“Hijo de puta!”. Così Fidel Castro reagì, nell’ottobre del 1962, alla notizia che Nikita Khrushchev, segretario generale del Comitato centrale del Pcus, nel bel mezzo della Crisi dei missili di Cuba (evento storico noto in russo come “Karibskij krizis”; la “Crisi dei Caraibi”), aveva deciso di ritirare i missili balistici a medio raggio che dovevano essere dispiegati a Cuba, in cambio della promessa degli Stati Uniti di non invadere l’isola e di togliere i missili puntati contro l’Urss piazzati in Turchia. Almeno questo è quanto riportato sul sito dell’Archivio di Stato della Regione di Murmansk.
A Castro non piaceva il fatto che Khrushchev avesse deciso di fare concessioni agli americani a sua insaputa, e in quei giorni a Cuba si diffuse lo slogan “Nikita, mariquita, lo que se dá no se quita!”; “Nikita, pappamolla, quello che si regala non si riprende indietro!”.
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Khrushchev non intendeva litigare con Fidel e nel gennaio 1963 inviò una lettera al leader cubano, nella quale giustificò la decisione di rimuovere i missili “esclusivamente per motivi di sicurezza internazionale”, e lo invitò a visitare l’Unione Sovietica.
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Per portare Castro in Russia, si decise di inviare un aereo Tupolev Tu-114D all’Avana attraverso Murmansk, una delle città russe dell’estremo Nord, da cui fin dall’inizio di quell’anno c’era un volo regolare per Cuba, lungo la tratta artica, dal nord della Finlandia e della Norvegia, via Reykjavík e il sud della Groenlandia, New York e Miami fino a Varadero. Per ragioni sconosciute, Fidel non volle però volare con questo aereo, ma preferì arrivare in Urss a bordo del normale velivolo di linea dell’Aeroflot.
“Il nostro Tu-114”, raccontò poi l’ambasciatore dell’Urss a Cuba, Aleksandr Alekseev, “venne portato nella parte più lontana dell’aeroporto dell’Avana, ufficialmente per dei problemi tecnici, e di notte Fidel con un gruppo di 20 uomini che lo accompagnavano, salì a bordo dell’aereo di linea, e non dalla scala (cospirazione!), ma da una scaletta attraverso il portello del bagagliaio. Quando Fidel annunciò ai suoi, già sull’aereo, lo scopo del viaggio, e che sarebbero andati in Urss via Murmansk, e non in un’altra città cubana come tutti pensavano, iniziò una gioia sfrenata, accompagnata dalla preoccupazione per il fatto che praticamente nessuno aveva portato con sé vestiti pesanti”.
Il volo, secondo il sito web dell’archivio, fu lungo. Castro giocò a scacchi, parlò, lesse, si provò un cappello caldo e chiese di sapere il risultato dell’incontro tra le squadre di baseball degli Stati Uniti e di Cuba, che si teneva in Brasile ai Giochi Panamericani. L’operatore radio di volo, Aleksandr Anikin, lo chiese a Mosca, e da lì comunicarono che i cubani avevano vinto, al che Fidel disse: “Lo sapevo…”. Quasi tutti i membri della delegazione non fecero altro che fumare per tutto il tempo sigari cubani, e dopo qualche ora di viaggio c’era ormai a bordo un fumo denso che si tagliava con il coltello, tanto che il Comandante scherzò con i piloti: “Su, aprite un po’ i portelloni per cambiare aria!”.
Intanto, a Murmansk erano in pieno svolgimento i preparativi per l’arrivo di Castro. Si cercò di mantenere segreto il suo arrivo, ma il passaparola fece il suo lavoro.
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“I muri di cinta non erano dipinti in città da decenni, ma ecco che decine di imbianchini apparvero ad abbellire tutto. Visto che c’erano ovunque cumuli di neve, recinzioni e muri furono dipinti fino a dove iniziava la neve. L’effetto bizzarro si sarebbe visto solo con il disgelo. Le bandiere rosse erano appese ovunque. L’orchestra dei vigili del fuoco di Murmansk si esercitò segretamente con l’inno cubano”, ha ricordato Nikolaj Leonov, un ufficiale del Kgb.
L’incontro con i russi e la visita al porto di Rybnyj
Il 27 aprile 1963, l’aereo atterrò verso le tre del mattino alla base aerea “Olenja”, vicino a Olenegorsk.
“Gli applausi sono scrosciati, comprendo persino il suono dell’orchestra. Raffiche di vento facevano garrire le bandiere di Stato dell’Unione Sovietica e della Repubblica di Cuba fissate insieme. E poi sulla passerella è apparso un uomo alto, energico, barbuto, di cui tutto il mondo conosce l’aspetto coraggioso”, scrisse l’inviato speciale della “Pravda”. Fidel scese dall’aereo con indosso un berretto di pelliccia e una giacca cachi, ascoltò gli inni di Cuba e dell’Urss, e salì su un’auto che portò la delegazione su un treno speciale per Murmansk.
