Come sono stati nutriti i soldati russi nei secoli?

Dominio pubblico; George Muse/russiainphoto.ru
Il vettovagliamento è stato a lungo un punto debole dell’esercito di Mosca, con viveri scarsi che hanno portato a vari problemi nelle truppe, tra cui lo scorbuto

“Vivere a Parigi è brutto, fratello. Non c’è niente da mangiare, e non si trova nemmeno un tozzo di pane di segale!”. Questo è ciò che Pjotr Sheremetev (1799-1838) disse ad Aleksandr Pushkin (1799-1837) al suo ritorno da Parigi, dove aveva prestato servizio diplomatico nel 1827. Ma cosa c’è di così speciale nel pane di segale? Ricco di vitamine e cotto con lievito naturale, è sempre stato un alimento base per qualsiasi russo, compresi i soldati.

Senza pane di segale, l’esercito russo non avrebbe mai potuto combattere bene. Durante la Guerra russo-turca del 1735-1739, i rifornimenti russi non riuscirono ad arrivare in Crimea in tempo e l’esercito dovette provvedere a se stesso sul posto. Christoph von Manstein (1711-1757), un militare prussiano, scrisse: “Ciò che ha indebolito di più i soldati era il fatto che erano abituati a mangiare pane di segale dal gusto acido e qui dovevano mangiare pane azzimo di grano”.

Una dieta basata sulla kama

Grano toloknó

Prima di Pietro il Grande (1672-1725), i militari, ed era così fin dai tempi antichi, dovevano provvedere da soli ai viveri. Dopo che in Moscovia era apparso qualcosa di simile a un esercito regolare, a chi svolgeva il servizio militare veniva assegnato un pezzo di terreno, da cui, ovviamente facendo lavorare i servi, doveva trarre il sostentamento.

Durante le campagne belliche, però, le cose cambiavano. E gli uomini dell’esercito russo prima di Pietro dovevano cacciare, pescare, o acquistare cibo dai mercanti delle carovane che seguivano l’esercito.

La dieta di un soldato russo di quei tempi era semplice e poco ricca di proteine. Pane di segale (cotto nel luogo in cui stazionavano i carriaggi); crauti; cipolle e aglio. Tutte cose non solo nutrienti, ma anche in grado di rafforzare il sistema immunitario. E poi diversi tipi di porridge (kasha): facile da trasportare e veloce da cucinare. I porridge di miglio, d’avena e d’orzo perlato erano il cibo quotidiano a quel tempo.

Pane di segale

Ma quando erano in movimento, i soldati preferivano il toloknó (“толокно”, dal verbo “толочь”; “tolóch”, ossia “pestare”, “macinare”). Si tratta di una miscela di varie farine (orzo, grano, segale e avena) che vengono tostate prima di essere mescolate. In italiano viene di solito indicata come “kama”, anche se a volte in gastronomia si usa la parola finlandese “talkkuna” per indicarla.

Nei bivacchi, subito dopo essersi accampati, la kama veniva messa a cuocere in acqua calda per ottenere un porridge nutriente che andava benissimo con il pesce essiccato o con lo strutto. Il salo (lardo) tritato finemente veniva usato per insaporire quasi tutti i porridge, e anche questo.

La carne secca non era invece sempre disponibile, specialmente nelle stagioni umide dell’anno: i pezzi di carne secca potevano guastarsi molto velocemente con l’umidità. I militari portavano invece con sé funghi secchi e rape durante le lunghe marce. Insomma, tutti dovevano in gran parte provvedere a se stessi. Ovviamente, i soldati cacciavano e pescavano dove e quando potevano.

Pietro il Grande introduce la carne

Porridge di grano saraceno con cipolle e funghi

Senza una fornitura regolare di proteine, l’esercito russo di prima di Pietro il Grande era di fatto mal nutrito. E forse questo fu uno dei motivi delle sue prestazioni belliche piuttosto scarse nel corso del XVII secolo.

Fu lo zar Pietro che, nel 1700, creò per primo la figura di un ufficiale speciale dell’esercito, il “General-proviantmejster”, responsabile dell’approvvigionamento alimentare dell’esercito russo.

Ora, ogni soldato veniva rifornito con due tipi di viveri: il suo cibo e il foraggio per il suo cavallo. Durante le campagne straniere, ai soldati veniva dato però solo foraggio, dando per scontato che si sarebbero nutriti saccheggiando il territorio nemico. Oggi sembra strano, ma l’etica militare del XVIII secolo considerava di default il territorio conquistato come un luogo di saccheggio. 

In patria, invece, la razione giornaliera di cibo di un soldato era composta da: 820 grammi di pane di segale, 410 grammi di manzo, 250 milligrammi di vodka (un bicchiere), 3,27 litri di birra! Inoltre, ogni mese, un soldato riceveva quasi 6 chilogrammi di diversi porridge secchi, oltre a 820 grammi di sale. Più alto era il grado del militare, più cibo gli veniva assegnato: ad esempio, un colonnello aveva diritto a un totale di 50 razioni giornaliere.

Il feldmaresciallo Aleksandr Suvorov condivide un pasto con i suoi soldati

Questo non significa, ovviamente, che i colonnelli ricevessero 20 chili di carne. L’indennità giornaliera veniva distribuita in denaro ai comandanti della compagnia, e le provviste incluse nell’indennità giornaliera potevano essere acquistate dai mercanti che seguivano i carri della salmeria. Nel 1720 fu stabilita una norma fissa: 75 copeche al giorno “per il sale” e 72 copeche “per la carne”. I soldati ricevevano questi soldi insieme al loro stipendio. L’acquisto del cibo e poi la preparazione dello stesso venivano effettuati da cuochi selezionati da ciascuna compagnia (da 100 a 250 uomini) al loro interno. I cuochi viaggiavano con la carovana e precedevano l’esercito per arrivare prima alla fermata successiva prevista nella marcia, e avere il tempo di cucinare il cibo nel nuovo accampamento.

