Ecco cosa mangiavano i soldati russi nella Seconda guerra mondiale

Storia
MARIA AFONINA
Con pochi ingredienti e nella scomodità della cucina da campo, i cuochi militari facevano miracoli per cercare di garantire ai combattenti le giuste calorie e un po’ di varietà nella gavetta. Si scoprirono allora ingredienti nuovi e si inventarono alcune ricette che sono rimaste popolari anche dopo la fine del conflitto

Il rancio per i soldati al tempo della guerra veniva preparato usando le “cucine da campo” che, così come i forni da campo utilizzati per preparare il pane, erano apparse fin dalla fine del XIX secolo. La cucina da campo appariva come un carrello mobile che poteva essere attaccato e portato al traino dietro a un automezzo. Aveva da uno a quattro pentoloni e vari scomparti per conservare alimenti e suppellettili.

La cucina da campo andava a legna, e affinché il nemico non vedesse il fumo, il cibo veniva preparato solitamente la mattina presto prima dell’alba e la sera quando ormai faceva buio. L’acqua arrivava a ebollizione in 40 minuti, e un pranzo di due portate si preparava in tre ore, mentre la cena in un’ora e mezzo. Nel corso della notte si svolgeva la maggior parte del lavoro: venivano preparati gli ingredienti, per esempio si pelavano le patate, e si lavavano i pentoloni. All’inizio del conflitto gran parte dei cuochi erano donne.

Anche la distribuzione del rancio era una vera e propria esperienza. I soldati trascinavano a fatica le pesanti marmitte piene di cibo ai commilitoni, attraverso le trincee, tra mille pericoli.

La portata principale della cucina bellica era il kulesh, ovvero una sbobba di grano, al quale potevano essere aggiunti nei giorni migliori anche altri ingredienti, come, per esempio lardo e verdure. Ma nella cucina da campo potevano essere preparate anche le amate zuppe russe, come il borshch e lo shchi; le patate lesse; la grechka con carne di manzo bollita o stufata o in scatola.

La razione giornaliera

Secondo quanto previsto dalle regole sull’alimentazione dei soldati, in vigore dal 12 settembre del 1941, ai militari dell’Armata Rossa e ai comandanti delle unità combattenti dell’esercito spettava una determinata lista di alimenti. Tra questi c’erano pane (8 o 9 etti), farina integrale (20 grammi), grano (140 grammi), pasta (30 grammi), carne (150 grammi), pesce (100 grammi), grasso concentrato e lardo (30 grammi), olio di semi, zucchero, tè, sale, verdure (patate, cavolo, carote, barbabietole, cipolla, odori). Era regolata anche la distribuzione di tabacco (20 grammi al giorno) e di fiammiferi (tre scatole al mese). Alle donne che non fumavano venivano dati come sostituti burro, biscotti e cioccolata.

I piloti d’aereo erano nutriti con una dieta più varia e ricca di calorie. Oltre a quanto elencato per gli altri, venivano forniti loro latte (fresco o condensato), tvorog (in parte simile alla ricotta), smetana (la panna acida), uova, burro, formaggio, estratto di frutta e frutta secca.

Anche la razione dei marinai dei sommergibili si differenziava: avevano diritto a vino rosso, crauti, cetrioli in salamoia e cipolle fresche. Questi cibi avrebbero dovuto prevenire lo scorbuto e compensare la carenza di ossigeno. Ai marinai venivano date anche gallette. Le piccole navi potevano preparare il pane in porto, le grandi avevano speciali forni nella cambuse.

Verso la fine della guerra, la situazione con la disponibilità di generi alimentari era peggiorata sensibilmente, per cui le razioni furono diminuite.

Tè di carota e focaccine di mais

I cuochi cercavano di fare il possibile per variare un po’ l’alimentazione dei soldati, che diventava sempre più ridotta con il proseguire del conflitto. Per esempio, iniziarono a preparare il tè di carota. Per farlo, bisognava grattugiare finemente le carote pulite, cuocerle sul fuoco insieme alla chaga (nome scientifico: Inonotus obliquus; un’escrescenza fungosa tipica dei tronchi di betulla), e poi mettere il composto nell’acqua bollente. Grazie alla carota il tè risultava dolce, mentre la chaga gli conferiva un piacevole colore scuro.

È stata tramandata dal tempo di guerra anche la ricetta del pane “Rzhevskij”, ricavato dalle patate lessate, pelate e schiacciate (allora le passavano nel tritacarne). La massa ottenuta veniva stesa su una tavola ricoperta di crusca e lasciata raffreddare. Veniva aggiunta ancora crusca sulla parte superiore, del sale, e velocemente si mescolava l’impasto, che era poi messo in delle forme unte e infornato.

Negli ultimi anni della guerra, e in particolare nella primavera del 1944, l’esercito sovietico ricevette dagli alleati della farina di mais. Molti cuochi non la conoscevano (in Russia il granturco si sarebbe diffuso, e con non pochi problemi dovuti al clima, solo con una Campagna del mais voluta da Krushchev negli anni Cinquanta e Sessanta) e non sapevano cosa farsene. La aggiungevano al pane, facendolo diventare fragile e facile a indurirsi. I soldati se ne lamentavano. Altri cuochi invece seppero come usarla, facendone delle focaccine. Uno dei veterani ha ricordato come i cuochi mandassero i soldati a raccogliere erbe nella steppa (atriplice, lapazio, medicago, aglio orsino e altre) e con queste e la farina gialla preparassero dei pirozhkì. In seguito iniziarono anche a farci la mamaliga (la polenta), che densa e lasciata freddare veniva tagliata a fette e così distribuita ai militari.

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