La betulla, uno dei simboli più riconoscibili del paese, è sempre stata usata non solo come legna da ardere, ma anche come materia prima per altri scopi: la linfa veniva utilizzata come antisettico o come succo (qui vi abbiamo raccontato come raccogliere il succo di betulla), la corteccia veniva impiegata per la scrittura e la produzione di scarpe, come i “lapti”, le tradizionali scarpe russe realizzate con la rafia di betulla, che vi abbiamo presentato qui.
Alcune parti della betulla potevano essere anche utilizzate in cucina per la preparazione della kasha, la variante russa del porridge.
Il floema (lo strato più interno della corteccia), veniva impiegato proprio nella preparazione della kasha. La procedura non è complessa: è necessario estrarre il floema di betulla, immergerlo in acqua o latte fino a quando non diventa completamente umido, e farlo bollire fino a quando non diventa spesso e viscido come il porridge. La colazione quotidiana a base di betulla è pronta! Da servire, ovviamente, con un bicchiere di succo di betulla!
Ogni anno in autunno ai contadini veniva ordinato di salare e marinare la carne di manzo, per sfamare la famiglia del padrone di casa in vista dell’inverno. Non potendo essere conservato, il rumine (organo tipico dei ruminanti, proprio del sistema digerente) veniva lasciato ai contadini, che nei secoli si sono sbizzarriti con diverse ricette per servirlo a tavola. È simile alla trippa italiana.
Per essere mangiato, il rumine deve restare immerso in acqua per diverse ore. L’acqua deve essere cambiata regolarmente, per togliere l’odore pungente di questo organo. Quindi viene fatto bollire con delle verdure per circa 5 ore, fino a quando non diventa abbastanza morbido da poter essere forato con una forchetta. Il rumine è ricco di sostanze nutritive: contiene proteine e molte vitamine, oltre a elementi come lo zinco, che migliora il sistema immunitario. Il sapore, ovviamente, è adatto solo per palati poco delicati.
Realizzata a base di segale, la kulaga era simile alla kasha di betulla. Anch’essa, per la sua preparazione, richiede pochissimo sforzo e ben pochi ingredienti: farina di segale, malto di segale e acqua.
Il malto di segale viene messo a bagno in acqua appena bollita per un'ora, poi si aggiunge la farina di segale (il doppio rispetto alla quantità di malto). Quando l’impasto risultante si raffredda e diventa omogeneo, viene messo in una pentola ben chiusa e cotto sul fuoco per diverse ore.
La buona kulaga ha un colore marrone chiaro e assomiglia a un porridge piuttosto spesso, tanto da poterlo tagliare con un coltello. Durante la cottura, la kulaga viene fatta fermentare e il prodotto finale contiene molte sostanze nutritive: è particolarmente ricco di vitamina B, necessaria per un metabolismo sano. I contadini russi usavano questo "super-alimento" come rimedio popolare contro le malattie del tratto gastrointestinale, del cuore, del fegato e le malattie dei reni.
Oltre a essere un pasto sano, la kulaga era un cibo strettamente legato ai rituali, probabilmente presente sulle tavole russe fin dai tempi pagani. Lo stesso si può dire del cosiddetto "sale del giovedì", una particolare spezia nera che poteva essere preparata in un solo momento dell’anno: nella notte prima del Giovedì Santo, quando, secondo la Bibbia, Cristo ha tenuto l’Ultima Cena con gli Apostoli.
Il sale del giovedì era un alimento rituale perché, nei tempi antichi, il sale era molto, molto costoso, e si credeva avesse proprietà tali da proteggere le persone dagli spiriti maligni.
Per preparare il sale del giovedì, si doveva prendere del sale grosso, inumidirlo con acqua e mescolarlo con del pane di segale grattugiato. La massa veniva poi messa in un tessuto umido, poi in una scarpa di betulla (lapti) e infine sepolto nella cenere della stufa e lasciato riposare per 4 ore. Ma l'ingrediente principale era la preghiera: i contadini continuavano a pregare durante l'intero processo. Le preghiere venivano lette anche quando il risultante grumo di sale duro veniva pestato in un mortaio. Infine, veniva benedetto in chiesa.
Il sale del giovedì veniva conservato nel luogo più sacro della casa di un contadino: dietro l’altare con le icone. Era usato per i pasti religiosi e veniva impiegato anche come rimedio “magico”: veniva applicato al corpo in caso di malattie, oppure, diluito, veniva usato come pozione medica per il bestiame e come fertilizzante durante la stagione agricola.
Per la maggior parte della storia russa, i contadini non seppero cosa fosse lo zucchero: era troppo costoso e per questo non veniva usato nelle cucine delle classi meno benestanti. Ma i bambini amano le caramelle, si sa, e i figli dei contadini non facevano eccezione: così i russi inventarono delle caramelle chiamate levashi, a base di frutta.
Questa caramella poteva essere conservata fino a 5 anni, perché era semplicemente a base di succo di frutta naturale. Per preparare il levashi, la frutta (nella maggior parte dei casi si usavano bacche) veniva ridotta in purea. Si aggiungeva del miele per conferirle un tocco di dolcezza, quindi la purea veniva lasciata asciugare al sole, dentro a grandi teglie, o messa in una stufa calda in modo da accelerare il processo di asciugatura.
I sottili fogli di pasta di frutta venivano poi tagliati a strisce e arrotolati come a formare dei piccoli tubi.
Gli storici dell'alimentazione sostengono che il levashi sia la più antica caramella conosciuta nella regione russa. Di recente, questo dolce è “rinato”, sotto forma di pastila (anche se la pastila vera prevede l’aggiunta di albume d’uovo).
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