“In epoca sovietica, una persona senza ‘propìska’ era considerata alla stregua di un barbone, con tutte le conseguenze che ne derivavano”, ha detto al quotidiano “Kommersant” Sergej Mironov (1953-), un politico russo. La “propiska” era “l’autorizzazione di residenza”. “Quando avevo 17 anni, ero registrato in un appartamento di Pushkin, poco fuori Leningrado, con mia madre, mio padre e mia sorella. Avendo deciso che era l’ora di iniziare la mia vita da adulto e di andare in Siberia al seguito di alcune spedizioni geologiche, dissi a mia madre che volevo farmi cancellare la ‘propiska’ in quell’appartamento. E lei, essendo saggia, rispose: ‘Quando ti sarai sistemato là, allora lo faremo’. Tre settimane dopo, affamato e senza soldi, tornai indietro, e sono ancora oggi grato alla mamma che non mi abbia permesso di togliere la residenza, o probabilmente sarei finito male”.
In epoca sovietica, non si poteva stare in un posto senza avere la “propiska”, che era una sorta di permesso di soggiorno interno permanente, che aveva la forma di un timbro sul passaporto. Attualmente nella Federazione Russa, non ci sono permessi di soggiorno per i cittadini russi, ma solo la registrazione di residenza (anche se viene ancora definita “propiska”). Mantiene l’aspetto di un timbro sul passaporto (il “passaporto interno”, usato come carta d’identità) e riporta l’indirizzo corrente della persona. Quando si trasferiscono da un luogo di residenza all’altro, i cittadini russi sono tenuti a registrare la loro nuova residenza entro tre mesi. Non tutti, però, rispettano la regola, ed è una domanda comune nelle istituzioni governative o quando si fanno acquisti online: “Questo è il suo indirizzo di residenza [propiska] o il domicilio effettivo?”.
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In epoca sovietica, si dovevano invece informare le autorità del proprio trasferimento entro tre giorni, non di più. E questo valeva anche quando si andava al mare in vacanza.
La servitù della gleba è proseguita fino agli anni Ottanta?
Dal 1960, in Unione Sovietica vivere per più di tre giorni senza la propiska era un reato, punito con un anno di detenzione o con la multa di 100 rubli (l’equivalente dello stipendio mensile di un ingegnere, all’epoca). Tuttavia, ancora nel 1967, i dati ufficiali mostrano che il 37% dei cittadini sovietici non aveva il passaporto interno. Perché? Perché secondo le leggi dell’epoca, i passaporti venivano dati solo alle persone che vivevano in città e negli insediamenti rurali di tipo urbano.
I cittadini della campagna erano lasciati senza passaporti per “contenere la crescita della popolazione urbana”. La situazione causava molteplici disagi alla popolazione rurale. Avevano problemi con il lavoro, il matrimonio, l’iscrizione all’università e alle scuole tecniche, anche con la ricezione e l’invio di lettere e pacchi per posta! E prima di tutto, non potevano viaggiare per il Paese, anche perché, come abbiamo detto sopra, vivere in Urss senza una propiska era un reato. Di conseguenza, la maggior parte dei cittadini di campagna doveva semplicemente rimanere dov’era nata, lavorando nei kolkhoz, e non si poteva muovere legalmente. Qualcosa, insomma, che ricorda il modo in cui erano trattati gli abitanti dei villaggi durante la servitù della gleba, abolita nel 1861.
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Nel 1974, il governo sovietico decise finalmente di distribuire i passaporti a tutte le categorie di cittadini. Il processo, tuttavia, iniziò nel 1976 e fu completato solo all’inizio degli anni Ottanta. Ma anche con i passaporti, i sovietici erano limitati a un determinato luogo di residenza. Vediamo come ha funzionava la propiska.
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Vietare i passaporti per introdurli di nuovo
Nell’Impero russo, i passaporti (interni) furono introdotti nel XVIII secolo. Dal 1724, i documenti chiamati “passaporti” furono distribuiti ai contadini che possedevano abilità nel campo dell’edilizia e venivano chiamati a San Pietroburgo o in altre città per partecipare ai cantieri di costruzione. Anche i contadini che lasciavano il loro luogo di residenza per lavorare in altre parti del Paese dovevano avere passaporti con la descrizione del loro aspetto (non essendoci allora le fotografie). Nel 1803, i passaporti per i contadini furono sostituiti con “biglietti di indirizzo”, rilasciati dalla polizia. Con questi documenti, il ministero degli Interni controllava i movimenti dei contadini in tutto il Paese e sovrintendeva al loro eventuale ritorno ai rispettivi proprietari terrieri.
