Il 4 giugno 1972 il poeta russo Joseph Brodsky (questa la grafia inglese più diffusa; la traslitterazione dal russo è Iosif Brodskij) lasciò per sempre la sua patria. Fu costretto a partire, lasciando a Leningrado i genitori, che non avrebbe mai più rivisto, l’amore della sua vita, il figlio e gli amici.
Con l’aiuto di un editore americano che ammirava il suo lavoro, gli venne offerto un posto da insegnante all’Università del Michigan. Divenuto cittadino americano nel 1977, vinse poi il Premio Nobel per la Letteratura nel 1987.
Ma cosa fece Brodsky (1940-1996) per far infuriare a tal punto i funzionari sovietici da costringerlo a lasciare tutto ciò che amava?
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L’uomo che non esiste
Brodsky non era certo un combattente contro il regime sovietico, un dissidente o tantomeno un russofobo. Anche quando già viveva da molti anni negli Stati Uniti, non solo mantenne l’amore e il rispetto per la sua patria, ma si posizionò sempre come uomo vicino allo Stato, non come uno che voleva abbatterlo.
Il percorso di Brodsky, secondo molti, è stato un percorso di alienazione. Come scrisse Sergej Dovlatov (1941-1990), famoso scrittore e amico di Brodsky: “Lui non viveva in uno Stato proletario, ma nel monastero del suo spirito. Non combatteva il regime. Non lo notava neppure”. La resistenza silenziosa non era una posizione di principio o consapevole, che il poeta aveva sviluppato di proposito, ma per Brodsky questo modo di pensare e sentire era naturale. Egli stesso ha ricordato che quando aveva 10 o 11 anni gli venne in mente un pensiero che avrebbe potuto descrivere in larga misura tutto il suo percorso di vita successivo: “…il dettame di Marx secondo cui ‘Non è la coscienza dell’uomo a determinare il suo essere, ma è al contrario il suo essere sociale a determinare la sua coscienza’ è vero solo fino a quando la coscienza non ha padroneggiato l’arte dell’alienazione; allora la coscienza vive in modo indipendente e può sia regolare che ignorare l’esistenza”. La coscienza di Brodsky si rivelò troppo indipendente per il sistema sovietico.
All’età di 15 anni, abbandonò la scuola e andò a lavorare in una fabbrica. In seguito disse che semplicemente non riusciva a tollerare alcuni dei suoi compagni e insegnanti, gli onnipresenti ritratti di Lenin e Stalin e l’orribile colore della vernice sulle pareti. Ciò che terrorizzava il poeta era che questo lo aspettava ovunque, non solo a scuola, ma in ogni altro luogo; tutti ugualmente impersonali e privi di significato. In seguito il poeta non si sarebbe pentito di non aver terminato gli studi o di non aver frequentato l’università. Per sua stessa ammissione, l’abbandono della scuola era stato il “primo atto libero” della sua vita.
La libertà interiore di Brodsky, così estranea al sistema sovietico, si rifletteva anche nel suo linguaggio poetico: non criticò mai le autorità sovietiche nelle sue opere, ma le autorità si sentivano lo stesso criticate. In una conversazione con il giornalista Solomon Volkov, Brodsky spiegò questo fenomeno come segue: “L’influenza del poeta si estende oltre il suo termine, per così dire, mondano. Il poeta cambia la società in modo indiretto. Cambia il linguaggio, la dizione, influenza il grado di autocoscienza della società. Come avviene? La gente legge il poeta e, se il lavoro del poeta è compiuto in modo intelligente, ciò che ha fatto più o meno si insinuerà nella coscienza della gente”. Brodsky riteneva che il linguaggio usato dalle autorità fosse “infarcito del gergo dei trattati marxisti“ e “non-russo“. Da questo non poteva che seguire un conflitto tra il potere e la letteratura, con il primo che era pieno di sospetti e pregiudizi verso un linguaggio poetico sconosciuto e incomprensibile.
Uno stile di vita antisociale e parassitario
Naturalmente, i membri dell’apparato vedevano la situazione in modo molto diverso. Nel 1963 il giornale “Vechernyj Leningrad” pubblicò un articolo intitolato “Okololiteraturnyj truten” (“Parassita semiletterato”), in cui l’autore criticava aspramente Brodsky: “…le sue poesie sono un misto di decadenza, modernismo e mediocre incomprensibile abracadabra”. Inoltre, lo accusava di antipatia per la patria e di “nutrire un piano di tradimento” L’articolo si concludeva con la richiesta di punire Brodsky per “tunejadstvo”, il reato di “parassitismo sociale”.
