Dieci divieti dei tempi dell’Urss: ecco le cose che la maggioranza dei cittadini non poteva fare

Kira Lisitskaya (Foto: Vsevolod Tarasevich/Sputnik; CSA Images/Getty Images)
Lo Stato sovietico cercava di regolamentare ogni aspetto della vita. Certe cose che oggi ci sembrano naturali, o addirittura banali, nella società comunista potevano essere un reato o un lusso che solo in pochi potevano permettersi

1 / Viaggiare all’estero 

Aeroporto sovietico nel 1958

Soltanto pochi sovietici, tra cui diplomatici, marinai, piloti di aerei, potevano recarsi all’estero per motivi di lavoro. Per tutti gli altri, se volevano andare “oltrecortina”, l’impresa o era impossibile, o si trasformava in un’avventura burocratica dagli esiti incerti. Durante le ferie, i sovietici si recavano nelle località di villeggiatura dell’Urss o al massimo degli altri Paesi socialisti. Quanto alla vita in Occidente, ne sapevano o dai film occidentali, pochi, che venivano proiettati, o per sentito dire. 

Se una persona aveva un motivo valido per andare all’estero, doveva predisporre una pila di documenti, presentarsi di fronte ad alcune commissioni, che facevano un’infinità di domande, e, infine, ottenere il nullaosta del comitato distrettuale del partito. Per quanto potesse essere valido il motivo del viaggio, nessuno aveva la garanzia di poter uscire dal Paese. Uno dei documenti interni del partito, che riguardava appunto i turisti, prevedeva che potessero essere autorizzate a recarsi all’estero soltanto persone “con una sufficiente esperienza di vita, politicamente mature, che si comportano in maniera impeccabile e sono in grado, durante la loro permanenza all’estero, di tener alta l’asticella dell’onore e della dignità del cittadino sovietico”.

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2 / Scegliersi da soli il posto di lavoro dopo la laurea 

Ufficio di collocamento per geologi, 1963 - 1964

Nell’Unione Sovietica, da un lato, non era immaginabile la situazione in cui un laureato o un diplomato potessero restare senza lavoro. Dall’altra parte, però, ciò comportava una serie di obblighi. Soltanto chi era “raccomandato” poteva ottenere subito il posto che voleva, corrispondente alla sua specializzazione. Tutti gli altri dovevano accontentarsi della scelta dell’apposita commissione che distribuiva i neolaureati nei posti di lavoro. Per tre anni i giovani dovevano lavorare nelle aziende alle quali venivano assegnati, che potevano trovarsi nella stessa città, ma anche all’altro capo dell’Urss, a migliaia di chilometri dalla casa dei genitori. Rifiutare era impossibile.

3 / Cambiare spesso la residenza 

La milizia sovietica controlla la “propiska”, la necessaria registrazione di residenza sul “passaporto interno”

Un’autentica libertà di circolazione in Urss fu a lungo inesistente. Lo Stato controllava rigidamente gli spostamenti dei cittadini attraverso la “propiska”, il permesso di residenza fissa presso l’indirizzo indicato sul passaporto interno. Una legge del 1960 istituì il reato di mancata registrazione della residenza. Chi restava senza la “propiska” per oltre 3 giorni, era punibile con un anno di reclusione o con una multa equivalente allo stipendio di un mese. 

In tal modo, chi voleva andare a vivere in un luogo diverso da quello in cui era nato, doveva ottenere il permesso che veniva accordato per motivi di studio e di lavoro, o in relazione al servizio militare. Tuttavia, se si restava senza lavoro, il permesso di residenza veniva tolto. 

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4 / Essere disoccupati 

“Tra di voi non ce ne sono di questi?”, mentre i lavoratori seri ridono davanti alla satira contro i “parassiti sociali” (quelli che non lavorano). Manifesto sovietico di propaganda

Il concetto di disoccupazione non s’inquadrava nell’ideologia sovietica. Tutti dovevano lavorare e contribuire allo sviluppo dello Stato sovietico. Nel 1961 nel Codice penale fu introdotto un articolo che puniva il parassitismo sociale (“tunejadstvo”). I destinatari della pena erano le persone che non lavoravano per oltre 4 mesi (escludendo le donne con figli piccoli). I “parassiti” venivano condannati a lavori correttivi (fino a 5 anni) ed esiliati nelle regioni remote. L’articolo del codice penale in questione si applicava non solo nei confronti di coloro che restavano senza lavoro e senza guadagno, ma anche contro persone il cui reddito era considerato “non derivante da lavoro” (tassisti abusivi, artigiani e operai che lavoravano in nero, musicisti, poeti non riconosciuti come tali ecc.).

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5 / Criticare il potere 

“Discussione in cucina”, 1970. Le discussioni politiche nel segreto di casa erano un grande classico dell’epoca sovietica. Lì ci si sentiva al sicuro, anche se c’era sempre la minaccia di un delatore…

Chi, in Urss, non condivideva le decisioni del potere e criticava lo Stato, veniva bollato come “antisovietico”. Soltanto poche persone osavano criticare in pubblico le autorità, ma persino le critiche pronunciate nel corso di una conversazione privata, in casa propria, potevano comportare l’accusa di “propaganda antisovietica” (questo, ovviamente, se qualcuno lo riferiva alle autorità). Le dichiarazioni in chiave antisovietica erano punibili con pene fino a 7 anni.

