Come una famiglia sovietica allevò nel proprio appartamento un leone diventato una star del cinema

Valerij Shustov/Sputnik; Yu. Rakhil, S. Kuleshov/TASS
In una celebre commedia italo-sovietica lo si vede spaventare Ninetto Davoli e altri interpreti per le vie di Leningrado. Ma la storia dei Berberov e del loro “King” si concluse tragicamente

Lev Berberov, insieme a sua moglie Nina e ai due figli, Eva e Roman, vivevano in uno spazioso appartamento di 100 metri quadrati nella Bakù sovietica (oggi è la capitale dell’Azerbaigian indipendente). Lev lavorava come architetto, ma la sua passione di tutta la vita era per gli animali, domestici e selvatici. “In tempi diversi ha allevato gatti, cani, pappagalli, ricci, procioni, serpenti, persino un lupo e un puma, che hanno vissuto con noi nell’appartamento per qualche tempo”, ha raccontato qualche anno fa in un intervista ad “Argumenty i Fakty” sua moglie Nina.

Nell’estate del 1970, Nina e sua figlia stavano passeggiando per lo zoo e videro un “pietoso grumo grigio” in una delle gabbie.

“Mia figlia mi ha detto: “Mamma, guarda, quel cane lì sta morendo”. Le risposi: ‘Figlia mia, questo non è un cane, questo è un cucciolo di leone, il re degli animali. Probabilmente è malato.’ Poi andai a pregare il direttore dello zoo di darci questo sfortunato cucciolo per provare a curarlo”, ha ricordato Nina.

Nina Berberova con il suo

I Berberov trovarono un veterinario che aiutò il cucciolo di leone e lo chiamò “King”, ossia “re” in inglese. Secondo un amico di famiglia, il fotografo Vladimir Alekseev, vennero fatti molti sforzi per salvare il leone.

“Coprivano King con coperte termiche, nutrendolo con il biberon con vari tipi di miscele. All’inizio, le zampe anteriori del cucciolo di leone non funzionavano affatto. Allora si sono alternati a massaggiarle per giorni. A poco a poco, il leone ha iniziato a camminare, ma un po’ di difetto nel camminare gli è rimasto per tutta la vita”, ha ricordato Alekseev.

Il balcone dell’appartamento era recintato con una rete, in modo che King potesse sgranchirsi le zampe, ed era anche portato fuori a passeggiare ogni mattina in un parco locale. Il resto del tempo si muoveva liberamente per l’appartamento. Secondo Nina, in poco tempo fece amicizia con tutti gli altri animali di casa, incluso un cane piccolissimo di nome Chap, con il quale dormiva persino insieme.

“A volte, quando King si annoiava da solo, veniva da noi in camera, saliva sul letto, spingeva me o Lev per terra, si sdraiava sulla schiena con la pancia sollevata e si addormentava con un sonno profondo. La mattina si svegliava con tutti noi, faceva colazione, giocava con i bambini. Loro lo trascinavano per i baffi, lo cavalcavano come un cavallo: con lui si poteva fare qualsiasi cosa, non si offendeva per niente e non diventava mai aggressivo”, ha detto Nina.

King con il figlio di Lev Berberov, Roman

Ai vicini però King non piaceva: di notte venivano spesso svegliati dal suo ruggito e il pelo dal balcone cadeva negli altri appartamenti.

“Torni a casa dal lavoro, e non puoi neanche riposare. Di dormire non se ne parla: il leone ruggisce così forte che i piatti risuonano. A volte si getta contro il muro ruggendo, e con questi urti fa persino cadere l’intonaco. Ma la cosa peggiore sono il fetore e il pelo. Puzza così forte da farmi costantemente ammalare. Il ragazzo che viveva in questo appartamento prima di noi aveva delle allergie. Adesso ha vent’anni, la sua allergia si è trasformata in asma grave”, si lamentava il vicino Aleksandr Krivenko con i giornali all’inizio degli anni Settanta.

