Viktor Pelevin e i miti della nuova Russia

Per creare miti e leggende della nuova Russia, Pelevin mescola i fratelli Strugatskij con Stanislav Lem e li "marina" in Jorge Luis Borges (Foto: RIA Novosti)

Per creare miti e leggende della nuova Russia, Pelevin mescola i fratelli Strugatskij con Stanislav Lem e li "marina" in Jorge Luis Borges (Foto: RIA Novosti)

Lo scrittore, con un'esperienza a cavallo tra due epoche, pre e post-perestrojka, illumina personaggi che abitano contemporaneamente mondi diversi

Viktor Pelevin è un guru per i lettori russi. Il verdetto è ufficiale: la comunità della Rete ha eletto lo scrittore primo intellettuale del Paese.

Pelevin si è onestamente guadagnato il titolo con i suoi libri, che ormai da due decenni adornano la vita di un Paese dalla storia difficile e dall'economia assai complessa.

Pelevin non perde mai di vista il presente, lo pedina seguendo tutte le tortuosità della vita russa. Ma invece di una cronaca storica o di filastrocche sull'attualità, egli crea una metafisica della vita russa, sfruttando un procedimento universale: infila come perline le antiche costruzioni teologiche sulle trame dei suoi libri.   

Tutte le sue opere si basano su un fondamento filosofico comune. Il mondo che ci circonda è una serie di costruzioni artificiali tra le quali siamo condannati a vagare eternamente nella vana ricerca della realtà "grezza", primaria. Tutti questi mondi non sono autentici, ma non si può nemmeno dire che siano falsi, almeno finché c'è qualcuno che vi crede. Ogni singola versione del mondo esiste soltanto nella nostra psiche, e la realtà psichica non conosce menzogna.

Così, il capolavoro di Pelevin, il primo romanzo zen-buddista "Il mignolo di Buddha" (titolo originale "Chapaev i pustota"),  si basa sulla mancata distinzione tra realtà autentica e immaginaria. Addizione e sottrazione partecipano in ugual misura al processo di creazione di mondi immaginari.

La ricetta per creare questi mondi è la seguente: l'autore varia le dimensioni e la struttura del "cerca-visuale", il telaio della finestra dalla quale il suo personaggio guarda il mondo. Tutte le cose più importanti accadono sul "davanzale" della finestra: sul confine tra mondi diversi, perché Viktor Pelevin è un poeta, un filosofo e un autore che descrive la vita quotidiana di una zona di confine.

È uno scrittore che abita i punti di contatto tra le realtà: nei punti in cui le realtà si incontrano nascono vividi effetti artistici; questo perché un'immagine del mondo, sovrapponendosi a un'altra immagine, ne crea una terza distinta dalle prime due.

Scrittore della linea di rottura tra due epoche, Pelevin spesso fa abitare i suoi testi da personaggi che vivono contemporaneamente in due mondi. I funzionari sovietici del racconto "Il principe del Gosplan" vivono al tempo stesso in questo o in quel videogioco. Lumpen, personaggio del racconto "La giornata del conducente di bulldozer", si rivela essere una spia americana; il contadino cinese Chzhuan è un leader del Cremlino; uno studente sovietico si trasforma in lupo mannaro. 

Il confine tra i mondi è inaccessibile, non lo si può valicare, perché questi mondi, ci assicura l'autore-buddista, non sono che una proiezione della nostra coscienza. L'unico modo per passare da una realtà all'altra è cambiare se stessi, subire una metamorfosi. La capacità di cambiare diventa la condizione per sopravvivere in una ridda sfrenata di fantomatiche realtà che si susseguono in maniera arbitraria.

Nel creare le leggende e i miti della nuova Russia, Pelevin ha sommato i fratelli Strugatskij a Stanislav Lem e ha moltiplicato il risultato per Borges. Il generatore di fantasia satirica così realizzato produce a getto continuo i soggetti dei suoi libri velenosi, esilaranti e ricchi di una sconfinata inventiva, che accompagnano la realtà narrata dai quotidiani smascherandola. 

La prosa di Pelevin, però, non si esaurisce mai nei temi sociali. Al di là di tutti i contorcimenti della contemporaneità, si intravede il cielo dell'eternità che tutti i personaggi di Pelevin aspirano a toccare. Le avventure di una coscienza errabonda in cerca della verità, che non può ma deve comunque essere espressa: ecco il soggetto interiore, costante, il soggetto principe di tutte le sue opere. 

Proprio in questo si cela la sua segreta attrattiva. Come molti altri, anche Pelevin vede tutto, sa tutto, non crede a niente, ma non dipinge la realtà a tinte fosche. Invece di far ciò, lo scrittore, questa volta citando Platone, ci assicura che dietro la realtà esteriore, che nel migliore dei casi ci prospetta di "restare imbottigliati in un ingorgo puzzolente su una Porsche rosso fiammante", esiste un'altra realtà. Qualunque essa sia e comunque la si chiami, la speranza in questa realtà è il migliore regalo che l'autore possa fare a quei lettori devoti che, come tutti i personaggi di Pelevin, "sognano qualcosa di prodigioso, qualcosa in grado di cambiare tutto".  

Pelevin si è inserito nella letteratura occidentale e ha avuto successo, senza passare dall'ingresso della slavistica. Viene letto come un autore contemporaneo, e non come un russo, in Inghilterra, America, Francia, e (con un'attenzione particolare) in Giappone.  

Al suo successo non sono stati d'intralcio i realia sovietici, nemmeno ne "Il mignolo di Buddha", di cui in Occidente ben pochi hanno sentito parlare.   

Le valide traduzioni dei suoi nuovi libri (nel titolo di una delle sue opere c'è un gioco di parole in inglese, "Burning Bush") faranno entrare Pelevin, a fianco di Pavich e Murakami, nelle file di quei maestri del realismo fantastico che stanno prendendo dimora stabile nella realtà del XXI secolo.

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