Tutto ebbe inizio con delle pannocchie. A metà degli anni Cinquanta, Nikita Khrushchev decise di riempire di granturco (“kukurùza” in russo) l’intera Unione Sovietica. Il mais, secondo il suo piano, doveva diventare il “secondo pane” e risolvere efficacemente in una volta sola due problemi dell’agricoltura sovietica: l’insufficienza di grano e quella di mangime per il bestiame.
Khrushchev vide che negli Stati Uniti il mais era la principale coltura per la produzione di mangime, e che il rapido sviluppo della zootecnia era associato a un aumento della sua produzione. La sua esperienza nella calda Ucraina, con i fertili terreni di chernozjòm (la particolare terra nera della steppa) e la lotta condotta contro la carestia in questa repubblica (era stato primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista ucraino; la carica più alta a Kiev) lo spinse a pensare che questa coltura potesse essere una panacea per il settore primario sovietico.
Tuttavia, per la sua “campagna del mais” Khrushchev non tenne adeguatamente conto del fatto che molte regioni della Russia si trovano in una zona di agricoltura di frontiera, con climi gelidi e terreni poveri. Ma criticare le decisioni dei leader a quel tempo non era possibile, e nessuno fece notare il problema.
La “febbre del mais” lanciata da Khrushchev contagiò tutto il Paese. Dell’importanza del granturco si parlava in televisione, si scriveva sui giornali, e sul mais si realizzarono persino cartoni animati. Venne completamente rivoluzionato il sistema agricolo tradizionale: enormi aree furono infatti convertite alla coltura esclusiva e intensiva del mais, liberandole da avena, segale e grano. Tuttavia, i raccolti lasciavano molto a desiderare o furono completamente disastrosi.
Fu agli americani, leader mondiali nella coltivazione del mais, che le autorità dell’Urss decisero di rivolgersi per acquisire la preziosa esperienza che agli specialisti sovietici mancava. “Gestiscono gli affari con molto più successo di noi e per questo non fanno la fila per comprare la carne”, si lamentò amaramente Khrushchev.
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Nel 1955, una delegazione sovietica visitò l’Ispettorato di Stato dello Iowa, studiando scrupolosamente il lavoro delle fattorie locali e cercando di capire il segreto del successo americano. Alla fine del viaggio, degli agricoltori furono invitati a venire in Unione Sovietica.
“I contadini dell’Iowa ricevettero l’invito a visitare l’Urss, ma la Russia lontana, fredda e ostile non li attrasse”, ha scritto il figlio del leader sovietico Sergej Khrushchev nel libro dedicato al padre “Nikita Khrushchev. Riformatore”. Inoltre, il viaggio non prometteva alcun profitto, visto che il Dipartimento di Stato americano aveva vietato il commercio con l’Urss.
Tuttavia, un agricoltore decise di provare a rompere le regole del sistema. Nel 1955, Roswell Garst (1898-1977) e sua moglie partirono per l’Unione Sovietica. Oltre all’agricoltura, Garst era impegnato nell’ibridazione del mais e commerciava semi in tutto l’Iowa. Per l’Unione Sovietica, era come una manna dal cielo.
Garst visitò il VdnKh, l’Esposizione delle conquiste dell’economia nazionale, e viaggiò in tutto il Paese, ispezionando e studiando le fattorie collettive. Tuttavia, l’esperto imprenditore agricolo scelse di astenersi dal commentare e non espresse alcuna opinione sull’efficacia dell’economia sovietica.
Dopo il programma di lavoro, venne invitato in Crimea per incontrare Khrushchev. E fu allora che nacque l’amicizia di lunga data tra l’agricoltore americano e il segretario generale del partito comunista sovietico. “Mio padre e Garst si adoravano: entrambi amavano il lavoro della terra, e potevano passare ore a discutere di mais, soia, fagioli”, ha scritto Sergej Khrushchev.
Durante i colloqui privati, l’americano non esitò a esprimere apertamente i suoi pensieri critici a Khrushchev. “L’agricoltura sovietica è quindici anni indietro rispetto alle esigenze della crescente popolazione dell’Urss, mentre gli agricoltori americani sono quindici anni avanti rispetto al fabbisogno del loro Paese”, disse.