A tutte le lamentele, Lev Berberov contrapponeva il fatto che questo era un esperimento unico nel campo dell’addomesticamento degli animali. Il ramo locale del Partito Comunista era soddisfatto di questa giustificazione, e, per ordine diretto del primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Azerbaigian, Heydar Aliyev (che in seguito sarebbe diventato presidente dell’Azerbaigian dal 1993 al 2003, mentre da allora è al potere nel Paese suo figlio İlham), un camion carico di carne gratis raggiungeva quasi ogni giorno la casa dei Berberev, scrive la rivista “Diletant”.

La fama e la carriera cinematografica di King

Nel corso del tempo, quasi ogni giorno, prima i giornalisti azeri e poi quelli di Mosca iniziarono a venire nell’appartamento: tutti volevano vedere il leone seduto a tavola o sdraiato sul letto. Fu persino pubblicata una serie di cartoline fotografiche con King, in cui Roman intesseva le trecce dalla sua criniera, Eva si dondolava su un’altalena mentre il leone la “reggeva” da dietro, o in cui King semplicemente dormiva su un cuscino, con una coperta addosso.

Dalla carta stampata, King arrivò presto al cinema. Nel corto “Devochka, malchik i lev” (ossia: “Bambina, bambino e leone”; 1974) del regista azero Chingiz Ragimov si racconta la sua storia, compresa la sua carriera cinematografica.

Il leone King a tavola con la famiglia Berberov

Nel 1973, King aveva infatti “recitato” nella celeberrima commedia, coproduzione italo-sovietica, “Una matta, matta, matta corsa in Russia” dei registi Franco Prosperi (1926-2004) ed Eldar Rjazanov (1927-2015). Per questo, la famiglia Berberov, insieme a King, si era trasferita prima a Mosca e poi a Leningrado per le riprese.

King si rivelò però un cattivo attore: la famiglia Berberov non lo aveva addestrato in alcun modo, e non eseguiva nemmeno i comandi più semplici. Inoltre, gli attori avevano paura dell’animale “domestico”.

“Il leone non era addestrato, era ignorante e, secondo me, ottuso. […] Si svilupparono rapporti difficili con gli “addestratori”. Con il minimo pretesto e senza motivo [i Berberov] dichiaravano: ‘Il leone è malato, il leone non può, il leone è stanco’. Dopo, poniamo, che King aveva corso per venti metri, dicevano: ‘Il leone è oberato di lavoro e oggi non girerà altro’. Così estorcevano denaro aggiuntivo al produttore del film, che odiava quell’indegno zoo”, raccontò il regista sovietico della commedia, Eldar Rjazanov.

Dopo le riprese, King traslocò a Mosca con i Berberov. Lev entrò di ruolo nella scuola numero 74 e durante le vacanze estive non c’erano lezioni lì. Secondo Nina, un’auto con un altoparlante percorreva ogni giorno le strade vicine, annunciando che l’ingresso all’edificio era vietato.

Tuttavia, tutta l’intellighenzia moscovita andò, presto o tardi, a vedere King, e in un’occasione fu persino portato nel vicino villaggio di Peredelkino in un sanatorio per bambini malati. I bimbi, ovviamente, erano felicissimi, alcuni addirittura gli diedero pacche sulla nuca, lo guardarono dritto negli occhi a pochissima distanza, giocherellarono con la sua coda. Lo stesso giorno venne messo su un autobus e portato a visitare la dacia del famoso scrittore per bambini Jurij Jakovlev. Sul recinto della dacia scrissero “Privet King” (“Ciao King”), e quasi tutti gli abitanti del villaggio vennero a vedere il leone.