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A Murmansk, Fidel Castro arrivò alle dieci del mattino. In questo momento, decine di migliaia di residenti locali già riempivano l’intera piazza della stazione e le strade vicine, gli scolari erano usciti dalle scuole e gli operai avevano lasciato le fabbriche per vedere il leader cubano.
“La gente era sui tetti, arrampicata sui pali, tutti salutavano i cubani con grande clamore. Alcuni avevano persino le lacrime agli occhi. Tutti gridavano slogan per Cuba e il suo leader, tutti scandivano ‘Viva Cuba!’”, una residente di Petrozavodsk, Alena Alatalo, legge una vecchia lettera di suo padre, che aveva assistito all’arrivo di Castro. Secondo la sua descrizione, Fidel aveva “occhi stanchi ma felici, era molto modesto ed era piaciuto a tutti”.
“Qui c’è una temperatura a cui non siamo abituati nel nostro Paese; fa davvero freddo. Ma c’è calore nei vostri cuori. E questo calore lo sentiamo noi e tutti i cubani che sono venuti nella vostra terra”, disse Fidel nel suo discorso di benvenuto.
Dopo l’incontro, Castro andò alla dacia locale di Khrushchev, che fu trasformata nella sua residenza temporanea per questo viaggio. Fidel si rallegrò della neve: la lanciò in aria, se la tirò addosso, la assaporò e camminò tra gli alti cumuli, affondando quasi fino alla cintura. Provò anche a sciare, ma cadeva in continuazione.
Poi Castro visitò il rompighiaccio “Lenin”, il porto peschereccio di Murmansk e un impianto di lavorazione del pesce. Nello stabilimento, mangiò uno shashlyk di pesce lupo, e assaggiò altri tipi di pesce affumicato a freddo, e vari piatti. Soprattutto gli piacquero i pelmeni ripieni di pesce. Verso la fine, per le foto di rito, gli dettero anche un pesce così grosso che riusciva a malapena a reggerlo.
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“Quando Castro ha lasciato lo stabilimento di lavorazione del pesce, molte altre persone lo stavano aspettando. C’erano un mucchio di barili sul molo. La gente ci stava sopra, seduta o in piedi. Delle ragazze hanno iniziato a chiedergli insistentemente di farsi una foto insieme. Castro è salito rapidamente su un barile e tutti sono stati fotografati in gruppo, per ricordo”, scriveva in quella vecchia lettera il padre di Alena Alatalo.
La visita alla Flotta del Nord
La mattina del 28 aprile, Fidel Castro andò a vedere la flotta sovietica del Nord e salì a bordo di un cacciatorpediniere. Per tenere al caldo il leader cubano, gli fu consegnata una giacca nera con pelliccia bianca (del tipo indossato dai marinai allora) e un cappello da ufficiale con paraorecchie. Passò l’intera giornata con indosso questi vestiti.
Quando tornò a terra, Castro fu accolto dal saluto militare: 21 salve di artiglieria furono sparate in suo onore. Poi gli venne mostrato un sottomarino con missili balistici. Castro chiese di aprire il portello e sollevare uno dei missili nella posizione di lancio.
“Applaudiamo, compagni, questo miracolo della tecnologia; il risultato di scienziati e progettisti sovietici. Questo razzo protegge la pace e la tranquillità dei nostri Paesi e dei nostri popoli”, disse il Líder Máximo
Secondo Nikolaj Leonov, è solo per questo motivo che Castro andò in visita nel Nord russo.
“Il suo compito principale era assicurarsi con i suoi occhi che l’Unione Sovietica avesse mezzi adeguati per rispondere alla minaccia nucleare degli Stati Uniti”, ha ricordato Leonov.
Quindi Fidel fu portato all’aeroporto militare Severomorsk-1, dove non rimase a lungo. Dopo pochi convenevoli, si imbarcò per Mosca su un Iljushin Il-18. Castro sarebbe poi ripassato dalla Penisola di Kola per tornare a Cuba.
Sono passati quasi sessant’anni dalla visita di due giorni di Fidel a Murmansk, ma gli abitanti ricordano ancora con calore quell’avventura nordica del leader cubano. Ad esempio, il sito web dell’archivio fornisce il seguente commento di una cittadina:
“Uno dei primi e più intensi ricordi d’infanzia sono le mie lacrime perché non ho visto Fidel Castro lungo Via Lomonosov. C’erano molte persone, bandiere cubane e sovietiche nelle loro mani… Il passaggio è stato veloce e io mi ero distratta e stavo giocando con un’altra bambina sul prato. E mi sono persa tutto. La mamma mi ha consolata, spiegando: nessuno ha visto Fidel Castro, solo la mano fuori dal finestrino con cui ha salutato gli abitanti di Severomorsk… Da allora sono innamorata di Cuba!”.
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