Perché i bambini in Russia chiamano gli estranei zio e zia?

Kira Lisitskaya (Foto: Photographic Advertising; imageBROKER.com/Global Look Press)
Le parole “djadia” e “tjotja” indicano non solo i parenti, ma vengono anche utilizzate dai bimbi per rivolgersi a qualsiasi adulto. Siamo andati alla ricerca delle origini di questa usanza e abbiamo preparato per voi un bell’excursus storico e un compendio pratico su come rivolgersi agli altri per non sembrare maleducati

“Tjotja, mi dia una bottiglia di latte e una pagnotta, per favore”, può dire un bambino in un negozio rivolgendosi alla commessa. “Passa i soldi per la corsa al djadja autista”, potrebbe dire una madre al figlio su una marshrutka. Ma come è nata la tradizione del rivolgersi agli estranei chiamandoli djadja e tjotja, ossia “zio” e “zia”?

I modi di rivolgersi agli altri

Nella lingua russa non esistono forme neutre per rivolgersi agli estranei, come “Mr” e “Miss/Mrs” in inglese, “Monsieur”, “Madame” in francese o “signore”, “signora” in italiana. In russo oggi ci si rivolge a qualcuno chiamandolo “devushka” (“ragazza”) o “molodoj chelovek” (“giovanotto”; “ragazzo”). Invece chiamare qualcuno “donna” o “uomo” (“zhenshchina”; muzhchina”) è considerato scortese o addirittura offensivo, perché allude all’età non più verde.

Prima della Rivoluzione, in città ci si rivolgeva alle persone in base al titolo o alla classe sociale: “sudar”/”sudarynja”, ossia “signore”/“signora”, derivano dalla parola “gosudar” (“signore” nel senso di “sovrano”). A un gruppo di persone ci si rivolgeva con “damy”/“gospodà” (“signore”/“signori”). “Damy” era un prestito dal francese entrato in uso fin dai tempi di Pietro il Grande. I principi potevano essere chiamati solo “Vasha Svetlost” (“Vostra Serenità”) e le figure imperiali  “Vashe vysocestvo” (“Vostra Altezza”)

Invece nell’ambiente rurale tutto era molto più semplice. Ci si rivolgeva come ai parenti. Pertanto, un adulto poteva spesso chiamare una persona anziana sconosciuta“otets” (“padre”) e poteva chiamare un suo coetaneo “brat” (“fratello”) o “sestrá” (“sorella”). Per un bambino erano invece tutti erano “tjotja” (“zia”) e “djadja” (“zio”). Questo era considerato un modo di rivolgersi rispettoso nei confronti dei coetanei dei propri genitori.

A metà del XIX secolo, quando nell’Impero russo iniziò la costruzione delle imprese industriali e la gente iniziò a venire in città per guadagnare, questi modi campagnoli di rivolgersi agli altri si trasferirono nell’ambiente urbano.

Nell’Unione Sovietica “sudar” e i “svetlost” scomparvero; tutti diventarono uguali. Nella lingua russa fu introdotto un modo per rivolgersi a tutti, maschi e femmine: “tovarishch”; ossia “compagno/compagna”. 

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Eppure anche “tovarishch” mantenne un certo livello formale e da adulti. A livello quotidiano, per i bambini l’uso di “zio” e “zia” non scomparvero. E molti, anche una volta cresciuti, continuavano a chiamare l’amica della madre “tjotja” e, per inerzia, insegnavano ai loro figli questo modo di rivolgersi agli altri.

Una grande famiglia

Dal punto di vista linguistico, queste parole assomigliano al balbettamento infantile (“dja-dja”, “tjo-tja”, “ma-ma”, “pa-pa”, “ba-ba”, “de-da”), e sono facili da ricordare.

Le radici di questi modi di rivolgersi indicano anche che i residenti dello stesso villaggio potevano effettivamente essere parenti tra di loro, anche se non diretti, ma, per esempio, cugini di secondo grado. In tal modo, le persone enfatizzavano inconsciamente la parentela.

E questo era necessario anche per sentirsi al sicuro, soprattutto nel caso di un bambino. Se fai capire che sei “uno dei nostri”, nessuno ti farà del male.

La nuova etichetta russa

Oggi, il modo più moderno e rispettoso è considerato rivolgersi per nome e patronimico (“Elena Pavlovna”, “Dmitrij Aleksandrovich”), o, se si tratta di uno sconosciuto, allora per attirare l’attenzione si usa “Izvinite” (“Scusi”, “mi perdoni”; analogo dell’“Excuse me” in inglese) dando obbligatoriamente del “voi”, che in russo è la forma di rispetto. 

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“Mia madre riteneva che ‘djadja’ e ‘tjotja’ fossero modi di rivolgersi campagnoli, e che le persone di città, con istruzione universitaria, non potessero rivolgersi tra di loro così”, racconta Tamara, di Mosca, linguista di formazione, “perciò ai conoscenti adulti ci rivolgevamo per nome e patronimico, a meno che non chiedessero loro stessi di essere chiamati ‘djadja’ e ‘tjotja’. E mi è stato insegnato a rivolgermi agli estranei in modo molto formale”.

“Da bambina mi rivolgevo agli sconosciuti proprio così”, racconta Darija, una photo editor di Mosca, “dopotutto anche i miei genitori usavano con me quella parola: ‘Stai buona, altrimenti sporchi la tjotja…’”.

“Io, da piccola, chiamavo tutti per nome e patronimico, ma ora, i miei amici mi presentano ai loro bambini come tjotja Sveta”, dice l’economista Svetlana, di Mosca. “Vengo chiamata sudarynja solo quando compro i bliny in un certo locale”, conclude con un sorriso, alludendo alla catena di fast-food russa “Teremok”, dove il codice aziendale prescrive di chiamare i clienti “sudar” e “sudarynja”, come se si fosse ancora nell’Ottocento.

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