Come la Chiesa Ortodossa Russa aiutò l’Armata Rossa a sconfiggere i nazisti

Maks Alpert/Sputnik
Nonostante anni di politiche antireligiose da parte del potere sovietico, non appena scoppiò il conflitto, le gerarchie ecclesiastiche divennero i più strenui alleati dello Stato comunista e organizzarono addirittura collette per donare carri armati e caccia all’esercito e all’aviazione

All’inizio della Seconda guerra mondiale, nonostante la brutale politica antireligiosa perseguita dallo Stato nei decenni precedenti, la Chiesa Ortodossa Russa esisteva ancora in Urss. Vivendo una divisione interna, spogliata della sua precedente influenza, lottava per sopravvivere. Anche la cooperazione con il regime sovietico non garantiva al clero una sicurezza e una vita tranquilla: le chiese venivano spesso chiuse e i sacerdoti erano non di rado arrestati e inviati nei campi di lavoro.

Tuttavia, quando le truppe tedesche invasero l’Urss nel giugno del 1941, la Chiesa Ortodossa Russa si schierò immediatamente con lo Stato sovietico nella sua guerra contro i nazisti. Non limitandosi al solo sostegno morale, i sacerdoti furono attivamente coinvolti nella lotta contro il nemico al fronte e alle retrovie.

Un aiuto al fronte

Già il 22 giugno 1941, il giorno dell’attacco della Germania nazista all’Unione Sovietica, l’allora primate della Chiesa Ortodossa Russa, Sergio di Mosca (in russo: Sergij; al secolo Ivan Starogorodskij; 1867-1944), locum tenens (la sede era vacante dal 1925) del Patriarca di Mosca, rivolse di propria iniziativa un appello agli abitanti ortodossi del paese. In particolare, disse: “Questa non è la prima volta che il popolo russo deve sopportare tali prove. Con l’aiuto di Dio, anche questa volta, ridurrà in polvere la forza nemica fascista… La Chiesa di Cristo benedice tutti i cristiani ortodossi affinché difendano i sacri confini della nostra Patria”.

Il clero non solo motivò i cittadini a combattere i tedeschi attraverso infuocati sermoni, ma avviò anche la raccolta di fondi per le esigenze della Difesa, gli aiuti ai soldati dell’Armata Rossa, ai malati e ai feriti. Inoltre la Chiesa aiutò le famiglie dei militari uccisi al fronte e gli orfani che avevano perso tutti i parenti a causa della guerra. Chiese e monasteri organizzarono anche ospedali e punti di medicazione.

Nel 1943, il metropolita Sergio si rivolse a Stalin con la proposta di aprire un conto speciale preso la Banca Statale dove raccogliere donazioni per costruire veicoli blindati per l’Armata Rossa. Stalin dette il suo consenso, inviandogli in cambio una lettera di ringraziamento.

Di conseguenza, grazie a questa iniziativa della Chiesa Ortodossa Russa, venne creata la colonna di carri armati “Dmitrij Donskój” (dal nome del principe di Mosca che aveva sconfitto i mongoli sul campo di battaglia di Kulikovo nel 1380). Il 7 marzo 1944, 19 carri armati T-34-85 e 21 carri armati lanciafiamme OT-34 furono solennemente consegnati dalla Chiesa alle truppe sovietiche nei pressi del villaggio di Gorelki, nella regione di Tula, e furono successivamente distribuiti tra le divisioni. Uno dei pochi carri armati sopravvissuti si trova oggi sul territorio del Monastero Donskoj di Mosca.

Anche la squadriglia aerea “Za ródinu“ (“Per la patria”) venne creata con le donazioni dei fedeli, in questo caso quelli di Novosibirsk. In onore del principe di Novgorod Aleksandr Nevskij, che nel XIII secolo aveva difeso i confini nord-occidentali della Russia dai crociati tedeschi, prese invece il nome un altro squadrone, anch’esso messo in piedi con l’aiuto della Chiesa Ortodossa Russa.

Molti religiosi, appena liberati dai campi di prigionia, furono richiamati al fronte, dove combatterono nelle file dell’Armata Rossa. Altri parteciparono al conflitto scavando trincee o organizzando la difesa aerea nelle retrovie. A decine di loro vennero assegnate le medaglie “Per la difesa di Leningrado”, “Per la difesa di Mosca” e “Per il valoroso lavoro durante la guerra”.

