Quando Tarkovskij discusse della sceneggiatura davanti alla commissione dello studio cinematografico statale Mosfilm, tutti pensavano che quello (tratto da un racconto di Vladimir Bogomolov) sarebbe stato un film su un eroico bambino-soldato sovietico, Ivan, che dopo aver perso tutti i suoi cari in guerra era diventato una specie di “figlio del reggimento”, impiegato in rischiose operazioni di avanscoperta. Ma quando il film fu girato, fu evidente che si erano sbagliati di grosso, e che il regista aveva dato un taglio tutto suo.
“L’infanzia di Ivan” (in russo: “Иваново детство”; Ivánovo détstvo”), con i suoi ritmi nevrotici e la narrazione dal punto di vista di un bambino dalla psiche irreparabilmente contorta, non assomigliava in alcun modo a un dramma militare patriottico. E sebbene i critici sovietici continuassero a scrivere di “un’infanzia bruciata dalla guerra”, solo Jean-Paul Sartre osò descrivere con precisione gli strani sentimenti che la pellicola evocava: “…In guerra, tutti i soldati sono pazzi; questo bambino-mostro è una prova oggettiva della loro follia, perché è il più pazzo di loro”.
Il primo lungometraggio di Tarkovskij è stato uno dei suoi film di maggior successo commerciale, con 16,7 milioni di biglietti venduti in Urss. All’estero, ha ricevuto il Leone d’Oro a Venezia (ex aequo con “Cronaca familiare” di Valerio Zurlini), il premio principale al San Francisco International Film Festival e più di 15 altri premi in diversi Paesi.
LEGGI ANCHE: I sette film di Tarkovskij che nessuno dovrebbe perdersi
Questa è la storia di due amanti la cui felicità è stata distrutta dalla guerra. Nel 1958, “Quando volano le cicogne” (titolo originale russo: “Летят журавли”; “Letját zhuravlí”, dove a volare sono “le gru” e non “le cicogne”) vinse il premio principale al Festival di Cannes, e subito dopo il direttore della fotografia Sergej Urusevskij e l’attrice Tatjana Samojlova furono invitati a Hollywood. Il film non contiene la realtà sovietica stereotipata, l’immagine di un “popolo potente” alle prese con una guerra terribile, l’eroismo enfatizzato e didascalico caratteristici dei film di quel periodo. Vengono invece mostrate le difficoltà della guerra nelle retrovie e il destino di singole persone con le loro esperienze personali. È un film umano, vivace e toccante con paradossalmente una sorta di lieto fine, e fu una pellicola fondamentale nella fase iniziale del Disgelo di Khrushchev.
LEGGI ANCHE: Sette bellissimi film sovietici e russi che vi faranno piangere
Il grande film epico sulla società russa durante le guerre contro Napoleone, tratto dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj (in russo: “Война и мир”; Vojná i mir”), ha vinto un Oscar e una decina di altri premi internazionali. Questo è il primo “Oscar” di un lungometraggio sovietico e uno dei film più costosi della storia mondiale. Bondarchuk seguì pedissequamente il romanzo di Tolstoj e per questo il film risultò lunghissimo e le riprese si protrassero per sei anni interi. A proposito, “Guerra e Pace” fu criticata proprio per questa eccessiva lunghezza (403 minuti la versione distribuita in Urss; in Italia, dove il film uscì con il titolo “Guerra e pace: Natascia - L’incendio di Mosca”, fu ridotto a 263 minuti) e la lentezza. Ma allo stesso tempo, la grandiosità delle riprese, con scene di massa dove sono state impegnate migliaia di persone, con intere unità militari reclutate come comparse, è impressionante anche per gli standard moderni.
LEGGI ANCHE: Quanti Premi Oscar ha vinto la Russia?
