Così il “Pushkin” rischiò di sparire per essere sostituito dal Museo di Stalin

Cultura
ALEKSANDRA GUZEVA
Durante l’URSS, i capolavori dell’arte mondiale del celebre museo moscovita furono chiusi nei magazzini per lasciare il posto ai regali fatti al leader sovietico. Una bizzarra esposizione senza limiti di tempo…

Alla fine degli anni ‘40, il Museo Statale di Belle Arti “Pushkin” di Mosca ha rischiato di svanire… e di essere trasformato nel Museo di Joseph Stalin. In quegli anni infatti nelle sale del “Pushkin” fu allestita una mostra con i regali fatti al leader sovietico che sostituirono quasi tutti gli altri capolavori. E, a differenza delle altre esposizioni temporanee, questa non aveva limiti di tempo.

Magazzini pieni

Durante la Seconda guerra mondiale, la maggior parte degli oggetti esposti nel museo furono evacuati. In quegli anni, una bomba colpì il tetto e le sale erano al freddo. Il museo fu restaurato nel 1946: tutti i tesori furono rimessi al loro posto e il “Pushkin” fu riaperto al pubblico.

Alla fine degli anni ‘40 il Museo “Pushkin” era un punto di riferimento per l’arte: ricevette dalla Germania molti oggetti di valore, dipinti e arazzi, ceramiche e sculture, e persino capolavori della collezione della Galleria d'Arte di Dresda. Inoltre, nel 1948, fu aggiunta una parte dell'inestimabile collezione del Museo della Nuova Arte Occidentale, composta dai famosi lavori di Sergej Shchukin e Ivan Morozov. Tra le varie opere arrivarono anche diversi capolavori realizzati da pittori impressionisti, post-impressionisti e modernisti, da Claude Monet a Renoir, da Matisse a Picasso

Il museo non riusciva più a far fronte a quell’afflusso di opere: era letteralmente pieno zeppo di oggetti d’arte di ogni tipo. Gli impiegati non riuscivano a fare l’inventario e il conteggio, e molti capolavori restavano stipati nei caveau. Alcuni dipinti di maestri occidentali andarono addirittura ad abbellire gli uffici dei funzionari, per mancanza di spazio. 

Nel 1949, tra le sale del museo si presentò una commissione governativa, giunta per allestire una mostra dedicata ai regali fatti a Joseph Stalin per il suo 70° compleanno. 

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Un rapido cambio di scenario

In soli due giorni dalle sale furono rimosse ben 1.500 opere: dipinti francesi, olandesi, italiani e di artisti occidentali in gerele, oltre ai famosi calchi scultorei che sono la caratteristica principale del “Pushkin”. Finirono tutti nei caveau.

Aleksej Petukhov, ricercatore senior del Museo “Pushkin”, fu testimone di quell’insolito trasloco. E ricorda come una impiegata, entrando in una sala che ospitava l’arte italiana, ormai vuota, si mise a piangere insieme alla collega per la loro impotenza.

In appena una settimana - un tempo record - fu allestita la mostra dedicata a Stalin. Il portico dell’edificio fu coperto da un gigantesco ritratto del leader; ironicamente, la stanza dietro il ritratto di Stalin custodiva i capolavori di Picasso, ormai relegati nell’oscurità dei magazzini. La mostra dedicata al leader fu organizzata nella più totale violazione delle norme di sicurezza antincedio: vennero ammassati uno sopra l’altro tessuti facilmente infiammabili e oggetti di vario tipo, mentre la rete elettrica era totalmente sovraccarica. 

Un museo nel museo

Tappeti, pannelli ricamati con l’immagine di Stalin, statue, ma anche vasi, tessuti, porcellane e persino caramelle e dolcetti donati da amici comunisti di ogni parte del mondo (buona parte di questi dolci avevano ormai i vermi, ma nessuno osava buttare via i doni offerti al leader).

Olga Nikitjuk, una delle impiegate di allora, ricorda come gli specialisti di arte occidentale fossero costretti a raccontare ai visitatori la storia nascosta dietro i ritratti di Stalin realizzati su chicchi di riso, e altri singoli oggetti. Il testo studiato dalle guide turistiche veniva prima approvato, poi completamente memorizzato e doveva essere narrato alla lettera. Tutto ciò veniva severamente controllato e chi non si adeguava alle regole poteva incorrere in problemi. 

Il personale si impegnava a mantenere un ordine perfetto nelle sale; e si scatenò il panico quando si ruppe il meccanismo che azionava un ripiano scorrevole per un set di bicchieri donato dalla Cecoslovacchia.

L’edificio del “Pushkin” ormai veniva sorvegliato giorno e notte; le guardie di sicurezza si portavano addirittura i cani addestrati.

Alla mostra si presentarono circa 4 milioni di visitatori. Ma lo stesso Stalin, si dice, non entrò mai nel museo. Per l’esposizione non fu fissata una fine e nessuno aveva fretta di sminuirla… nemmeno dopo la morte del leader, nel marzo del 1953!

Ma un bel giorno d’estate di quello stesso anno, i dipendenti del museo che si recarono al lavoro si accorsero che l’enorme tappeto turkmeno con i ritratti dei membri del Poltburo era stato staccato. Impossibile ipotizzare un furto in un luogo del genere! Sul tappeto era raffigurato anche l’alleato di Stalin, l'onnipotente ministro degli interni Lavrentij Berija, arrestato proprio in quel periodo. Da lì a poco la mostra fu chiusa per sempre. 

Dopo la chiusura, gli oggetti esposti cominciarono a essere distribuiti tra i musei di Mosca. Alcuni rimasero nel “Pushkin”, altri finirono nel Museo della Rivoluzione, nel Museo Lenin e nel Museo di Mosca. Fra quelli vi erano una moto Yava donata dai cechi, rotaie, martelli pneumatici e altri strumenti tecnici che finirono nel Museo Politecnico. 

E il 25 dicembre 1953, il Museo “Pushkin” inaugurò le sale d'arte e di cultura dell'Oriente antico, dell'Antichità e dell'Europa occidentale (dal IV secolo a.C. al XX secolo). Per la prima volta videro la luce anche le opere degli impressionisti.

Più tardi, dopo un restauro globale, il museo allestì una mostra d’arte con i capolavori della Galleria di Dresda. Successivamente fu esposta per la prima e ultima volta anche la leggendaria Madonna Sistina di Raffaello.

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