Il testo della legge sul “tunejadstvo” era molto vago sulla definizione di “parassitismo”, e poteva essere utilizzato contro chiunque non fosse gradito alle autorità. Questa possibilità venne colta al balzo. Brodsky, accusato di esercitare la professione di poeta senza la necessaria qualifica professionale, fu condannato e trascorse un anno e mezzo, dei cinque anni a cui fu condannato al confino, nel villaggio di Norenskaja, nella regione di Archangelsk. Divenne celebre lo scambio in tribunale tra il poeta e il giudice:
«Giudice: Qual è la sua professione?
Brodsky: Poeta, poeta e traduttore.
Giudice: E chi ha riconosciuto che siete poeta? Chi vi annovera tra i poeti?
Brodsky: Nessuno. (senza sfida) E chi mi annovera nel genere umano?
Giudice: Avete studiato per questo?
Brodsky: Per cosa?
Giudice: Per essere un poeta! Non avete cercato di completare l’università dove preparano... dove insegnano...
Brodsky: Non pensavo... Io non pensavo che ci si arrivasse con l’istruzione
Giudice: E come?
Brodsky: Io penso che… (confuso) venga da Dio…
Giudice: Avete richieste?
Brodsky: Vorrei sapere perché mi hanno arrestato
Giudice: Questa è una domanda non una richiesta!
Brodsky: Allora non ho richieste.
A causa del grande clamore suscitato nell’opinione pubblica, il poeta fu però poi rilasciato dal confino. Fu sostenuto sia dai suoi connazionali che da persone all’estero e alla fine del 1964 tutto il mondo era ormai a conoscenza del suo processo grazie ai giornali francesi e inglesi. Solo che Brodsky non aveva un posto dove tornare. Era quasi impossibile incorporare Brodsky nel sistema sovietico. Come prima dell’arresto, si occupò di traduzioni, di filastrocche per bambini e occasionalmente ricevette denaro per leggere i suoi versi in circoli di appassionati di poesia.
Il poeta caduto in disgrazia era però pubblicato all’estero: nel 1970 la sua raccolta “Остановка в пустыне” (“Ostanovka v pustyne”; “Una fermata nel deserto”) uscì a New York. Conteneva 70 poesie, diversi componimenti e traduzioni. Il processo e la campagna in sua difesa resero Brodsky piuttosto famoso a livello internazionale, così iniziò a ricevere inviti da diversi Paesi: Israele, Italia, Cecoslovacchia, Inghilterra…
L’esilio
Le autorità non sapevano cosa fare di questo strano uomo: non poteva essere imprigionato, non poteva essere ammesso all’Unione degli Scrittori e non poteva far pubblicare le sue poesie. In un Paese rigorosamente sistematico, Brodsky si rivelò un uomo fuori dal sistema: semplicemente non si inseriva nella vita sovietica, perché esisteva di per sé, a modo suo, senza alcun appiglio esterno. Questo tipo di persona era visto dal sistema come dannoso e pericoloso.
Nel 1972, Brodsky fu invitato all’ufficio visti e gli fu detto esplicitamente che era meglio approfittare dell’invito e partire. Brodsky ha scritto sull’episodio: “Il poliziotto ‘gentile’ passa dal voi al tu. ‘Ti dico una cosa, Brodsky. Compila subito questo modulo, fai richiesta, e noi prenderemo una decisione’. ‘E se mi rifiuto di farlo?’, chiedo. Il colonnello risponde: ‘Oh, allora ti aspettano delle giornatine molto calde’”. Brodsky accettò: passarono solo tre settimane tra la telefonata dell’ufficio visti e la partenza del poeta per Vienna.
La propaganda presentava tutti gli emigranti come traditori della patria, ed era quasi impossibile tornare a casa dopo la partenza. Brodsky se ne andò per sempre e non poté nemmeno incontrare i suoi genitori: questi fecero domanda 12 volte per poter andare all’estero a vedere il figlio, ma ogni volta la pratica fu respinta. Morirono entrambi senza averlo mai rivisto.
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Dopo la loro morte e il crollo del sistema sovietico, Brodsky non volle più tornare in patria. “Non lo faccio per diverse ragioni”, ha scritto. “Primo: non si entra due volte nello stesso fiume. Secondo: dato che ora ho questa aureola, temo di diventare oggetto di varie speranze e sentimenti positivi. Ed essere oggetto di sentimenti positivi è molto più difficile che essere oggetto di odio. Terzo: non vorrei trovarmi nella posizione di uno che si trova in condizioni migliori di altri”.
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