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6 / Fare compravendita di valuta straniera 

L’interno di un negozio “Berjozka”, dove erano in vendita prodotti altrove introvabili e si poteva pagare solo in valuta estera, 1974

Soltanto lo Stato poteva comprare e vendere la valuta straniera. Per i privati era proibito tenere in casa della valuta, già dal 1937 ciò era considerato un crimine contro lo Stato. Se dopo un viaggio all’estero al cittadino restavano dei soldi stranieri in contanti, era tenuto a scambiarli con appositi certificati, con i quali avrebbe poi potuto pagare nei negozi “Berjozka”. Era una rete di negozi dove i sovietici che lavoravano all’estero (diplomatici, militari, ingegneri, ecc.), e i membri delle loro famiglie, potevano acquistare cose che normalmente nei negozi non si trovavano (jeans americani, impianti stereo giapponesi, stivali da donna “made in Italy”, ecc.).

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7 / Praticare il karatè e il body-building 

Il karatè fu a lungo vietato in Unione Sovietica

Il karatè divenne popolare negli anni Sessanta, quando nelle sale si proiettavano parecchi film contenenti diverse scene di arti marziali. Tuttavia, la versione sovietica era parecchio specifica, perché i primi a dimostrare interesse per le acrobazie orientali furono i criminali, mentre la polizia non era addestrata a questo tipo di combattimenti. 

Il karatè era considerato pericoloso anche sul piano politico. Dopo i disordini in Polonia, dove squadre di karateka erano riusciti a sfondare cordoni di polizia, il Cremlino non voleva che qualcosa di simile potesse accadere anche in Urss. Nel 1981 il karatè fu proibito.

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La stessa sorte toccò anche al bodybuilding, ma in questo caso la motivazione era ideologica: sviluppare i muscoli soltanto per far effetto ed essere “belli”, era un comportamento “antisovietico”. Gli appassionati si rifugiarono negli scantinati ed evitavano incontri con la polizia. Il divieto fu tolto nel 1987. 

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8 / Comprare dei beni immobili 

Nuovi abitanti della città di Naberezhnye Chelny, nella Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Tatara, durante il trasloco. Nel 1969 qui iniziò la costruzione della Kamaz, la più grande fabbrica di autocarri dell’Unione Sovietica e ci fu bisogno di nuova manodopera

Dare un alloggio a ogni lavoratore era una delle regole della politica sovietica. Per avere la casa il cittadino poteva farsi assumere da un’azienda che costruiva alloggi per i propri dipendenti, oppure chiedere allo Stato una casa più grande dopo la nascita del figlio. In quest’ultimo caso il richiedente veniva messo sulla lista d’attesa. Alla fine, praticamente tutti ottenevano la casa, ma tutti erano in “affitto sociale” a tempo indeterminato. 

L’intestatario della casa poteva registrare altre persone come residenti nel suo appartamento, poteva scambiare la sua casa con quella di un altro cittadino (pagando o ricevendo una piccola differenza), ma non poteva venderla, regalarla o lasciarla in eredità. Quasi tutte le case erano proprietà dello Stato. 

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9 / Ascoltare le emittenti straniere 

Stanza di un dormitorio dell’Università di Tartu, nella Repubblica Socialista Sovietica Estone

All’estero c’erano parecchie emittenti di propaganda occidentale che trasmettevano in Unione Sovietica. Le trasmissioni erano non solo in russo, ma anche in lingue di altri popoli dell’Urss. Tuttavia, le “voci nemiche” in Urss non erano gradite. Per contrastarle furono costruiti circa 1400 appositi trasmettitori che creavano interferenze, riuscendo così a “silenziare” fino al 60% delle trasmissioni.

Nei periodi di distensione l’attività di contrasto veniva allentata o le interferenze venivano addirittura disattivate. Così fu, ad esempio, nel 1959, quando il segretario generale del Pcus Nikita Khrushchev si recò negli Stati Uniti. Durante la sua visita, in Urss si poteva ascoltare “Voice of America”.

10 / Acquistare i chewing-gum 

I primi chewing gum prodotti in Unione Sovietica, dopo lunghi anni di divieto

“Se avete inventato il bubblegum, perché non ve ne state a gonfiare le bolle pacificamente in casa vostra, e cercate di diffonderle in tutto il mondo?”, tuonava nel 1947 il giornalista Ilja Erenburg sulle pagine del quotidiano “Cultura e vita”. 

Il chewing-gum era vietato in Urss, in quanto elemento di “influenza nociva dell’Occidente”. Il divieto, però, lo rendeva ancora più desiderabile. Il potere sovietico si arrese dopo la tragedia, accaduta nel 1975 nel palazzo dello sport Sokolniki, a Mosca, quando, dopo una partita di hockey su ghiaccio, i giocatori della squadra canadese cominciarono a lanciare pacchetti di chewing-gum verso le tribune. Nella ressa morirono 21 persone. Nel 1976 la produzione di gomme da masticare iniziò nell’Urss. 

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