Questa coproduzione sovietico-francese (in russo: “Урга — территория любви”; “Urgá — territorija ljubví”) è nata dall’idea di realizzare un documentario sulle tribù nomadi mongole in Cina, e si è sviluppata in un lungometraggio dalla trama quasi aneddotica: un mongolo della steppa si reca in città per comprare i preservativi, perché per legge non ha diritto ad avere più di tre figli. Ritorna nella steppa natia senza preservativi, ma con un televisore, un berretto e una bicicletta, e va subito a condurre un rituale d’amore.
Gli interpreti dei ruoli principali sono attori dilettanti e c’è un solo attore professionista in tutto il film. Forse per questo il film si è rivelato così sincero: il viaggio di un nomade mongolo nel mondo di una grande città si trasforma in una toccante riflessione sul destino dei popoli nomadi e sulle loro tradizioni. Il film ha vinto il Leone d’Oro a Venezia, il Russian National Nika Award, l’European Film Academy Award per la regia, ed è stato candidato all’Oscar.
Gli eventi di “Sole ingannatore” (titolo originale russo: “Утомлённые солнцем”; “Utomljónnye sólntsem”, ossia “Spossati dal sole”) si svolgono alla vigilia delle repressioni staliniane di massa. È una soleggiata giornata estiva nel 1936. L’intero Paese celebra l’anniversario della costruzione del dirigibile di Stalin e la famiglia di un “vero comunista”, uno dei favoriti di Stalin, la trascorre alla dacia in un idillio assoluto. Finché non si presenta un ospite inaspettato.
Questo è l’unico film in lingua russa sulle Purghe staliniane che ha ricevuto contemporaneamente l’Oscar (al Miglior film straniero) e il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes. Il film non sarà forse rivelatore, come affermano i suoi creatori, ma è pieno del dramma del popolo sovietico. Storia, amore, tragedia, passione, nostalgia, odio di classe: c’è davvero molto in questo dramma.
LEGGI ANCHE: Quattro film di Nikita Mikhalkov che ormai sono dei grandi classici del cinema mondiale
Il debutto di Andrej Zvjagintsev (in russo: “Возвращение”; “Vozvrashchénie”) venne accolto con entusiasmo in Occidente, dove il regista originario di Novosibirsk fu eletto erede di Tarkovskij. Ha ricevuto cinque premi alla Mostra del Cinema di Venezia, tra cui il Leone d’Oro. Si è anche aggiudicato due premi Fipresci, uno a Palm Springs e l’altro a Salonicco.
Questo dramma su due fratelli e l’inaspettato ritorno del padre, che non vedono da così tanto tempo da poter considerare quell’incontro il primo, non parla di una felice riunione di una famiglia separata. Partono per un viaggio psicologicamente quasi insopportabile, ma il perché i ragazzi non lo scopriranno fino all’ultimo momento. I critici hanno definito il film il tanto atteso ritorno del cinema russo all’alto stile, e da quel momento il lavoro del regista è stato seguito dai principali festival del mondo.
LEGGI ANCHE: I cinque grandi film di Andrej Zvjagintsev che dovete assolutamente guardare
Il film completa la grandiosa tetralogia di Sokurov sui tiranni del XX secolo, che comprende i film “Moloch” (1999), “Toro” (2001), “Il Sole” (2005). È la chiave delle prime tre parti: tutti i personaggi principali sono paragonati a Faust, avendo stretto un patto con gli spiriti maligni. Tuttavia, il film “Faust” colpisce per le sue deviazioni dall’immagine classica creata da Goethe.
La narrazione si basa sulla linea amorosa tra Faust e Margarete (Margherita), ma i colpi di scena da manuale vengono scartati mentre il tema faustiano è pieno di nuove variazioni e motivi. Il film è principalmente una storia del declino dell’anima e dei confini dell’umano. La pellicola, girata in tedesco, ha vinto il Leone d’Oro a Venezia, il premio dell’Associazione Cattolica Signis, il Future Film Festival Digital Award e il premio nazionale russo Nika.
LEGGI ANCHE: Cinque film del leggendario regista Aleksandr Sokurov
Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email