Il Granduca Paolo di Russia (Pavel Petrovich Romanov), che sarebbe poi diventato imperatore nel novembre del 1796, dovette rimpiangere la “terribile storia” che raccontò nel corso di una cena a Bruxelles il 29 giugno 1782. Paolo e la sua seconda moglie, Marija Fjodorovna (Sofia Dorotea di Württemberg), stavano allora viaggiando in giro per l’Europa, in incognito, usando i nomi di Conte e Contessa del Nord.
Quella sera, dopo il teatro, la Granduchessa, dicendo di essere stanca, si recò nelle sue stanze, mentre Pavel Petrovich rimase con vari membri dell’alta società. Ormai a notte fonda, i giovani iniziarono a raccontare storie spaventose, di carattere soprannaturale. La baronessa d’Oberkirch, ottima amica della coppia granducale, ricordò poi che anche il granduca, allora ventisettenne, aveva raccontato la sua “storia raccapricciante”. Disse che, passeggiando di notte per Pietroburgo, aveva incontrato un uomo alto, con un impermeabile e un cappello. Il suo viso era coperto e dal suo corpo emanava un freddo terribile. Lo sconosciuto aveva camminato per qualche tempo accanto a Paolo, poi, in risposta alla richiesta di identificarsi, aveva detto: “Chi sono? Povero Pavel! Io sono quello che prende parte al tuo destino e che vuole che tu non sia particolarmente attaccato a questo mondo, perché non ci starai a lungo. Vivi secondo le leggi della giustizia e la tua fine sarà serena. Temi il rimprovero della coscienza; per un’anima nobile non c’è punizione più severa”.
“Sapete cosa significa tutto questo, Sua Altezza?”, gli chiese il principe Charles Joseph de Ligne.
“Ciò significa che morirò in giovane età”, rispose lui
La porta Voskresenskij (della Resurrezione) del Castello Mikhailovskij
Ruffery (CC BY-SA 3.0)L’assassinio dell’imperatore Paolo da parte di cospiratori di palazzo nella notte del 12 marzo 1801 ebbe luogo nel Castello Mikhailovskij (“di San Michele”; noto anche come “Castello degli ingegneri”), che è associato a una delle leggende sui presagi dell’imperatore. Si dice che nel 1800, l’imperatore Paolo avesse visitato un indovino, allora molto celebre: il monaco Abele (Avel) del Monastero di Aleksandr Nevskij. Questi avrebbe risposto alla domanda del sovrano sulla lunghezza della sua vita: “Il numero dei tuoi anni è pari alla somma delle lettere”.
Si ritiene che si riferisse al numero di lettere dell’iscrizione sopra la porta principale del Castello Mikhailovskij, quella della Resurrezione: “Дому твоему подобаетъ святыня господня въ долготу дней”, tratto dal Salmo di David numero 93: “La santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore”. Se si contano i caratteri del testo cirillico sono 47 lettere. Questa profezia è attribuita anche a Ksenija di Pietroburgo, una stolta in Cristo venerata come santa.
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Non ci sono prove documentali, neppure lettere o memorie di quegli anni che suffraghino questa storia. Al momento dell’omicidio, Pavel aveva 46 anni. Al compimento dei 47 mancavano più di sei mesi e mezzo. Altri fatti non tornano. Il monaco Abele, per esempio, nel 1800-1801 non viveva nella Lavra Aleksandr Nevskij, il monastero principale di San Pietroburgo. Nel 1796, sei mesi prima dell’incoronazione di Paolo I, Abele fu interrogato da Aleksandr Makarov, capo della polizia segreta, dopodiché fu rinchiuso nella fortezza di Shlisselburg. Ma non appena Paolo salì al trono, si assicurò che Abele fosse rilasciato e consegnato a Gabriele (Gavriil), metropolita di Novgorod e San Pietroburgo. Nel Monastero di Aleksandr Nevskij, Abele fu tonsurato solo monaco (su sua richiesta).
Il Castello Mikhailovskij (“di San Michele”) a San Pietroburgo
Andrew Shiva (CC BY-SA 4.0)Tuttavia, quasi subito dopo la tonsura, Abele abbandonò la Lavra e si spostò a Mosca, dove, andando in giro a profetizzare, raccoglieva denaro, cosa per cui fu esiliato nel monastero di Valaam nel 1798. Nel marzo del 1800, nella cella di Abele fu trovato un libro, “che gli fu requisito… con dentro un foglietto, scritto in lettere russe, mentre il libro era scritto in una lingua sconosciuta”. Il metropolita Ambrogio di San Pietroburgo scrisse al procuratore generale Oboljaninov. Il procuratore generale riferì la questione allo zar e, probabilmente arrabbiato per il comportamento di Abele, Pavel ordinò che fosse portato a San Pietroburgo e imprigionato nella Fortezza di Pietro e Paolo, cosa che fecero il 26 maggio 1800.
