva insegnato che il comfort era sinonimo del filisteismo borghese”, ha ricordato l’autrice Lidija Lebedinskaja. “Così, una volta, tornata a casa da scuola, mi guardai attorno e capii che dovevo combattere immediatamente il filisteismo. Non c’erano ancora adulti a casa, così presi le forbici e tagliai via le tende di tulle dalla finestra. Poi tolsi tutti i dipinti e i ritratti dalle pareti e gettai via coltelli e forchette. Feci un sacco, legando una tovaglia, e portai tutto nella spazzatura. Proprio mentre cercavo di far fuori anche il tappeto, mio padre rientrò a casa dal lavoro…”
Regolamento n. 2: Rispettare le code!
Tutto negli appartamenti comuni funzionava secondo turni e regole rigorose. Ogni residente aveva solo circa 30 minuti ogni giorno per usare il bagno, e durante questo periodo doveva lavare se stesso, i suoi figli, e i vestiti. Se uno ci metteva troppo, i vicini bussavano con rabbia alla porta. C’era anche un orario speciale per asciugare i vestiti, e quindi biancheria e panni di solito erano appesi in bagno e in cucina.
“C’era una coda per il bagno ogni mattina. La gente si agitava: “Cosa ci fa là dentro da così tanto tempo?” Le anziane signore aspettavano pazientemente il loro turno con i vasi dei loro nipotini,” ricorda l’artista I. Soja-Serko.
Regolamento n. 3: Fare attenzione ai vicini!
Potevano esserci fino a 15 stanze in una kommunalka, e ciascuna era una casa per una famiglia. Potete immaginare il caos nella cucina in comune! C’erano diverse stufe e tavoli, e non dovevi mai confondere i piatti e il cibo con quelli di un coinquilino, o gli animi si infiammano. I bambini facevano molto rumore e potevano esserci fino a nove gatti in un singolo appartamento.
“Le casalinghe correvano per i corridoi con le pentole. Accanto a ogni tavolo, in cucina, la gente cucinava cibo per la sera e il mattino seguente. C’era un enorme frastuono, prodotto da tutte le voci e le stufe sibilanti, il vapore costante che saliva dal fornello, e una serie di odori diversi che pervadevano la sala e le stanze”, ricorda Soja-Serko.
C’era una barzelletta popolare negli anni Settanta, quando le persone iniziarono a prendere possesso dei loro appartamenti e a lasciare le kommunalki per le khrushchevki: “La tipica casalinga russa, “Maria Ivanovna”, per giorni entra in cucina alla mattina presto mentre tutti ancora dormono, e per dispetto mette del lassativo nelle pentole di tutti i coinquilini. Solo dopo circa una settimana si ricorda che ora vive da sola.”
Regolamento n. 4: Rendere funzionale la cucina!
I nuovi appartamenti erano spesso ridicolmente piccoli e la cucina di solito era di cinque metri quadrati, ma le persone erano felici perché finalmente avevano un posto tutto loro. Anche se a causa delle pareti sottilissime la privacy non era il massimo. Problema a cui si cercava di ovviare appendendo ai muri dei tappeti. Tutte le nuove cucine erano dotate degli stessi mobili ed elettrodomestici, e il popolo sovietico poteva ora conservare cibo e cereali in decine di barattoli. Se qualcosa in cucina non ci stava, potevano sempre riporlo sul balcone (abitudine, peraltro, ancora viva).
“In cucina ho scritto il mio dottorato, lì abbiamo accolto ospiti, chiacchierato fino alle ore piccole, raccontato barzellette”, ricorda il moscovita Vjacheslav Zinchenko. “La festa preferita di tutti, era Capodanno, con i suoi mandarini, l’insalata Olivier e il kholodets (carne in gelatina) che tenevamo sul balcone. Dato che c’erano molti ospiti, dovevamo mescolare l’insalata Olivier in una grande bacinella smaltata. E, naturalmente, il Capodanno non era completo senza il film, ‘Ironija Sudby’ (‘Ironia del destino’).”
Regolamento n. 5: Non indossare stivali nuovi in periferia!
Negli anni Sessanta e Settanta, la gente cominciò a spostarsi dagli appartamenti comuni nel centro di Mosca ai quartieri periferici. Lì, lo Stato dava loro appartamenti individuali in edifici di nuova costruzione. Alcuni quartieri erano lontani non solo dal centro città ma anche dai trasporti pubblici.
Ecco cosa ricorda la moscovita Tatjana Starostina: “Nel 1977 abbiamo ricevuto un nuovo appartamento di tre stanze proprio alla fine di via Birjulevskaya. Quando siamo arrivati lì, siamo rimasti sorpresi. Era così calmo, i suoni dei nostri passi riecheggiavano per tutto il quartiere. C’era un grande spazio vuoto dietro la nostra casa e in lontananza si vedeva una foresta… Tutto andava bene, tranne il fatto che la fermata dell’autobus più vicina era a 15 minuti a piedi, e da lì la stazione della metropolitana più vicina era a 25-30 minuti. La mia prima corsa finì drammaticamente. Ero in ritardo al lavoro di un’ora, e ruppi un tacco dei miei nuovi stivali neri, dopo aver trascorso quattro ore al supermercato Gum per comprarli, e alla fine persi pure tutti i bottoni rimasti sul mio cappotto.”
La mostra “Staraja kvartira” (“Vecchio appartamento”), dove è possibile vedere gli interni ricostruiti delle case sovietiche dagli inizi del XX secolo fino agli anni Novanta, è in corso al Museo di Mosca fino al 10 aprile. Il biglietto d’ingresso costa 200 rubli (2,85 euro) Per info
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