King con Eva, la figlia di Lev Berberov

“Mentre i suoi proprietari, insieme ai proprietari della dacia e agli ospiti, banchettavano a tavola e brindavano in suo onore, King giaceva sotto un albero in giardino e giocava con il suo amichetto, il cagnolino Chap. Quel giorno, questo cane era l’unica creatura vivente che capiva il leone e rallegrava la sua orgogliosa solitudine”, riporta il libro di Fjodor Razzakov (1962-) “Rasstreljannye zvjózdy” (ossia: “Stelle fucilate”). Quelli furono gli ultimi giorni di vita per King.

La tragica morte di King

Il 24 luglio 1973, King giocava a pallone nella palestra della scuola con il suo assistente Aleksandr (la storia tace sul fatto se fosse stato assunto dalla famiglia o assegnato loro dalla troupe durante le riprese del film; ndr). Le finestre della sala si affacciavano su un meleto e non erano chiuse. Aleksandr a un certo punto lasciò King da solo, non c’era nessun altro nella palestra: il capofamiglia era andato a fare la spesa e Nina stava preparando la cena.

Uno studente di 18 anni, Vladimir Markov, passò vicino alla scuola, portando a spasso il cane con la sua ragazza. Il cane curioso si infilò attraverso un buco nel recinto della scuola e si ritrovò proprio di fronte alla palestra. Markov saltò oltre il recinto, tirò fuori il cane, lo diede alla ragazza e stava per risalire, ma non ebbe tempo: King saltò fuori dalla palestra attraverso la finestra e attaccò Vladimir da dietro.

La ragazza urlò in modo straziante, allarmando l’intera zona, e i passanti chiamarono la polizia. Il tenente Aleksandr Gurov corse rapidamente sulla scena e vide un leone di 240 chilogrammi seduto tra i cespugli, che premeva a terra Markov, ferito da artigli e denti, e sembrava voler mordere la testa del ragazzo. Gurov sparò all’animale più volte.

King in una scena della celebre commedia italo-sovietica “Una matta, matta, matta corsa in Russia”

“La proprietaria della bestia assassina arrivò per prima sulla scena, poi venne suo marito, e iniziarono a urlarmi contro: ‘Maledetto fascista! Eccola, la realtà sovietica!’. Intanto lì, accanto al loro leone, giaceva un ragazzo in una pozza di sangue. Non prestarono la minima attenzione a questo sfortunato uomo. […] Io rimasi perplesso, non ci capivo più niente. Mi sembrava di aver salvato una persona”, ha ricordato lo stesso Gurov.

Markov rimase in vita, l’incontro ravvicinato con il leone si concluse per lui con un leggero choc e una grande perdita di sangue. Tuttavia, per i Berberov, la morte di King fu una vera tragedia. La famiglia chiese persino che Gurov fosse imprigionato per aver ucciso un leone, poiché erano sicuri che Markov stesso avesse provocato l’attacco della bestia.

“Secondo testimoni oculari, Markov ha iniziato a fare smorfie e a saltare, guardando in faccia e poi voltando le spalle al leone. Per King è stato un comando: il nostro assistente aveva provato a lungo con lui un episodio simile per il film, quando il leone corre dietro a un uomo e lo butta a terra”, così ha raccontato Nina Berberova la sua versione dell’incidente. “Il tenente ha sentito delle urla, è corso alla recinzione, non capendo cosa stesse succedendo, ha sparato a King. Il leone si è immediatamente allontanato dal ragazzo in direzione della finestra. Ma Gurov, a quanto pare, ormai ci aveva preso gusto e ha scaricato l’intero caricatore sul povero King”.

Il leone King con la famiglia Berberov durante una passeggiata in riva al mare, Baku

I tentativi di far incarcerare il poliziotto furono vani: Gurov proseguì la sua carriera. La famiglia seppellì King nella dacia dello scrittore a Peredelkino e tornò a Baku.

“Eravamo tutti molto tristi e piangevamo. Ma il cagnolino Chap è quello che ha sofferto di più.[…] Il veterinario disse che non avrebbe vissuto a lungo, perché aveva una condizione di pre-infarto. In effetti, il giorno dopo Chap morì”, ha raccontato Nina.

