Nel XVII secolo, i monarchi della da poco salita al trono dinastia Romanov iniziarono a interessarsi della produzione di vino. Fino a quell’epoca nel Paese non era diffusa la coltivazione della vite e, per secoli, il vino era sempre stato importato.
Michele di Russia, Mikhail I, subito dopo essere diventato zar nel 1613, ordinò la creazione di un “giardino per la corte zarista”. Il ‘giardino”, di fatto, era il primo vigneto di Russia, situato nel territorio di un monastero nella città di Astrakhan, sul delta del Volga, circa 1.400 chilometri a sud di Mosca. Più tardi, un esperto agronomo di uno dei principati tedeschi dell’epoca venne invitato a modernizzare la coltivazione d’uva russa e a metà del Seicento, il successore di Mikhail, Alessio Mikhajlovich, già beveva vino russo prodotto ad Astrachan. E in quel periodo, le viti iniziarono a essere coltivate anche sulle rive del fiume Don, sempre nel Sud della Russia.
Nuove conquiste territoriali
La produzione di vino russa crebbe grazie alle conquiste. Sotto il regno di Pietro il Grande, all’inizio del XVIII secolo, le terre meridionali bagnate dal Mare d’Azov furono pacificate e lo zar spinse i confini della Russia fino al profondo Caucaso. Queste zone avevano un clima favorevole alla coltivazione della vite.
La più illustre regione vitivinicola, famosa ancora ai nostri giorni, fu invece fatta propria dalla Russia solo più tardi in quel secolo. Negli anni Ottanta del Settecento, l’esercito di Caterina II, la Grande, sconfisse i turchi e si assicurò il controllo sulla Crimea e le terre che lei chiamò Novorossija (ovvero “Nuova Russia”, che comprendono l’attuale regione di Krasnodar e larga parte di quella che oggi è l’Ucraina orientale).
I modernizzatori del vino in Crimea
Lo sviluppo dell’industria del vino in queste nuove regioni dell’Impero russo è legato principalmente a due uomini. Il primo è il Conte Mikhail Vorontsov, governatore della Novorossija per più di trent’anni (1822-1854). Nei suoi possedimenti in Crimea iniziò la coltivazione di diversi vitigni e costruì speciali cantine per la conservazione dei vini.
Sempre Vorontsov fu dietro la nascita della prima scuola di vinificazione in Crimea, i cui specialisti furono i primi a rafforzare i vini da dessert con spirito rettificato, per velocizzarne il processo di maturazione e migliorarne le qualità.
Verso la fine del XIX secolo, la famiglia imperiale acquistò parte delle tenute di Vorontsov dai suoi eredi e Lev Golitsyn divenne la persona ufficialmente incaricata dei processi di innovazione nella vinificazione imperiale russa culle terre dei Romanov. Fu lui a suggerire la necessità di costruire una gigantesca cantina dove i vini delle varie terre dei Romanov potessero arrivare a maturazione.
Una cantina gigantesca
Con l’aiuto di un geologo venne trovato un posto sulla costa meridionale della Crimea dove nei tunnel fosse possibile mantenere la ideale temperatura costante di 12-14 gradi. Golitsyn costruì una cantina gigantesca con sette lunghe gallerie sotterranee, capaci di contenere 250 mila decalitri di vino in botte e fino a un milione di bottiglie. Oggi è parte delle famosa azienda vinicola Massandra.
Golitsyn è spesso definito il padre fondatore dell’industria vinicola russa. Oltre alle cantine Massandra, mise in piedi la prima produzione professionale di vino frizzante nella cittadina di Novyj Svet, dove sorgeva la sua tenuta in Crimea. E inoltre fece molto per sviluppare i vigneti di Abrau-Durso, vicino al porto di Novorossijsk, sul Mar Nero.
Buon vino per il popolo
Golitsyn diceva di voler promuovere la cultura del vino “in modo che anche la gente semplice bevesse qualcosa di buono, invece di avvelenarsi con qualche porcata”. Ma la cosa avrebbe richiesto molto tempo. La produzione di massa di vino di qualità entrò a regime solo negli anni Trenta, sotto Stalin.
Quando i bolscevichi presero il potere nel 1917 decisero di prorogare la politica di proibizionismo alcolico inaugurata nel 1914 dallo zar, allo scoppio della guerra (il che portò, però a un aumento nell’uso delle sostanze stupefacenti). E durante la presa del Palazzo d’Inverno distrussero migliaia di bottiglie a colpi di mitra. Il divieto cessò solo nel 1923, una volta archiviata anche la Guerra civile. Dopo nove anni l’approccio all’alcol della popolazione era radicalmente cambiato. E le autorità misero un particolare accento sul vino.
Nel 1936 il governo sovietico prese tutte le misure necessarie per aumentare la produzione di vini frizzanti, da esser e da tavola. Come disse uno degli alti papaveri dell’epoca, il Commissario del Popolo per l’industria alimentare Anastas Mikoyan (lo stesso che fece diventare così diffuso nell’Urss il succo di pomodoro), “lo champagne è un segno di benessere materiale e di prosperità”.
Il vino frizzante sovietico venne fatto in modo da assomigliare allo champagne francese (e per questo si chiama, alla russa, shampanskoe), bevanda che veniva associata alle classi alte. Il governo comunista voleva dimostrare che in Unione Sovietica il popolo poteva permettersi quello che in Europa bevevano gli aristocratici.
Economico, veloce da produrre, di qualità ragionevole, i sovietici credevano di aver raggiunto l’obiettivo. Nel 1937 iniziò ufficialmente la produzione di Sovetskoe shampanskoje, usando tecnologie avanzate, di recente sviluppo.
Nasce lo shampanskoe sovietico
La mente del nuovo metodo fu Anton Frolov-Bagreev, che aveva iniziato la sua carriera alla Abrau-Durso, sotto Golitsyn. Il Sovetskoe shampanskoye divenne rapidamente popolare e negli anni Cinquanta la tecnologia produttiva venne ulteriormente migliorata. In seguito una licenza sovietica di vinificazione fu addirittura acquistata da Moet and Chandon.
Anche i vini di marca erano amati nell’Urss e la loro produzione crebbe vorticosamente verso la fine degli anni Trenta. Le etichette più note tra i vini da dessert erano Ulybka (“Sorriso”) e Chernye glazà (“Occhi neri”). Prodotte per decenni, erano adorate dai consumatori.
Ma lo sviluppo dell’industria vinicola russa subì un tremendo stop nella seconda metà degli anni Ottanta. Gorbachev lanciò infatti una durissima campagna di proibizionismo alcolico e pressoché tutti i vigneti vennero distrutti. Solo dopo il crollo dell’Urss l’attività nel settore poté riprendere, e dal 2014 la Russia è all’undicesimo posto al mondo per estensione di terre destinate alla coltivazione della vite da uva.