L’Atlantide sovietica: le città sommerse per la costruzione delle dighe

Storia
GEORGY MANAEV
L’Urss in industrializzazione aveva bisogno di energia elettrica e di vie fluviali più efficienti. Nacquero così enormi impianti idroelettrici e laghi smisurati inghiottirono villaggi e intere città dell’antica Russia. Alcune, di tanto in tanto, affiorano ancora oggi…

Ogni anno, il secondo sabato di agosto, un traghetto parte da un molo della città di Rybinsk (320 chilometri a nord-est di Mosca), e viaggia nelle acque dell’omonimo bacino, fermandosi per un po’ mentre i passeggeri della nave gettano in acqua ghirlande di fiori. Si tratta del raduno annuale dei cittadini di Mologa e delle loro famiglie. La città di Mologa è stata completamente allagata dopo la costruzione della diga di Rybinsk, lungo il corso del Volga, alla fine degli anni Trenta, che ha formato un lago (i russi lo chiamano “mare”) grande come il Molise, e che è ancora ricordata da coloro che sono nati lì prima del “diluvio” e dai loro discendenti.

Connettere mari, distruggere famiglie

La costruzione del bacino idrico di Rybinsk fu giustificata come parte necessaria del sistema idroviario che collega il Mar Baltico e il Mar Caspio. Di sicuro, era già possibile navigare da Leningrado (San Pietroburgo) ad Astrakhan, ma il viaggio si poteva affrontare solo con navi di piccola stazza. Nel 1935, il Comitato di pianificazione statale approvò la creazione di quello che all’epoca sarebbe diventato il più grande bacino idrico artificiale del mondo.

Nell’aprile del 1941, i fiumi Volga e Sheksna furono bloccati da dighe, inondando progressivamente quasi 5.000 chilometri quadrati di terreno e allagando completamente 663 villaggi e la città di Mologa, e parzialmente altre sei città. Circa 130 mila persone dovettero essere trasferite e furono distrutti ampi terreni agricoli e forestali. La costruzione fu eseguita principalmente dai prigionieri del campo penitenziario di Volzhskij, dove erano reclusi anche coloro che si erano opposti al trasferimento.

“È come se un tornado mostruoso e devastante esplodesse sopra Mologa. La gente è andata a dormire in pace, senza nemmeno rendersi conto che domani il loro destino sarebbe stato alterato oltre ogni immaginazione”, ha detto Jurij Nesterov, un ex cittadino di Mologa.
Esistente almeno fin dal XII secolo, Mologa era originariamente parte del Principato di Rostov. Mosca la annetté alla metà del XIV secolo, e pochi secoli dopo la città divenne una fonte di pesce d’acqua dolce per la tavola dello Zar. Nel 1777, a Mologa fu conferito lo status di centro principale della contea. La città aveva un monastero e diverse chiese, e in seguito ebbe una torre di avvistamento degli incendi progettata da Andrej Dostoevskij, fratello minore del famoso scrittore. Alla fine degli anni Trenta del Novecento, la popolazione della città era di circa 7.000 persone.

Ma se la creazione del “Mare di Rybinsk” ha dato molti dolori agli abitanti dell’area inondata, è anche vero che il bacino idrico ha contribuito a salvare migliaia di vite durante la Seconda guerra mondiale, migliorando i trasporti. Quando i nazisti si spinsero in profondità nel territorio russo, bloccando molte ferrovie e strade, il fiume Volga divenne il modo più veloce per trasportare merci dagli Urali e dalle regioni del Volga meridionale nella regione centrale del Paese.
Il bacino di Rybinsk permetteva alle navi con carichi pesanti di risalire il fiume. Inoltre, il corso d’acqua ha aiutato a evacuare le persone dal territorio occupato. Un altro vantaggio venne dalla centrale idroelettrica di Rybinsk, che durante l’attacco nazista fu spesso l’unica fonte di energia elettrica per Mosca.
Per lungo tempo, le informazioni sull’inondazione di Mologa furono segreto di Stato, e persino parlare della città sommersa era pericoloso. Il dolore per la città perduta poteva essere interpretato come una condanna del governo sovietico e delle sue azioni. Solo negli anni Ottanta, le voci sul destino della città trapelarono alla stampa, e ora gli ex cittadini di Mologa si riuniscono regolarmente.
A volte, come è successo nel 1992-1993, il livello dell’acqua scende parecchio per ragioni naturali, e la città affiora. Quando ciò accade, gli ex residenti di Mologa ancora in vita possono fare ancora una volta qualche passo nella loro terra natia, camminare per le strade familiari, sedersi sulle fondamenta delle loro case e visitare le tombe dei loro antenati. Dove una volta sorgeva la Cattedrale dell’Ascensione, un cartello commemorativo fatto a mano recita: “Perdonaci, Mologa”.
“Dato che siamo invecchiati, abbiamo iniziato a pensare sempre più ai nostri giovani”, dice Nikolaj Novotelnov, nativo di Mologa. “È triste che ci siano sempre meno di noi e che Mologa non possa essere riportata indietro”.

