Negli ultimi decenni le vecchie fabbriche di mattoni rossi riconvertite sono diventate il posto preferito dei bohémien russi, grandi appassionati di arte contemporanea. Grazie sia all’epoca zarista che a quella sovietica, non mancano autentici e suggestivi scenari postindustriali.
I primi luoghi alla moda sono stati aperti a metà degli anni Duemila, come il Centro per l’arte contemporanea Winzavod, che ha scelto come casa l’ex sede della più antica azienda vinicola di Mosca. Poi, nel 2006, è stato aperto il Garage Center for Contemporary Culture in un garage costruttivista degli anni Venti (ha poi traslocato in un ex ristorante sovietico, completamente restaurato dall’archistar Rem Koolhaas).
Da allora, migliaia di hipster di Mosca hanno inondato queste mecca dell’arte, vogliosi di una boccata d’aria fresca data dall’arte contemporanea e dal design.
A proposito, all’inizio degli anni Duemila la parola “arte” è entrata direttamente nella lingua russa con il neologismo “art” (in russo “arte” si traduce con “isskustvo”), e da allora è usata quasi ovunque per sottolineare che un evento, istituzione o oggetto è più creativo di quanto ci si potrebbe aspettare.
L’“art” in questi anni ha continuato a fare passi da gigante attraverso l’enorme territorio della Russia, raggiungendo Perm, con il Perm Museum of Contemporary Art (il Permm), Ekaterinburg, con la sua Biennale Industriale degli Urali, e infine persino l’Estremo Oriente russo.
L’alba culturale dell’Estremo Oriente
Vladivostok ha alcune gallerie d’arte statali: la Galleria di Stato di dipinti del Primorje è stata fondata negli anni Sessanta con opere d’arte portate fin qua dalla Galleria Tretjakov di Mosca, dall’Ermitage di San Pietroburgo (allora, Leningrado) e da altre importanti istituzioni artistiche sovietiche.
La galleria ospita capolavori di Valentin Serov, Marc Chagall, Wassily Kandinsky e altri artisti di fama. Ma, soprattutto, la collezione è una testimonianza della visione sovietica dell’arte. Un’altra galleria, Arka, è stata la principale istituzione di Vladivostok per l’arte contemporanea fino al 2013, quando un nuovo epicentro creativo ha aperto i battenti nella defunta fabbrica tessile Zarjà, di era sovietica.
Il progetto è stato un’iniziativa personale del filantropo Aleksandr Mechetin. Zarjà è un progetto di interesse sociale, ad ingresso gratuito, con biblioteca, conferenze e corsi per bambini. Ma è anche una casa per gli artisti in senso letterale: chiunque può richiedere una residenza, uno studio e una sovvenzione economica (per ulteriori dettagli, consultare qui).
Attualmente, due coppie di artisti finlandesi vivono e lavorano nel residence: i SASHAPASHA sono émigré russi e Lilli Haapala e Juri Jalasmaki sono arrivati a Vladivostok dalla Finlandia in treno.
Il nome Zarjà era un concetto importante durante l’era sovietica, e si traduce come ‘alba’. Era usato come nome per molti oggetti di fabbricazione sovietica: orologi, articoli per la casa, giornali e altro. Significava speranza, la nascita di un nuovo giorno e di una nuova era, quella socialista.
Un pubblico locale ancora acerbo
“La maggior parte del nostro programma espositivo riguarda l’arte contemporanea”, ha dichiarato Alisa Bagdonaite, curatrice di Zarjà. “Ma non possiamo mostrare solo cose ultra moderne perché la gente del posto non ha visto molto altro del genere e non è pronta”.
Una delle prime mostre organizzate da Bagdonaite è stato un progetto femminista. Pensava che sarebbe stato molto simbolico, perché proprio le donne avevano lavorato per decenni nella fabbrica tessile. Ma buttate fuori dalla fabbrica dopo la sua chiusura, le ex lavoratrici non ne hanno voluto sapere di tornare qui e il punto di vista femminista è sembrato interessare solo per un piccolo pubblico. La gente del posto (dalle visioni tradizionali) non è rimasta entusiasta e anzi ha percepito la mostra in modo negativo.
Quindi, Alisa ha deciso di riconsiderare il suo approccio. “Ho capito che la scena di Vladivostok non era pronta; era molto lontana dai principali eventi e fenomeni culturali, che non sono mai stati presentati, spiegati o discussi qui. Le persone non disponevano del contesto giusto per interpretarle.”
Pertanto, Zarjà ha iniziato a organizzare mostre retrospettive. “Siamo stati il primo spazio artistico in Russia a raccontare la storia dell’arte cinetica e abbiamo scelto l’arte d’avanguardia come punto di partenza”, ha affermato Bagdonaite.
Solitamente, Zarjà organizza due mostre contemporaneamente: una, principale, è focalizzata sulla storia e ha un approccio generale e di ricerca dell’argomento scelto, mentre l’altra offre una particolare angolazione o visione del curatore su quel tema. Nel caso dell’arte cinetica, ci sono state due piccole mostre satellite che riflettevano lo sviluppo contemporaneo di questo indirizzo, nell’art actionism incentrato sul sociale e nei nuovi media.
L’anno scorso Zarjà ha esposto il design sovietico, ma allo stesso tempo ha messo in mostra i designer contemporanei. Questo approccio ha prodotto risultati soddisfacenti e ogni anno circa 40 mila persone visitano la galleria, numeri di cui Bagdonaite è felice.
L’identità dell’Estremo Oriente
Uno degli obiettivi principali di Zarjà è quello di riflettere il paesaggio e la vita locale. La Bagdonaite è particolarmente orgogliosa della mostra “Rebels at the Edge: Contemporary Art in Vladivostok, anni Sessanta - 2010”, che ha presentato oltre venti artisti dell’Estremo Oriente e il loro lavoro creativo nel XX secolo. Zarjà ha anche pubblicato un catalogo che è ora disponibile online sia in russo che in inglese.
Recentemente, Zarjà ha aperto una mostra che da tempo la curatrice sognava: “Architecture: Doomed to Optimism”. Questa mostra, che resterà aperta fino al 23 settembre, si concentra sullo sviluppo dei metodi architettonici in Russia, dai primissimi esperimenti del XVIII secolo fino alle avanguardie di Rodchenko e Tatlin.
“Mentre geograficamente siamo in Asia, quando guardiamo in giro vediamo il paesaggio urbano post-sovietico, che è lo spazio in cui viviamo mentalmente”, ha detto Bagdonaite.
Organizzata cronologicamente, la mostra dà uno sguardo più da vicino allo sviluppo urbano di Vladivostok. Un oggetto raro è il piano regolatore della città del XX secolo che mostra come gli architetti non abbiano prestato attenzione ai paesaggi collinari locali, progettando invece costruzioni lineari che avrebbero dovuto concentrarsi sul porto marittimo come centro principale.
In effetti, questa caratteristica ha dato origine a una grande quantità di muri di sostegno per le strutture sulle colline, e oggi queste pareti, spesso abbandonate e rovinate, sono famose “tele” per artisti di strada.
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