Nel 1903 Lenin scrisse: “I socialdemocratici chiedono completa libertà di movimento e commercio per le persone e di distruggere i passaporti… Il muzhìk russo è ancora così schiavo dei funzionari statali che non può muoversi liberamente in città, né verso nuove terre. Non è questa servitù? Non è questa un’oppressione del popolo? “
Naturalmente, subito dopo che i bolscevichi presero il potere, bandirono il sistema dei passaporti zaristi, ma introdussero i “registri del lavoro” per controllare la popolazione e dare la caccia a coloro che non lavoravano. Nel 1925, fu introdotta per la prima volta la nozione di “propiska:” le carte d’identità dei cittadini sovietici erano timbrate con il loro luogo di residenza permanente. Nel 1932, sotto Stalin, il sistema del passaporto fu reintrodotto, con la propiska come una caratteristica importante che consentiva a un cittadino di accedere ai servizi statali, inclusa l’assistenza medica, nel luogo di residenza. Come abbiamo accennato prima, quasi tutti i contadini sovietici non avevano passaporti negli anni Trenta. Fino agli anni Ottanta, gli abitanti delle campagne dovevano chiedere un permesso speciale per lasciare il loro villaggio e andare a studiare o lavorare in città.
Un divorzio per amore di un appartamento
Poiché formalmente non esisteva la proprietà privata in Urss, gli appartamenti in cui vivevano i cittadini appartenevano in realtà allo Stato, che li “distribuiva” gratuitamente alla popolazione. Le autorità affermavano che la propiska era fondamentale per controllare la densità della popolazione e il rispetto delle norme sanitarie. In realtà, in assenza di atti di proprietà, la propiska era l’unico documento (un timbro sul passaporto) che convalidava il fatto di aver diritto a vivere in un appartamento. Se perdevi la tua propiska, perdevi il tetto sopra la testa!
Alla Dovlatova, un’attrice russa, ha raccontato a “Kommersant” questa storia: “Dopo il matrimonio, mia madre andò a vivere con mio padre, registrandosi nella stanza di lui in una kommunalka. Due anni dopo, i genitori di mia madre, anche loro residenti in una stanza in una kommunalka, ottennero di potersi trasferire in un appartamento tutto loro, e volevano lasciare la loro stanza nella kommunalka a mia madre, ma ricevettero il no dalle autorità. ‘Vostra figlia è già stata autorizzata a vivere con suo marito! Lo Stato riprenderà indietro la stanza per riassegnarla’. Per evitarlo, i miei genitori divorziarono, dopodiché mia madre si registrò nella stanza nella kommunalka che era stata dei nonni. E sei mesi dopo, i miei genitori si sposarono di nuovo”.
Ovviamente, la propiska nelle grandi città era più difficile da ottenere, specialmente a Mosca. Molte persone facevano di tutto per averla, e ovviamente c’erano “matrimoni di convenienza” che spesso portavano a grossi inconvenienti quando si scioglievano. Ma anche nei matrimoni “reali” un uomo o una donna di città come San Pietroburgo o Mosca dovevano registrare i loro coniugi di provincia nei loro appartamenti. Questi di solito non avevano problemi a rimanere nella metropoli, anche se i matrimoni finivano con il divorzio.
Nel 1990, il Comitato per la supervisione costituzionale dell’Urss stabilì che “la legge sulla propiska, che obbliga i cittadini a ottenere il permesso di risiedere in luoghi sul territorio dell’Urss, limita il diritto dei cittadini alla libertà di movimento e alla libertà di scelta del luogo di residenza. Queste restrizioni […] devono essere rimosse dalla legislazione”. Tuttavia, per la maggior parte degli anni Novanta e degli anni Zero del Duemila, la propiska rimase un grosso problema. A Mosca e a San Pietroburgo c’erano persino agenzie matrimoniali semi-legali che potevano trovare un marito o una moglie fittizia nata a Mosca con una propiska di Mosca, per registrare i clienti nella capitale. Attualmente, vivere senza registrazione di residenza può solo comportare una multa compresa tra 2 e 3 mila rubli (22-33 euro), e il processo di registrazione è diventato molto più agile rispetto al periodo sovietico.
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