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“A quanto pare, vagabonda soltanto e le sue bugie non significano più nulla; si inventa profezie immaginarie e finti sogni premonitori per racimolare qualcosa”, riferirono dalla fortezza su Abele. Al momento della morte di Paolo I, Abele continuò a essere tenuto prigioniero nel rivellino Alekseevskij della Fortezza di Pietro e Paolo. Sotto Alessandro I, fu trasferito al Monastero di Solovki.
Mikhail Kutuzov
Józef OleszkiewiczL’ultima cena dell’imperatore con la sua cerchia ristretta ebbe luogo la sera dell’11 marzo 1801. Vi partecipò il generale Mikhail Kutuzov, e la storia è raccontata dal suo assistente, il conte Louis Alexandre Andrault de Langéron: “Abbiamo cenato con l’imperatore. Eravamo in 20 al tavolo. L’imperatore era allegro e scherzava molto… Dopo cena, l’imperatore si guardò allo specchio, che aveva un difetto e deformava le facce. Lui rise di questo e ci disse: ‘Guardate che specchio buffo, mi ci vedo con il collo storto’. Mancava un’ora e mezzo alla sua morte”. Ma qual sarebbe qui la “profezia”? È noto che l’arma del delitto fu un oggetto contundente con cui fu stordito, ma poi venne finito strangolandolo con una sciarpa.
A quella cena era presente anche Ivan Matveevich Muraviev-Apostol, tutore dei figli dello zar, Alessandro e Costantino e vicepresidente del Collegio degli Esteri. Ricordò l’ultima conversazione tra Paolo e Kutuzov: “Alla fine, la conversazione tra loro virò sul tema della morte; ‘Andare all’altro mondo non è come cucire una bisaccia’, furono le ultime parole di Paolo I a Kutuzov” (in russo: “На тот свет иттить – не котомки шить”).
L'assassinio dello zar Paolo I di Russia, marzo 1801. Una stampa tratta da "La France et les Français à Travers les Siècles", 1882-1884
Dominio pubblicoAllo scrittore di memorie che riporta quelle parole non sembrò nemmeno un presagio, lo diventò solo a giudizio di uno storico del XIX secolo, Nikolaj Schilder, biografo di Nicola I. La sera dell’11 marzo Paolo entrò nella stanza del futuro Nicola I, suo figlio, che allora aveva cinque anni. Il bambino chiese a suo padre perché si chiamasse Paolo Primo. “Perché prima non c’è stato nessun altro sovrano che si chiamava come me”, gli rispose l’imperatore. “Allora me mi chiameranno Nicola I.” “Se salirai sul trono”, gli fece notare il sovrano, baciò forte suo figlio e lasciò rapidamente le sue stanze.
Henriette Louise de Waldner de Freundstein, Baronnessa d'Oberkirch
Dominio pubblicoMa torniamo alla prima “profezia” raccontata dallo stesso Paolo alla cena di Bruxelles. Con questa storia, il futuro imperatore ha lanciato un leggenda su se stesso che vive ancora oggi: cioè che lui stesso credesse in quanto raccontava. Tuttavia, la stessa baronessa d’Oberkirch scrive nelle sue memorie che Paolo, a una cena ad Amsterdam, le disse: “Vi ho fatto divertire, eh? La cosa più bella della mia storia, è che l’avete presa per vera”.
Quando la baronessa insisté per sapere se Paolo avesse davvero inventato questa “storia solo per spaventarci”, il Granduca le rispose: “Questa non è un’avventura vissuta, capisci, questa è una sciocchezza, una favola, una follia per divertirvi, mica dovevate crederci.” Pavel Petrovich, secondo la baronessa, era arrabbiato con se stesso per aver raccontato questa storia. “Permettetemi, signori, di chiedere a tutti voi di mantenere segreta questa storia, perché sarebbe molto spiacevole se una storia di fantasmi in cui recito un ruolo si diffondesse in tutta Europa”, disse Paolo.
Paolo I
Vladimir BorovikovskijÈ possibile spiegare anche il fatto che la baronessa, come notò in seguito lo storico Kazimierz Waliszewski, “avesse dato tinte tanto drammatiche a questo racconto e gli avesse dato così tanto spazio e peso”. Morì infatti anche lei giovane, a 48 anni, ma due anni dopo Paolo I e scrisse le sue memorie negli ultimi mesi della sua vita, quando era quindi già avvenuta l’uccisione dell’imperatore. Come si vede, la baronessa non ha mantenuto la promessa fatta a Paolo durante la cena di Bruxelles di non raccontare a nessuno quella storia.
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