Ma se nella dieta del soldato di Pietro il Grande era finalmente entrata la carne, mancavano ancora molte componenti, verdure in particolare. Durante i digiuni religiosi, la cui durata a quel tempo ammontava a 200 giorni all’anno, la carne veniva sostituita con il pesce.

Pietro aveva molto a cuore la qualità del pane: “Bisogna sempre controllare che sia il pane che la farina non siano ammuffiti o puzzolenti, in modo che nessuna malattia si manifesti nell’esercito”, scrisse Pietro nel suo Statuto militare del 1716. “È necessario poi controllare il [personale dei] forni da campo, in modo che […] non diminuiscano il peso [della farina] definito dalle regole.”

Torna la fame

Crosta di pane di segale

La dieta del soldato dei tempi di Pietro il Grande era di solo circa 3.100 kcal, mentre il fabbisogno nutritivo giornaliero di un uomo di età compresa tra 18 e 40 anni, impegnato in un lavoro fisico pesante, è di 4.200-4.500 kcal. Tuttavia, quella dieta rimase più o meno la stessa per tutto il XVIII secolo.

Durante il periodo di Elisabetta di Russia, il pangrattato essiccato divenne parte della dieta: era leggero e facile da trasportare. Ma durante i lunghi accampamenti e gli assedi della città, i soldati non potevano mantenersi a lungo con il pane, poiché iniziavano ad avere disturbi digestivi: mangiare costantemente solo pane secco danneggia l’epitelio dell’intestino umano e provoca sanguinamenti. La “diarrea da briciole di pane” divenne un problema frequente nell’esercito.

Dopo le guerre napoleoniche, l’alimentazione nell’esercito russo peggiorò ulteriormente. La carne divenne di nuovo una rarità nella dieta del soldato. I soldati venivano nutriti con zuppe (di cavolo, di piselli, di farina d’avena, ecc.) e con i consueti porridge di farina d’avena e orzo. Ma questo non era abbastanza per mantenere sani i soldati. Lo scorbuto, una malattia causata dalla mancanza di vitamina C, si diffuse a macchia d’olio tra il personale militare. Lo storico e medico Aleksandr Puchkovskij ha scritto che, nel 1830, quasi 760 mila soldati erano malati di scorbuto, e oltre 70 mila di loro morirono.

Una delle prime cucine da campo nella guerra russo-turca del 1877-1878

La cattiva alimentazione influenzava negativamente le prestazioni dell’esercito: i russi ebbero momenti difficili con la Rivolta di novembre in Polonia e Lituania nel 1830-1831, così come con la Rivoluzione ungherese del 1848-1849. Nella Guerra di Crimea (1853-1856), i problemi di approvvigionamento furono tra i più pesanti: ancora una volta, proprio come nella Guerra russo-turca del 1735-1739, mancarono i rifornimenti di cibo per sostenere l’esercito russo in Crimea. Durante l’intera campagna di Crimea, frutta e verdura non furono disponibili per l’esercito russo e le risorse locali della Crimea furono rapidamente portate a esaurimento. La cattiva alimentazione fu tra le ragioni principali della sconfitta della Russia contro l’alleanza tra Impero ottomano, Francia, Regno Unito e Regno di Sardegna.

Per combattere la corruzione nel sistema di approvvigionamento dell’esercito, ai tempi di Alessandro II, gli ufficiali dell’esercito tornarono a dare ai soldati un pacchetto alimentare obbligatorio che includeva 913 grammi di farina e 120-130 grammi di porridge al giorno. Non molto, ma a metà del XIX secolo la diaria di pane dei soldati tedeschi o francesi era di soli 750 grammi.

Carne, grassi, verdure e oli non erano inclusi nelle razioni obbligatorie e ai soldati veniva dato del denaro oltre allo stipendio per acquistare i prodotti necessari dai carri del vettovagliamento. Tuttavia, le verdure fresche erano di nuovo scarse: solo piselli e cavoli facevano di solito parte del menù del soldato.

Dopo la Guerra russo-turca del 1877-1878, in cui molti soldati ricevettero ustioni da gelo e si ammalarono durante le campagne invernali, i russi reintrodussero una diaria di alcol di 145 grammi di “pane liquido” (vodka). Con l’aumento del consumo di tè, la bevanda fu introdotta anche nel menù dei soldati: nel 1905 i soldati avevano diritto a 737 grammi di tè all’anno, mentre i soldati inglesi ricevevano 2,5 kg di tè all’anno e i marinai inglesi oltre 3 kg.

L’introduzione dei prodotti in scatola fu lenta nell’esercito russo: nel 1873 durante la Campagna di Khiva, quando le zuppe e la carne in scatola apparvero per la prima volta nelle razioni, i soldati russi non le mangiarono. Ma alla fine del XIX secolo, la carne in scatola divenne la consuetudine per i soldati russi. Le lattine dovevano essere aperte con un coltello o con la baionetta, scaldate sul fuoco e lo stufato veniva mangiato direttamente dalla lattina.

All’inizio della Guerra russo-giapponese del 1904-1905, tutti i reggimenti dell’esercito russo erano dotati di cucine da campo che consentivano di cucinare anche durante le marce, in movimento. Solo in alcune compagnie dell’esercito si cucinava ancora alla vecchia maniera, in pentole e calderoni. All’inizio del XX secolo, l’approvvigionamento alimentare dell’esercito russo ormai non era inferiore a quello degli eserciti europei.


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