Il leader sovietico era noto per la sua riluttanza a uscire dal Paese. Preferiva lavorare e incontrare gli stranieri di alto rango in patria, tanto più che non amava volare in aereo. Eppure, durante la sua gioventù rivoluzionaria, Stalin (che ancora si chiamava Dzhugashvili) aveva viaggiato parecchio. Nell’aprile del 1906 partecipò al IV congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) a Stoccolma, e nel 1907 si recò al V congresso a Londra.
Nel settembre del 1912, il futuro “padre dei popoli” fuggì dalla Siberia, dove scontava l’esilio, e attraversò mezza Europa con documenti falsi per arrivare in Svizzera, dove incontrò Lenin.
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Tuttavia, dopo il 1924, quando prese il timone dello Stato, uscì dal Paese soltanto due volte.
Nel novembre del 1943 si recò alla conferenza di Teheran per incontrare il presidente americano Franklin Roosevelt e il premier britannico Winston Churchill. A bordo di un treno speciale, il leader sovietico partì da Mosca per Baku, dove, suo malgrado, dovette salire su un Douglas C-47 (aereo americano, fornito all’Urss nell’ambito degli aiuti militari), scortato da 27 aerei da caccia, che lo portò, attraverso il mar Caspio, in Iran.
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Il suo secondo e ultimo viaggio all’estero Stalin lo fece nel luglio del 1945 per partecipare all’incontro dei “Tre Grandi” a Potsdam. Per questo, tutto il tratto della ferrovia dal confine dell’Urss fino alla città tedesca fu ricostruito, adottando lo scartamento sovietico (più largo).
Insieme a Stalin, sul suo treno blindato, viaggiavano 70 agenti della sua scorta. Davanti e dietro, c’erano altri due treni con ufficiali e soldati delle truppe dell’Nkvd, mentre lungo tutto il percorso, per garantire la sicurezza, erano stati schierati 17 mila soldati, vale a dire, da 6 a 15 persone per ogni chilometro di strada.
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