King II e l’uccisione di Roman

Ben presto la famiglia prese un secondo cucciolo di leone: secondo Nina, King II fu acquistato e regalato loro da alcuni rappresentanti dell’intellighenzia di Mosca per consolarli della perdita del loro caro leone. Tra i promotori dell’iniziativa ci sarebbero stati Jurij Jakovlev, nonché il famoso attore e bardo Vladimir Vysotskij e l’attore Sergej Obraztsov.

“Il secondo King non era affatto come il primo: il primo lo avevamo salvato dalla morte, e lui ci ringraziava per questo con rispetto e un atteggiamento mite. Il secondo invece pretendeva di essere rispettato, anche se considerava mio marito il ‘capobranco’ e a lui obbediva” ha ricordato Nina.

Nel 1975 сon lui venne girato il film in due puntate “U menjà est lev” (ossia: “Io ho un leone”) del regista Konstantin Bromberg (1939-2020), e nel 1977 il film musicale per bambini “Lev ushjól iz doma” (ossia “Il leone se n’è andato di casa”) del regista azero Rasim Ismajlov.

Nel 1978, Lev Berberov morì di infarto a 60 anni e Nina rimase da sola in un appartamento con due bambini, un leone e altri animali, tra cui il puma Lelja. Secondo lei, King II non mostrava aggressività verso di lei né nei confronti dei bambini, neppure dopo la morte del marito. 

La famiglia Berberov durante una passeggiata con il loro King II

L’idillio durò fino al 24 novembre 1980, quando Nina entrando nell’appartamento dopo il lavoro, sentì odore di fumo e vide Lelja, il puma, rannicchiata nell’angolo della stanza, King II ringhiava e caricava di continuo la rete del balcone. Un vicino dava fuoco e lanciava pezzi di plastica in fiamme al leone. Nina cacciò via il vicino, dette da mangiare a suo figlio, poi portò la carne a King II, visibilmente nervoso. All’improvviso si comportò in modo imprevisto: saltò sul soppalco, e da lì si lanciò e attaccò Nina, facendola cadere sulla schiena e graffiandole la testa con la zampa.

“Roman balzò in piedi, cercò di scappare, ma King II lo raggiunse con un balzo e lo ferì gravissimamente: gli strappò lo scalpo e gli ruppe le vertebre cervicali. Io persi conoscenza. Mi sono svegliata solo quando sono iniziati gli spari. La milizia, chiamata dai vicini è salita sul tetto da tutti i lati e ha iniziato a sparare”, ha ricordato Nina. Il puma Lelja in quel momento scappò in strada, e anche lei fu uccisa dagli agenti.

Eva Berberova con il puma Lelja, 1979

Secondo il giornalista Vasilij Peskov, nell’appartamento c’era un odore terribile, e la sporcizia era ovunque.

“Un ragazzo giaceva immobile in una vasca da bagno in una pozza di sangue. Una donna ferita era seduta sul pavimento accanto a lei. La testa era senza scalpo e aveva molte ferite sul corpo. ‘Salvate mio figlio…’, fece in tempo a dire, e svenne di nuovo. [.…] Mai in vita mia avevo visto una situazione così di degrado: il fetore era insopportabile, e tutto era a brandelli. […] Il tenente colonnello Dzhangirov, anche lui scioccato dalle condizioni dell’appartamento, ha esclamato: ‘Altro che un leone! Qui anche un topo si sarebbe ribellato!’”, scrisse Peskov.

Una scena del film “Il leone se n’è andato di casa”

Roman Berberov morì in ospedale il giorno dopo, senza mai riprendere conoscenza. A Nina Berberova rimase la figlia e un amico, che in seguito sposò. Dopo l’incidente smise di essere coinvolta nell’allevamento di animali selvatici. Non ha mai potuto perdonare a se stessa la morte del suo figlio quattordicenne. È scomparsa nel 2018.


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