Riemergere, tuttavia, fa male ai resti della città: la primavera successiva, la deriva del ghiaccio raschia il fondale, sradicando e portando via gli ultimi segni della città sommersa.
Quando si parla del destino di Mologa è importante menzionare il presunto rapporto datato 1941 inviato dal Tenente Skljarov al Maggiore Zhurin (entrambi ufficiali dell’Nkvd) con informazioni relative al fatto che 294 residenti di Mologa che si erano rifiutati di andarsene erano presumibilmente affogati quando la città fu sommersa. Ma Mologa fu sommersa lentamente, e risultò completamente sott’acqua solo nel 1946, il che è una prova evidente che il documento e le sue affermazioni sono false.
In alcuni articoli pubblicati, possiamo vedere una scansione del documento che contiene queste informazioni, ed è troppo semplicistico e non corrisponde a quelli che si trovano solitamente negli archivi della burocrazia sovietica. Gli storici hanno cercato negli archivi l’originale di questo documento, ma non ne hanno trovato traccia. Infine, è ben strano che l’Nkvd non avesse la forza di evacuare i residenti riluttanti. Certamente, volenti o nolenti, li avrebbero costretti ad andarsene.

Un campanile come faro

Mologa non fu l’unica città sommersa in seguito alla costruzione del bacino idrico. La stessa sorte toccò a molti altri villaggi e città. I sovietici avevano abbracciato l’idea dell’onnipotenza dell’industria e pensavano che l’uomo dovesse sottomettere la natura.
“Non dobbiamo aspettare regali dalla natura; il nostro compito è prenderceli da soli”, disse lo scienziato agricolo sovietico Ivan Michurin. Più tardi, negli anni Sessanta, ci fu anche un’iniziativa fallita per deviare il corso di alcuni fiumi siberiani al fine di irrigare le regioni meridionali dell’Urss.
Negli anni Trenta, i sovietici si affrettarono a costruire un sistema energetico nazionale per stimolare la crescita industriale, e molte città furono sommerse da ambiziosi progetti idroelettrici. Vesjegonsk e Korcheva sul bacino di Rybinsk; Puchezh su quello di Gorkij (nella regione di Nizhnij Novgorod); Bolgar sul bacino di Kujbishev (in Tatarstan) finirono sott’acqua parzialmente o totalmente, nel nome dell’elettrificazione. Il simbolo più popolare dell’“Atlantide” russa è però il campanile parzialmente sommerso di Kaljazin.

Fondata intorno al XII secolo, Kaljazin era una prospera città commerciale e manifatturiera sul Volga, 200 chilometri a nord di Mosca. Durante la costruzione della centrale idroelettrica di Uglich e dell’omonimo bacino, il suo centro storico e tutti gli edifici e monumenti storici furono sommersi: le vecchie strade finiscono bruscamente sulla riva. Quello che rimane è il magnifico campanile della demolita Cattedrale Nikolskij.
La torre sembra sorgere dall’acqua, ma in realtà si erge su una piccola isola lasciata intatta a fungere da punto di navigazione, come un faro. Qui, il Volga fa una curva stretta e un faro è necessario. Negli anni Ottanta le fondamenta del campanile vennero fortificate e nel 2016 sono state inaugurate le nuove campane. Ora, il campanile è un simbolo non ufficiale di Kaljazin e una grande attrazione turistica, accessibile in barca.