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Dietro le linee nemiche

Aprendo in modo dimostrativo le chiese, i tedeschi crearono l’apparenza della restaurazione della vita religiosa nei territori da loro occupati dell’Unione Sovietica. Tuttavia, solo una piccola parte del clero ortodosso passò dalla loro parte, mentre la maggioranza si unì al movimento della Resistenza partigiana.

“Fate sì che i partigiani locali siano per voi non solo un esempio, ma anche un soggetto di incessante cura. Ricordate che qualsiasi servizio reso ai partigiani è un merito per la Patria e un passo in più verso la nostra liberazione dalla prigionia fascista”, disse il metropolita Sergio rivolgendosi al clero delle zone rimaste dietro le linee nemiche. 

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I sacerdoti, nelle loro prediche, invitavano i residenti a opporsi ai nazisti, si rifiutavano di officiare servizi religiosi in onore dell’esercito tedesco, raccoglievano informazioni di intelligence per i partigiani, fornivano loro cibo, vestiti e alloggio. Padre Fjodor Puzanov fu in grado di raccogliere denaro e oggetti di valore per mezzo milione di rubli nella regione occupata di Pskov e di inviarli per la costruzione dei carri armati della colonna “Dmitrij Donskoj”.

Padre Fjodor Puzanov

I più arditi tra i sacerdoti si unirono addirittura ai distaccamenti partigiani. Lì non solo dicevano messe, confessavano e davano la comunione a chi combatteva, ma parteciparono anche a operazioni di sabotaggio e scontri militari. Molti di loro sono stati successivamente premiati con la medaglia al “Partigiano della Grande Guerra Patriottica”.

I tedeschi punivano severamente il clero ortodosso per gli aiuti dati ai partigiani in clandestinità. Nella diocesi di Polesje, nel territorio della Bielorussia, più della metà di tutti i sacerdoti vennero uccisi. Padre Nikolaj Pyzhevich, rettore della chiesa di Stare Selo, nella regione di Rivne, in Ucraina, venne arso vivo nella sua casa insieme alla sua famiglia per aver dato rifugio a partigiani e soldati dell’Armata Rossa gravemente feriti.

La riconciliazione

Fin dai primi giorni della guerra, il governo sovietico mostrò grande apprezzamento per il contributo della Chiesa ortodossa russa alla lotta contro il nemico. Dal luglio 1941, materiale positivo sulla vita religiosa nell’Unione Sovietica iniziò a essere pubblicato sulle pagine dei giornali sovietici.

Il Patriarca Sergio di Mosca

Stalin andò incontro ai bisogni della Chiesa Ortodossa Russa non solo per l’impulso patriottico mostrato da essa. Era importante per lui resistere alla politica tedesca di attirare il clero ortodosso al suo fianco per trasformarlo in una “quinta colonna”. Inoltre, le buone relazioni tra lo Stato e la Chiesa facilitarono notevolmente l’instaurazione di una cooperazione con le potenze occidentali, le cui opinioni pubbliche erano da tempo preoccupate per la politica religiosa dell’Urss.

Il 4 settembre 1943 si svolse uno storico incontro tra Stalin e il metropolita Sergio, che per molti versi cambiò la vita della Chiesa: le autorità politiche dettero alla Chiesa il permesso di riunire un concilio per eleggere il Patriarca. Dal 1925, anno della morte di Tikhon, si erano susseguiti solo reggenti (“locum tenens”): Pietro di Kruticy, giustiziato nel 1937, e appunto Sergio di Mosca. Fu proprio lui a essere eletto Patriarca di Mosca e tutte le Russie il 12 settembre 1943, anche se morì pochi mea dopo, a seguito di un ictus, il 15 maggio 1944. Furono poi riaperte istituzioni educative ecclesiastiche, iniziò la pubblicazione della letteratura religiosa, venne istituito il Consiglio per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa, senza il cui consenso le autorità locali non potevano chiudere le chiese. Nonostante il fatto che la vita religiosa continuasse a rimanere sotto lo stretto controllo dello Stato, questi furono passi da gigante per la Chiesa Ortodossa Russa.

Una vivida dimostrazione della gratitudine che il governo sovietico provava nei confronti della Chiesa per i suoi meriti fu il fatto che il Patriarca Alessio I e le più alte cariche della Chiesa furono invitati alla Parata della Vittoria sulla Piazza Rossa, il 24 giugno 1945, come ospiti d’onore.


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