Autunno 1880. Tutta San Pietroburgo parla di un evento senza precedenti: una mostra con un solo dipinto. Questa è la prima volta che accade in Russia, e la fila per entrare nell’edificio della Società Imperiale per l’Incoraggiamento delle Arti si allunga su diverse strade vicine.
Tutti vogliono guardare il nuovo quadro “Notte di luna sul Dnepr”. Per averlo, il Granduca Konstantin Romanov ha investito una somma favolosa, pagandolo quando non era ancora stato nemmeno completato. Ma il suo autore, Arkhip Kuindzhi (1842-1910), si spinge oltre con i “trucchi di marketing”: fa chiudere le finestre della sala e mostra il dipinto al buio, dirigendo un singolo raggio di luce elettrica su di esso. L’effetto è travolgente. Il pubblico non credeva che un tale bagliore “fosforico” di luce lunare sulla superficie dell’acqua potesse essere ottenuto con normali colori a olio.
Kuindzhi venne definito imbroglione e accusato di usare dell’illuminazione nascosta per i suoi dipinti. Ma, naturalmente, non c’era alcun trucco. “Era il Dio dell’illusione della luce, e non c’era artista uguale a lui nel realizzare questo miracolo della pittura”, ha detto di lui un altro grande artista russo, Ilja Repin (1844-1930). Questo speciale senso del colore ha inscritto Kuindzhi nella storia dell’arte come uno dei principali sperimentatori del XIX secolo.
Kuindzhi dipinse la più famosa delle sue opere poco dopo essersi separato da Peredvizhniki (gli “Itineranti”; un gruppo di artisti realisti che si opponevano all’accademismo nell’arte). E riuscì a venderlo al Granduca ancor prima di averlo terminato: lo scrittore Ivan Turgenev (1818-1883) restò così entusiasta dell’opera che insisté con l’esponente della casata Romanov affinché la acquistasse. Konstantin la portò persino con sé in viaggio: “Notte di luna sul Dnepr” venne esposto per diversi giorni nella galleria parigina di Charles Sedelmeyer. Questo quadro ha diverse varianti: l’artista le dipinse quando realizzò la portata della propria popolarità.
“Boschetto di betulle” è stato dipinto un anno prima di “Notte di luna sul Dnepr”, ma era già una dimostrazione completa della caratteristica stilistica principale di Kuindzhi: l’“illuminazione forte e ad effetto”. Anche allora, iniziarono a sospettare pubblicamente che usasse alcuni astuti trucchi ottici, e il boschetto fu circondato da un’atmosfera di scandalo.
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Kuindzhi visitava regolarmente la Carelia, andando spesso sull’Isola di Valaam; un luogo popolare tra i pittori di paesaggi di San Pietroburgo. Con questo dipinto iniziò la sua fama di artista serio: fu acquistato dal collezionista e fondatore della Galleria Tretjakov, Pavel Tretjakov. Lo stile dei Peredvizhniki si sente ancora chiaramente in questo quadro: il realismo spinto era allora molto apprezzato dai contemporanei.
L’artista lavorò su questo dipinto per 23 anni. Peraltro, venti di questi anni li trascorse in isolamento volontario: durante questo periodo Kuindzhi non mostrò le sue opere nemmeno a chi gli era vicino. Non si sa con certezza cosa lo abbia fatto “tacere” all’apice della sua fama, ma molti credono che sia stata la stanchezza per il clamore e le continue critiche. La mostra con cui presentò “Serata in Ucraina” e altri tre dipinti segnò la fine di questo ostinato “silenzio”.
Kuindzhi è strettamente associato alla Crimea: ha decine di opere che ritraggono la Penisola russa sul Mar Nero. Fu qui che il futuro artista arrivò da giovane, quando decise di trasformare la sua passione per il disegno in qualcosa di più serio. Fu raccomandato come allievo al famoso pittore di paesaggi marini Ivan Ajvazovskij, che viveva nella località balneare di Feodosia. Il maestro non aveva tempo allora per seguire nuovi allievi, ma dette a Kuindzhi una lettera di raccomandazione. Già artista conosciuto, Kuindzhi dipinse questo “quadro-immersione, quadro-meditazione” intitolato “Mare. Crimea”, dove la costa della Penisola è riprodotta con grandissima ricchezza di toni e sfumature di colore.
Un altro paesaggio della Crimea è dedicato ad Ai-Petri, una catena montuosa vicino a Jalta e uno dei simboli della Penisola. Nel 2019, questo dipinto è stato rubato dalla Galleria Tretjakov proprio nel bel mezzo della giornata, quando c’erano decine di visitatori attorno. Un uomo in abiti da lavoro si avvicinò alla tela, la staccò dal muro, la tirò fuori dalla cornice e se ne andò. Fu questa apparente tranquillità del ladro a trarre in inganno chi gli stava intorno: per qualche tempo tutti credettero che l’uomo fosse un impiegato del museo. Venne arrestato il giorno successivo e il dipinto è stato poi restituito alla galleria.
Questo fu uno dei quattro dipinti che Kuindzhi decise di mostrare dopo la lunga pausa durata quasi vent’anni. Forse questa è l’opera più filosofica e misteriosa del maestro, ed è il suo unico dipinto a tema evangelico. Ma, come in tutti i suoi lavori, non è il soggetto, ma il colore a giocare il ruolo principale. All’artista basta il colore per mostrare l’intera drammaticità della situazione. Strappa la figura di Cristo dall’oscurità della notte con un chiaro di luna molto simile a quello protagonista di “Notte di luna sul Dnepr”.
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Il contrasto vivido tra le nuvole gonfie di pioggia e la pace e la tranquillità del prato trasmettono accuratamente l’atmosfera leggera della quiete dopo la tempesta
I critici d’arte notano che i paesaggi di Kuindzhi evocano nell’osservatore quasi associazioni sonore e sensoriali: che si tratti di un leggero vento mattutino, dell’erba bagnata o dell’aria rarefatta dopo un temporale.
Questa è una delle ultime grandi opere di Kuindzhi. Secondo i critici, l’artista si mostra in questa immagine come un vero adoratore del sole. La tela ha avuto un destino difficile: è stata più volte rivenduta fino a quando non è finita negli Usa. Ora è al Metropolitan Museum di New York.
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