Roswell Garst rimase sinceramente sorpreso del fatto che il Segretario generale non sapesse nulla degli ultimi ritrovati del settore agricolo: “Perché qui sanno così poco della nostra agricoltura? Lei, signor Khrushchev, è come se cadesse dalle nuvole quando le parlo, anche se tutto ciò che dico è regolarmente pubblicato sul nostro bollettino agricolo e basterebbe acquistarlo o fare l’abbonamento. La vostra intelligence è riuscita a ottenere tutti i nostri segreti atomici, che erano protettissimi. E qui invece non bisognerebbe faticare per nulla”.
Di conseguenza, Khrushchev e Garst concordarono la vendita da parte dell’americano di semi di mais ibrido, per i quali l’Urss era pronta a pagare in oro. Il problema, tuttavia, erano i divieti commerciali imposti dal governo degli Stati Uniti.
Il Dipartimento di Stato di Washington si opponeva risolutamente all’instaurazione di relazioni commerciali con l’Urss e al trasferimento di tecnologie agricole. Garst non riuscì a ottenere una licenza di esportazione.
Tuttavia, l’agricoltore non si dette per vinto. Usò anche i suoi contatti al “New York Times”. Sul giornale scrissero che “agli americani piace immaginare che il problema sia l’Unione Sovietica, ma in realtà sono gli Stati Uniti che frenano il commercio”. Minacciarono poi, se Garst non avesse ottenuto l’autorizzazione, di far uscire un nuovo articolo intitolato: “Di chi è questa cortina di ferro?”
Alla fine, Garst riuscì nel suo intento, a forza di insistenze. Al Dipartimento di Stato, secondo quanto ha raccontato sua nipote, Liz Garst, gli dissero; “Siamo stufi di te. Tieni! Tanto non avrai comunque successo”. Arrivederci”, e gli rilasciarono la licenza necessaria.
Come osservato da Sergej Khrushchev, “questa licenza di esportazione, senza limiti di tempo, aprì la prima falla nella cortina di ferro che circondava l’Unione Sovietica, spianando la strada alla creazione di relazioni commerciali tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Il precedente iniziò infatti a pesare. A ogni rifiuto di consentire il commercio con l’Urss, i richiedenti vi si appellavano sempre: “Perché Garst può e noi no? Questa è discriminazione.” Il Dipartimento di Stato cercava di evitare le cause e, seppur a malincuore, rilasciò una seconda licenza, una terza… e alla fine si perse il conto”.
Il leader sovietico e l’agricoltore americano erano molto a loro agio insieme, “perché erano uguali: un po’ rudi, con quei modi di fare grossolani da gente di campagna, senza le maniere sofisticate dei cittadini”, dice Liz Garst.
“Potevano parlarsi duramente, ma senza mai prenderla sul personale. Potevano essere sinceri l’uno con l’altro, senza offendersi. A entrambi piaceva discutere varie idee, raccontare storie e ridere”, dice. Discutevano liberamente non solo della coltivazione del mais, ma anche della presenza dei missili americani in Turchia.
Roswell Garst visitò l’Urss più di 60 volte, e anche altri due Paesi socialisti, l’Ungheria e la Bulgaria. Ogni volta che tornava, veniva convocato dall’Fbi. Diceva sempre con grande franchezza ai suoi interlocutori sovietici: “Sarò interrogato dall’Fbi al ritorno. E non mentirò. Quindi tenete a mente, ci non dirmi nulla che l’Fbi non dovrebbe sapere.”
Garst viaggiò in tutto il vasto Paese sovietico. Non esitò a sgridare gli agricoltori dei kolkhoz, notando cosa e come stavano sbagliando. “Il capitalista americano si preoccupa più del nostro raccolto di quanto non facciano gli stessi agricoltori collettivi”, commentò amaramente Khrushchev. Egli stesso si recò in visita da Garst nel 1959, durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti.
Nonostante tutti gli sforzi, la campagna per il mais fallì. I semi adatti per il caldo Iowa non attecchivano nella fredda Siberia, e il mais non riuscì a superare le tradizionali produzioni di segale e grano. Con la fine del periodo al potere di Khrushchev, nel 1964, i campi di granturco in tutto il Paese iniziarono a diminuire drasticamente.
Ciononostante, Khrushchev e Garst intrattennero una bella relazione fino alla morte del sovietico, nel 1971, scambiandosi regolarmente gli auguri in occasione delle principali festività. Come ha affermato Liz, Khrushchev scrisse molte più lettere a suo nonno che al presidente Dwight Eisenhower.
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